Scritto da Pietro Spirito
L’omicidio del generale Robert W. De Winton, ucciso a Pola la mattina del 10 febbraio 1947 da Maria Pasquinelli in segno di protesta contro il Trattato di Pace e la cessione alla Jugoslavia di tre quarti del territorio regionale, Istria compresa, poteva essere evitato. I servizi segreti alleati erano a conoscenza delle intenzioni di Maria Pasquinelli sin dall’ottobre dell’anno prima, e non solo non fecero niente per fermare la donna, ma diedero precise disposizioni perché fosse lasciata libera. La clamorosa circostanza esce dalla lettura dei documenti conservati sugli scaffali del Public Record Office di Kew Gardens, gli Archivi nazionali britannici. I documenti li hanno rispolverati i ricercatori Mario Cereghino e Giuseppe Casarrubea, che da anni setacciano gli archivi dei servizi segreti britannici e americani (il sito Internet è www.casarrubea.wordpress.com), così come vengono desecretati con il passare degli anni, facendo emergere fatti e circostanze che in alcuni casi possono portare a riscrivere la storia del secondo conflitto mondiale e del dopoguerra (vedi il sito www.casarrubea.wordpress.com)
Il fascicolo War Office 204/12896 intitolato “Shooting of Brigadier De Winton” potrebbe essere uno di questi. Le circostanze contenute in quei documenti gettano forse nuova luce sul caso di Maria Pasquinelli, che oggi vive a Bergamo e recentemente è tornata a farsi sentire dopo decenni di silenzio (vedi il libro-intervista di Rosanna Giurcin La giustizia secondo Maria, Del Bianco editore, 2008). Nata a Firenze nel 1913, diplomata maestra elementare e in seguito fervente seguace della Scuola di mistica fascista, Maria Pasquinelli il 10 febbraio 1947 uccise con tre colpi di pistola il generale De Winton, comandante della guarnigione britannica di Pola. Processata a Trieste da una Corte alleata, fu condannata prima alla pena di morte, poi all’ergastolo. In seguito, la pena capitale fu commutata – nel 1954 – in ergastolo e la Pasquinelli fu trasferita nel penitenziario di Perugia. La maestra assassina diventata simbolo di tutta la sofferenza, l’amarezza, la rabbia degli esuli istriani, fiumani e dalmati tornò in libertà nel 1964, e da allora vive a Bergamo. In tutte la fasi dibattimentali del processo Maria Pasquinalli disse sempre di aver agito da sola, in piena autonomia, anche se già allora gli investigatori, e in seguito gli storici, hanno sempre pensato che dietro ci fossero appoggi e connivenze. Ora i documenti trovati da Casarrubea e Cereghino prefiguarno uno scenario nuovo, «con i comandi alleati – spiegano – pronti a proteggere frange della destra al punto di non intervenire pur sapendo che la vita del generale De Winton era appesa un filo». «Le decine di documenti del War Office che ritrovati nell’agosto 2009 – spiegano – confermano che sarebbe stato possibile evitare quel clamoroso omicidio». Ecco cosa dicono i telegrammi, le lettere e i rapporti redatti dalle autorità militari angloamericane nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’attentato.
Una settimana dopo l’uccisione di De Winton, per la precisione il 17 febbraio 1947, in un salone del castello di Miramare si insedia una Commissione militare d’inchiesta composta dal tenente colonnello Gaisford e dai maggiori Mitchell e Stephenson. A Kew Gardens si conservano i verbali degli interrogatori e alcuni allegati, sette pagine in tutto. Il testimone chiave è il sergente H. Ross, agente del Field security service (Fss) britannico di stanza a Pola: «Il 25 ottobre 1946, ricevetti un telegramma (datato 23 ottobre 1946, ndr) che mi allertava dell’imminente arrivo di Maria Pasquinelli a Pola e della sua intenzione di assassinare il Comandante militare alleato”. Il testo del dispaccio lascia pochi dubbi sui piani della donna: “General staff intelligence (Gsi) / 208. Segreto. Informazione ricevuta dall’unità ‘Z’ dello Special counter intelligence (Sci) di Milano. Una fonte solitamente attendibile afferma che Pasquinelli Maria (lo ripetiamo: Pasquinelli Maria, un metro e 75 centimetri di altezza, robusta, sui 30 anni, capelli castani scuri e riccioluti, occhi scuri, naso schiacciato, portamento maschile, fisicamente forte) potrebbe attentare alla vita del Comandante militare alleato dell’area di Pola, in segno di protesta per le decisioni di Parigi. Si presume che il Soggetto lascerà Milano per Pola tra pochi giorni e che farà sosta a Venezia per andare a trovare il fratello, un tenente al momento convalescente all’ospedale militare della città. A Pola, l’indirizzo fornito è l’hotel Miramare».
Il sergente aggiunge altri dettagli: «Contattai immediatamente il mio superiore a Trieste – il capitano Middleton, comandante del XXI Port Security Section (Pss) – e chiesi istruzioni. Egli mi rispose che le avrebbe ottenute dal Gsi. Ventiquattro ore più tardi, mi telefonò per fornirmi le seguenti direttive: a) per nessun motivo la donna doveva essere arrestata o interrogata. Inoltre, non si doveva agire in modo da destare i suoi sospetti; b) il Governo militare alleato (Gma) e la Polizia della Venezia Giulia dovevano essere allertate sulle sue intenzioni; c) dovevo chiedere alla Polizia della Venezia Giulia che mi informassero dell’arrivo della donna e fare in modo che fosse posta sotto osservazione. (…)Mi recai quindi all’hotel Miramare e appurai che la Pasquinelli era partita il 20 ottobre. (…) Il 3 dicembre 1946, la polizia della Venezia Giulia e la gerente dell’hotel Miramare ci avvertirono del suo arrivo. La sera stessa, verso le 20.00, la donna si presentò nel mio ufficio. Ne controllai la carta d’identità e le domandai il motivo della sua visita a Pola. Mi rispose che era una professoressa di scuola e che si interessava di cultura istriana. Attenendomi alle istruzioni ricevute, non la interrogai. La mattina dopo, il 4 dicembre, telefonai al capitano Middleton, a Trieste, per avvertirlo che la donna era tornata a Pola. (…) Il capitano mi disse di allertare la Ventiquattresima Brigata e il Gma e di chiedere alla Polizia della Venezia Giulia di tenerla d’occhio».
Ross informa anche il tenente colonnello Orpwood – il Commissario britannico dell’area polesana – e Benvenuti, un funzionario italiano della Criminal investigation division (Cid): «L’Fss non ricevette ulteriori istruzioni o informazioni sulla donna fino al giorno dell’omicidio – precisa il sergente Ross -. L’11 febbraio mi recai all’hotel Miramare per controllare il registro delle presenze. Constatai che la donna era partita da Pola il 6 dicembre 1946 e che era ritornata in città l’11 gennaio 1947. Poi, il 5 febbraio, era nuovamente partita per fare ritorno in città l’8 febbraio».
Il secondo testimone ad essere ascoltato è il tenente Garvin: «In data 16 dicembre 1946 – depone Garvin -, assunsi il comando del XXI Pss, a Trieste. Il capitano Middleton mi aggiornò sulle questioni più importanti ma non menzionò mai il caso della Pasquinelli. Il giorno dell’omicidio, tuttavia, rinvenni le informative (dell’ottobre 1946, ndr) nei nostri archivi». Davanti ai giudici riuniti a Miramare sfilano poi il tenente Feldman, il maggiore Robin, il maggiore Portham. Un cablogramma inviato dallo Special counter intelligence al Comando alleato in data 24 ottobre 1946 parla chiaro: «Si ritiene che Maria Pasquinelli abbia studiato gli spostamenti quotidiani (del generale De Winton, ndr) e che abbia deciso di sparargli mentre questi è intento a passare in rassegna le truppe. (…) La donna è la nipote dell’ex ministro della Guerra della Rsi, Soddu, ed è dipinta come fanatica e determinata». Insomma il Comando alleato sapeva con mesi di anticipo, e nel dettaglio, cosa sarebbe successo. Ma non fece nulla. Indagini successive e altre testimonianze avrebbero portato l’inchiesta a perdersi nel vicolo cieco rappresentato dalle misteriose manovre sotterranee dell’unità “Z” dello Special counter intelligence, cellula embrionale della futura Cia al comando di James Angleton, cui erano allora affidati in Italia tutti i lavori più sporchi in chiave anti-comunista.
Fu un ufficiale di collegamento tra lo Stato maggiore dell’esercito italiano e i servizi segreti alleati, Antonio Usmiani, a dare per primo agli alleati, nell’autunno del 1946, la notizia che Maria Pasquinelli si preparava a uccidere De Winton. Usmiani avvisò lo Special counter intelligence (Sci), e quando venne a sapere che De Winton era stato effettivamente ucciso, andò su tutte le furie protestando con il capo dello Sci, James Angleton. Il quale gli rispose asciutto: «Toni, ci sono cose che nemmeno tu puoi capire».
A raccontare la storia è il figlio di Antonio Usmiani, Umberto, 59 anni, che ha avuto modo di parlare molte volte con suo padre di questa vicenda. «Mio padre – racconta Umberto Usmiani – era originario di Pola, maggiore degli alpini, e durante la Resistenza aveva avuto un ruolo fondamentale nel creare la rete di spionaggio degli alleati nel Nord Italia; per questo quando nel 1945 fu arrestato dai tedeschi venne condannato a morte; in seguito, quando il generale delle SS Karl Wolff, comandante delle truppe tedesche in Italia iniziò a condurre trattative segrete con gli Alleati per la resa delle truppe tedesche in Italia (Operazione Sunrise), gli americani chiesero come prova di “buona volontà” la liberazione di mio padre assieme a Ferruccio Parri». Dopo la guerra Antonio Usmiani continuò a lavorare come ufficiale di collegamento dei servizi. Nel ’46, racconta ancora Umberto, «una sua ex compagna di liceo, anche lei di Pola, lo chiamò per raccontargli che una sua amica, una certa Maria Pasquinelli, si allenava in un cortile con una pistola perché voleva uccidere un alto ufficiale alleato; mio padre informò subito lo Sci, dopodiché si dimenticò dell’episodio finché non seppe della morte di De Witnon».
«Mio padre – ricorda ancora Umberto Usmiani – era convinto che la Pasquinelli fosse coinvolta, forse anche a sua insaputa, in un movimento destinato a far insorgere gli italiani d’Istria contro l’occupazione titina, o che almeno così le era stato fatto credere, tanto che quando la donna uccise il generale lui stesso pensò che quel gesto fosse il segnale dell’insurrezione».
Fonte: «Il Piccolo», 16/10/09.