lunedì 06 luglio 2009
Su un affioramento roccioso del tavoliere ondulato che tra il canale di Leme e il capo Promontore degrada verso l’Adriatico, a breve distanza da una serie di modestissime alture, in passato boscose e ricche di selvaggina, ma ora ricoperte da radi cespugli alimentati dalla scarsa terra tra le pietraie, sorse in epoca remota l’abitato di Valle, che in origine torri, cortine di mura e il rovescio di robuste case proteggevano dalle offese nemiche. Tra le case sorgeva la vetusta chiesa collegiata, servita da quattro canonici, a tre navate, ricca di plutei e altre sculture italo-bizantine, intitolata alla Visitazione di Maria Vergine, restaurata ed ampliata nel 1588, ricostruita lo scorso secolo, accanto alla quale s’innalza tuttora intatto il cuspidato campanile romanico. L’accrescimento della popolazione costrinse però ben presto i vallesi a costruire le loro dimore al di fuori della stretta cinta difensiva, cosi che il borgo si estese ampiamente in tutte le direzioni, salvo che a levante.
Nel secolo XV prese stabile dimora a Valle uno dei tanti rami della illustre casata bergamasca dei Suardo o Soardo, che i genealogisti dicono di origine longobarda, e i membri di questa famiglia eressero allora tra due torri della cinta, che incorporarono nella nuova costruzione, un elegante palazzo con quadrifore gotiche al primo e al secondo piano e dinanzi una cisterna, sostenuto il tutto da un poderoso muraglione allineato con le torri. Nella chiave dell’arco gotico della porta che si apre nella torre meridionale e che dà accesso al nucleo originario del borgo, i Soardo fecero scolpire su uno scudo incavato il loro stemma, che è troncato, nel primo all’aquila coronata, nel secondo al leone rampante, figure araldiche che il tempo ha totalmente cancellato.
Intorno alla metà del Cinquecento viveva in questa dimora avita Soardo Soardo che aveva sposato Giulia Verzi, gentildonna capodistriana, da cui ebbe un figlio, Lorenzo, il quale contrasse matrimonio con una Margherita dei castellani del maniero arciducale di Lupogliano nell’Istria austriaca. Chi fosse esattamente costei non mi è stato possibile di accertare, perché essa figura portare il cognome Clinasich negli atti del Consiglio dei X del 1632, di cui parlerò più avanti. Ma tra la fine del ‘500 e il principio del ‘600 il castello di Lupogliano era tenuto dalla famiglia Sincovich o Siscovich e il nome di Margherita richiama quello della Margherita andata sposa in primi voti a un Siscovich e successivamente a Michele Tenzler, la quale dal 1576 al 1610, anno della sua morte, amministrava, quale pignoratala, la signoria di Lupogliano, prima mediante il secondo marito e, morto costui nel 1581, mediante Marchesetto de Marchesetti, padre di un suo genero, e infine tramite il suo primogenito Giovanni Siscovich (1). Poiché la discendenza di questi è ben nota, mentre non consta quella del secondogenito Giorgio, si può presumere che la Margherita sposa del Soardo sia stata sua figlia, denominata cosi in onore della nonna e che nei citati atti del Consiglio dei X il cognome Siscovich sia stato storpiato. Da questo matrimonio nacque a Valle una bambinache, al fonte battesimale , il 2 giugno 1605, ricevette il nome di Veronica. Morto il marito la vedova passò a nozze con Almerico Furengon qm. Bernardino da Pirano, dove essa si traferì a vivere con la figliola, la quale venne accasata giovanissima con Alvise Bembo figlio di Andrea qm. Alvise e di Marina Ghisi di Lorenzo, nato a Venezia il 7 marzo 1597, jl quale si trovava a Pirano col col proprio zio Andrea Ghisi, divenuto poco dopo (23 luglio 1617-22 settembre 1618) podestà di quella terra (2). Il matrimonio venne celebrato in casa del Furegon il 25 febbraio 1617 con l’intervento del pievano di San Giorgio di Pirano Federico Delise, celebrazione seguita il 23 gennaio 1618 dalla benedizione nuziale vera e propria avvenuta nella chiesa di Santa Maria delle Grazie (isola della Grazia) di Venezia, nella quale città la coppia prese dimora nella contrada dei Santi Apostoli. Da questo matrimonio , con ritardo di parecchi anni, quando la sposa divenne più matura, mentre il marito reggeva a Vicenza l’ufficio di camerlengo, nacque in quella città il 10 aprile 1621 un figlio, cui venne imposto il nome di Vincenzo Pietro (3)
Alvise Bembo aveva trascurato, prima che seguisse il suo matrimonio, di compiere quelle prove di civiltà e di legittimità dei natali della sposa, alle quali la legge del 3 marzo 1605 del Consiglio dei X aveva condizionalo il riconoscimento della trasmissione dell’attributo di patrizio nei discendenti. Ad evitare che il figlio perdesse tale privilegio, egli dovette per via di supplica indirizzarsi al Consiglio dei X, il quale con deliberazione del 27 settembre 1632, gli concedette in via di grazia di fare entro il termine di un mese le prove a suo tempo omesse. Dall’istruttoria del processo di prova, iniziatosi con la presentazione all’Avogaria di Comun di regolare domanda in data 16 ottobre 1632, risulta la cronistoria del matrimonio e l’ascendenza della sposa come sopra esposti, ma anche il padre di Veronica Soardo era stato gentiluomo di Valle e aveva goduto, senza veruna opposizione, degli onori cittadini, tenendo cayalli e vivendo splendidamente e che il di lei nonno era del pari vissuto con onorevolezza, tenendo cani e sparvieri e alloggiando nella sua abitazione i nobiluomini di passaggio per Valle.
Portata dagli Avogadori di Comun in Collegio Solenne la proposta di iscrizione nel Libro d’oro del matrimonio in discorso, una prima volta (6 giugno 1633) non passò. Ripresentata però il 18 settembre 1634, riusci ad ottenere i richiesti tre quarti dei voti collegiali, cosi che nello stesso giorno furono registrati nei libri ufficiali tanto il matrimonio quanto la nascita di Vincenzo.
Alvise, Bembo, rimasto vedovo di Veronica Soardo nel 1636, si risposò il 24 novembre 1639 con Lucietta Molin qm. Antonio e qm. E lena Soranzo qm. Marco e precisamente nella parrocchia di San Marcuola, dove trasferi la propria dimora e dove scrisse il 30 maggio 1642 il proprio testamento, pubblicato in seguito alla sua morte, il 16 giugno successivo dal notaio veneto Gian Francesco Crivelli. Con tale disposizione d’ultima volontà il testatore istituì erede universale l’unico suo figlio Vincenzo e usufruttuario generale il proprio padre Andrea (morto a 85 anni, dopo tre mesi di malattia, il 6 maggio 1651), salvo alla moglie, cognominata stranamente Bragadin, anziché Molin, un legato di annui ducati 130 da essere pagato dalla porzione della di lui sostanza indivisa col figlio Vincenzo, e un anello del valore di 120 ducati, con l’obbligo di mandare un pellegrino ad Assisi a conforto della di lui anima.
Tanto Alvise che il figlio Vincenzo compaiono parecchie volte, quali testimoni, nei registri parrocchiali di Valle, dove facevano dei lunghi soggiorni per curare le proprietà (il palazzo e vasti beni rustici), che erano loro pervenuti attraverso la moglie, rispettiva madre, Veronica Soardo.
Vincenzo Bembo contrasse matrimonio con una Maddalena, il cui casato non sono riuscito a rilevare, della quale non ebbe figli e che, rimasta vedova, sposò nella propria casa di Valle, il 26 febbraio 1676 un Zuanne Contarini da Isola e il relativo contratto nuziale venne rogato da ser Domenico Elio, cancelliere di Valle.
La morte di Vincenzo Bembo, avvenuta intorno al 1670, aperse la successione sui suoi notevoli beni. Il defunto eresse un testamento, che non è stato possibile rintracciare e il cui preciso contenuto ci è ignoto, ma dallo svolgimento successivo degli avvenimenti si rileva che egli trasmise le sue proprietà ai congiunti paterni più prossimi, ossia ai cugini, figli dei premorti suoi zii Francesco e Pietro Bembo qm. Andrea. Dal primo (14 settembre 1603-24 gennaio 1660) e da sua moglie Elena Molin qm. Ferigo nacquero Andrea, Ferigo, Pietro, Antonio e Marina. Da Pietro Bembo (7 gennaio 1606-4 giugno 1646) discende direttamente il ramo istriano della casata. Egli contrasse matrimonio in Pirano il 17 novembre 1641 con Dea Furegoni qm. Marco nella casa del di lei fratello cavaliere Giovanni. La sposa era stata riconosciuta dal Collegio, formato dal Doge, dai suoi Consiglieri e dai tre capi delle Quarantie, il 26 luglio dello stesso anno, idonea a procreare figli capaci di far parte del. Maggior Consiglio, che è quanto dire patrizi veneti. Tuttavia, avendo Pietro Bembo trascurato di dare in nota all’Avogaria di Comun la nascita del figlio Marc’Alvise, avvenuta a Pago, dove egli era camerlengo, il 12 maggio 1642, a causa della predetta omissione, Marc’Alvise il 10 giugno 1667 (quando per il compimento del venticinquesimo anno di età entrò in diritto di essere ammesso nel Maggior Consiglio), dovette presentare all’Avogaria di Comun una scrittura tendente a provare il matrimonio del padre e quindi il proprio diritto alla condizione privilegiata di patrizio veneto. Il processo di prova, fondato sull’esame dei documenti e sulle testimonianze addotte, si trascinò sino al 20 luglio 1670, allorché, portate dagli Avogadori di Comun le risultanze del giudizio dinanzi al Collegio Solenne, questo considerò legittimo il matrimonio del 17 novembre 1641, non dato in nota nel termine prescritto, e legittima pertanto la nascita di Marc’Alvise. Nel frattempo questi aveva contratto matrimonio con Veniera Pasqualigo figlia di Lorenzo e la relativa cerimonia ebbe luogo il 12 giugno 1667 nella chiesa di San Toma in Venezia, contemporaneamente alla redazione del contratto nuziale, con cui il padre della sposa le costituiva una dote di 3.500 ducati, parte in contanti e parte in immobili e cioè una casa in Ghetto e campi a Cologna. Da tale matrimonio nacquero parecchi figli, di cui il primogenito Pietro-Antonio, nato il 6 settembre 1670, è l’ascendente dei Bembo istriani.
Regolarizzata la posizione del matrimonio di Pietro Bembo qm. Andrea e la nascita del di lui figlio, Marc’Alvise, agli efletti dell’iscrizione nel Libro d’oro, Marc’Alvise fece eseguire la registrazione nei libri ufficiali del proprio matrimonio in data 18 agosto 1670, nel qual giorno i coniugi vennero « benedetti » nella chiesa di San Giovanni della Giudecca dal parroco di S. Agnese e il 27 settembre 1670 la nascita di Pietro-Antonio venne registrata nel Libro d’oro.
Dal matrimonio di Marc’Alvise Bembo con Veniera Pasqualigo nacquero anche altri figli e precisamente Lorenzo e Vincenzo a Pirano, rispettivamente il 10 ottobre 1673 e il 3 luglio 1679, mentre il padre si trovava colà con la sua famiglia per affari domestici nella sua solita abitazione in contrada Paradiso (pervenutagli in successione dalla madre Dea Furegona insieme ad altri beni), Antonio il 3 dicembre 1683 a Chioggia, dove il padre reggeva l’ufficio di saliniere, e Andrea a Caneva il 4 gennaio 1686, quando Marc’Alvise vi aveva appena terminato il podestariato.
L’eredità di Vincenzo Bembo formò oggetto nel 1672 di una convenzione, il cui contenuto ci è ignoto, tra i figli di Francesco, i sopra nominati Andrea, Ferrigo, Pietro, Antonio e Marina da un lato e l’unico figlio del loro zio Pietro, il Marc’Alvise di cui si è tenuto testé discorso. Questi, dopo qualche tempo ritenne che tale convenzione fosse lesiva dei suoi interessi, per cui si rivolse al foro di Valle, che il 13 agosto 1679 emise una « sentenza a legge » sul testamento di Vincenzo, che consenti vagli di entrare in possesso della quota di eredità spettantegli.
Contro tale provvedimento giudiziario la parte avversaria si appellò, ma, abbandonato l’esercizio dell’azione per molti anni, la riprese soltanto dopo la morte di Marc’Alvise (avvenuta a Pago nel 1710, dove era camerlengo), basandosi sulla convenzione ora impugnata dagli eredi di quest’ultimo.
La causa, vertente sull’annullamento della sentenza a legge » e sul ritorno allo stato delle cose esistente prima di essa, si svolse in ultima istanza dinanzi alla Quarantia Civi! Nova, paralizzando temporaneamente l’azione diretta ad ottenere la rescissione della convenzione del 1672, e si concluse con un accordo tra le parti, raggiunto il 16 ottobre 1713, accordo che stabilisce « che il N. H. ser Andrea fratelli e sorella Bembo siano restituiti nel possesso delli beni come erano prima di essi atti alla risserva delli beni che per li ducati 850 furono destinati al qm. N. H. ser Marco Alvise per la carta 1673 – 9 settembre (carta di cui ignorasi il contenuto) e ciò con li frutti tutti dell’anno corrente per la parte però dominica solamente, dovendo ogni una d’esse parti restare in possesso delli medesimi beni rispettivamente ut supra liberamente e senza che possino o per l’ima o per l’altra parte esser praticati sequestri sino che sia terminata la causa pendente al Mag.to Ecc. di Petizione ecc. ».
Ripresa quindi la causa dinanzi ai Giudici di Petizioni, essa si trascinò ancora per molti anni. Degli atti relativi una parte andò smarrita, ma dalla sentenza si rilevano i momenti più importanti dell’iter giudiziario. Con la risposta del 31 maggio 1717 i convenuti chiedono l’assoluzione e dichiarano prive di contenuto le pretese degli attori e gli stessi il 18 giugno 1718 chiedono « per converso » il pagamento dei frutti dei beni di Valle indebitamente percetti dagli attori, fondando la loro domanda sull’accordo del 1713 di cui sopra. Dello stesso giorno è la risposta di Lorenzo Bembo e fratelli, che instano in primo luogo per la decisione della causa principale da loro iniziata e del 1723 sono le scritture delle due parti (6 aprile dei convenuti e 20 aprile degli attori), che insistono ciascuno sulla propria domanda e sulla propria difesa. Infine l’8 luglio dello stesso anno venne pronunziata la decisione, che in primo luogo concede il « taglio » della convenzione chiesta dagli eredi di Marc’Alvise Bembo e in secondo luogo respinge la domanda di Andrea e fratelli Bembo diretta ad ottenere il pagamento dei frutti dei beni di Valle e condanna alle spese i convenuti.
Contro tale sentenza, e precisamente contro il primo punto di essa, si appellarono Andrea e fratelli Bembo al Magistrato dell’Auditor Vecchio e questo intromise la causa (cioè l’assegnò per la decisione in seconda istanza) alla Quarantia Civil Vecchia, che decise il 28 maggio 1725, respingendo l’appello e confermando il capo appellato della sentenza del Magistrato di Petizion. Anche contro questa decisione i perdenti ricorsero al Tribunal della Quarantia Nova, eccependo suspicione d’imparzialità di uno dei giudici, verso il quale uno degli appellanti sarebbe rimasto debitore da lungo tempo di uno zecchino, avuto in prestito all’uscita da un casino di gioco sotto le procurale vecchie, circostanza questa negata dall’eccepito, ma anche questa volta l’appello venne respinto con sentenza del 2 agosto 1725.
La portata della vittoria definitiva dei fratelli Bembo fu Marc’Alvise, in difetto del testamento di Vincenzo Bembo, se la può dedurre dalla situazione di fatto che in quell’epoca venne a sussistere circa i beni di Valle, che rimasero di esclusiva e incontrastata proprietà dei predetti, i quali da allora, unici dei Bembo, compaiono a Valle. Probabilmente i consorti Andrea e fratelli Bembo ricevettero altri beni dell’eredità di Vincenzo situati a Venezia e in terraferma.
Dei cinque figli di Marc’Alvise Bembo qm. Pietro, delle cui nascite si è detto sopra, il più attivo e di maggior prestigio fu Lorenzo, il quale, pur essendo il secondogenito, condusse sino alla definitiva vittoria la causa contro i cugini, figli di Andrea qm. Pietro, e in ogni evenienza egli appare il capo morale della famiglia. Il suo interesse alla proprietà di Valle, dovuto anche al fatto che egli era allora l’unico dei figli di Marc’Alvise ad avere discendenti, appare dai suoi lunghi soggiorni in questo castello, dal fatto che sollecitò ed ottenne varie volte la carica di podestà del luogo (1706-1707, 1711-1712, 1716-1717, 1737-1738) non solo per sé ma anche per il figlio Giacomo (1736-1737) e nel 1737, sotto il suo podestariato, venne eretto nella chiesa collegiata un ricco altare marmoreo per custodire i resti del beato Giuliano Cesarello, divenuto compatrono della chiesa, altare che nell’edificio sacro ricostruito oltre un secolo più tardi, venne collocato in fondo alla navata destra. Lorenzo sposò nel 1698 Francesca Priuli qm. Lorenzo e mori in parrocchia di San Giovanni in Bragora, al secondo piano del palazzo Navagero, sulla riva, il 29 dicembre 1742.
Egli ebbe quattro figli maschi, di cui due (Ferrigo n. 2 gennaio 1705 e Alvise n. 11 giugno 1703) morirono giovinetti, e tre femmine (Paola Lucrezia sposata nel 1725 con Benedetto Balbi qm. Francesco, Lucrezia, sposata nel 1735 con Stae Balbi qm. Zuanne e Pellegrina, sposata nel 1752 con Roberto Boldù qm. Nicolò). Dei due figli maschi che gli sopravvissero, Marc’Alvise (25 settembre 1699 – 10 agosto 1770), marito di Lucrezia Martinengo, testò il 7 ottobre 1769, istituendo erede la moglie e legando al cugino Tommaso Bembo qm. Pietro-Antonio la sua quarta porzione di « entrada », ossia di rendita, spettantegli sui beni comuni e segnatamente sui beni di Valle amministrati dal detto legatario.
Infine Giacomo Bembo qm. Lorenzo (2 ottobre 1704 – 13 settembre 1775), marito in primi voti di Leonilde Longo qm. Vincenzo, vedova di Alvise Bon qm. Zorzi, e in seconde nozze di Giustina Boicovich fu Giovanni-Antonio, con testamento del 12 settembre 1775 istituì erede la moglie, cui raccomandò la cognata Lucrezia Martinengo e nominò commissario, ossia esecutore testamentario, il N. H. ser Zuanne Riva di ser Martino, il quale ottenne, dopo la morte dell’erede, metà dei beni posseduti dal testatore in Istria.
Il terzogenito di Marc’Alvise Bembo qm. Pietro, e cioè Vincenzo, sposò nel 1726 Laura Francesca Avanzi di Marco e mori intestato in parrocchia di S. Ternita il 27 agosto 1741, senza lasciar discendenti. I di lui fratelli Antonio e Andrea devono essere scomparsi prima di aver raggiunto l’età di 18 anni, perché nei registri delle nascite dell’Avogaria di Comun non figura accanto ai loro nomi l’annotazione « habuit bullet-tinum », relativa alla « grazia della barbarella » per l’anticipata ammissione al Maggior Consiglio.
Pietro-Antonio-Lorenzo Bembo, fratello maggiore dei precedenti, rimase pressoché estraneo alle vicende della proprietà di Valle e trascorse la maggior parte della sua vita a Venezia e nei possessi del Levante, dove ricoperse molti uffici pubblici. Di temperamento indipendente condusse una vita appartata dai suoi familiari, sposandosi con Margherita Landò « de domino Carlo » nel 1694, da cui non ebbe figli e che lo lasciò vedovo. Durante la sua permanenza nelle isole Ionie conobbe Emilia Paderni di Giulio, di nobile famiglia udinese, che trovavasi colà per ufficio ricoperto dal di lei padre e la sposò. Da lei ebbe nel 1723 a Vonizza una figlia, Elisabetta (4), e il 28 settembre 1724, al Lazzaretto Vecchio, in Venezia, mentre la nave che lo aveva riportato in patria da Vonizza era in quarantena per il pericolo della peste che era scoppiata su un convoglio veneto proveniente da Costantinopoli al comando del bailo Emo e che aveva fatto scalo a Corfù, un figlio, che, ricevuta l’acqua lustrale, venne battezzato nella chiesa di Santa Ternita il 19 giugno 1725, ricevendo i nomi di Tommaso-Lorenzo. Perduta la madre, i due figlioletti vennero affidati dal padre troppo anziano e assorbito dalle cariche pubbliche al proprio nipote Marc’Alvi se, che non avendo discendenti, li accolse presso di sé e insieme alla propria moglie fu loro prodigo di cure affettuose, vedendo in Tommaso l’unico continuatore della famiglia.
Pietro-Antonio Bembo, da poco di ritorno da Albona, dove resse per 32 mesi quel comune in veste di Podestà, avendo superato gli 86 anni, mori nella parrocchia di San Raffaele il 28 ottobre 1756, alle ore 7, dopo cinque giorni di « letargo e febre ».
La proprietà di Valle, già amministrata da Lorenzo e poi da suo figlio Marc’Alvise, il quale ultimo dal 1733 in poi non accettò proprio per questo motivo nessuna carica pubblica, salvo nel 1769 quella di camerlengo a Verona, che abbandonò per ragioni di salute, aveva bisogno di persona che attendesse al suo governo risiedendo stabilmente sul posto, persona che non poteva essere che il giovane Tommaso, il quale si disinteressò di compiere le pratiche per l’aggregazione al Maggior Consiglio e si trasferi intorno al 1750 a Valle, senza tralasciare però di fare frequenti soggiorni a Venezia, dove aveva congiunti ed interessi.
E a Valle il 13 ottobre 1755, presente il cugino Marc’Alvise, Tommaso sposò Francesca Masato, figlia del dottor Antonio, medico – fisico, nata a Rovigno nel 1730 (5). Da questo matrimonio nacquero, tutti a Valle, ben dieci figli, di cui otto sopravvissero al padre (6), che mori durante uno dei suoi soggiorni veneziani nella parrocchia di San Polo il 20 marzo 1792. La di lui moglie si spense a Valle il 24 aprile 1803.
Tommaso Bembo con testamento del 4 aprile 1785, pubblicato l’8 aprile 1792 da Giovanni Barbieri notaio di Valle, dispose che metà della sua sostanza andasse al figlio primogenito Marc’Alvise e l’altra metà divisa in parti eguali tra i figli Lorenzo, Angelo e Giacomo e ciò dopo aver soddisfatto le doti delle figlie, in quanto i due figli entrati nel sacerdozio avevano avuto già la loro sistemazione economica.
Come Tommaso riusci a ricuperare quasi tutta la proprietà della sua famiglia in Valle con avveduti accordi con gli altri aventi diritto, cosi il suo ultimogenito Giacomo, premortigli i fratelli sposati e estinta la loro discendenza, riuscì a raccogliere ancora una volta la sostanza del casato. Giacomo-Lorenzo ( 7 novembre 1772-20 agosto 1842) continuò la famiglia, avendo condotto all’altare Gertrude della Zonca in data 20 agosto 1815 (7). Egli svolse dal 1797 al 1805 le funzioni di cancelliere e di supplente dei giudicanti del Tribunale Giustiziale del dipartimento di Albona. Ricostituito il Comune di Valle come entità a sé stante nel 1822, egli lo resse come podestà per un ventennio, sino a pochi mesi dalla morte. Gli succedette nella carica per quasi mezzo secolo l’unico figlio sopravvissutogli Tommaso-Giuseppe-Maria (12 luglio 1819-13 settembre 1891), il quale il 25 novembre 1839 sposò a Valle Francesca de Volpi figlia dell’avv. Antonio (19 dicembre 1817-24 marzo 1896) (8).
Tommaso Bembo ricoperse per parecchi anni anche la carica di deputato alla dieta provinciale dell’Istria a Parenzo in rappresentanza del grande possesso fondiario e resse con assennatezza il comune di Valle, cosi che gli riusci di erigere l’edifìcio scolastico, creare il nuovo cimitero, dove fece apprestare decorosa cappella funeraria per sé e per i propri discendenti e concorrere col parroco mons. Paolo Deperis nella ricostruzione del duomo (1882), ideato con molta arditezza dal parroco stesso, il quale volle sistemare in una ampia cripta semisotterranea le pietre scolpite italo-bizantine del vecchio edificio.
A rendimento di grazie per il felice ritorno dalla spedizione in Bosnia del 1878 dei suoi due figli, Tommaso Bembo eresse nel 1883, in fondo alla navata sinistra del duomo, un altare marmoreo di distinta fattura, che racchiude una tela che rappresenta Cristo in croce e i suoi figli affidarono pili tardi alla chiesa stessa un bel dipinto ad olio raffigurante la deposizione dalla Croce, provvedendo ad alimentare di olio la lampada che per voto deve ardervi dinanzi in perpetuità.
I coniugi Tommaso e Francesca Bembo ebbero sette figli, di cui due maschi, Giacomo e Antonio. Il primo, medico (26 dicembre 1850 – 26 febbraio 1935), rimase celibe, esercitò la professione a Dignano e convisse per oltre un trentennio con due sue sorelle, vedove senza figli, Gertrude Sottocorona e Francesca Celigoi, le quali, in adempimento della sua volontà, dopo la sua morte, eressero nel duomo di Dignano, addossandolo alla parete sinistra, un ricco altare marmoreo, associando nell’edificio sacro questo ricordo della famiglia ai resti del beato Leone Bembo (secolo XI) pure colà conservati insieme ad altri corpi santi e provenienti dalla soppressa chiesa di San Lorenzo di Venezia.
L’ultimogenito di Tommaso, Antonio (8 gennaio 1857 -19 marzo 1937) si laureò in legge ed esercitò il notariato a Rovigno, dove mori. Egli sposò il 17 giugno 1885 Giulia Borghi (9) avendone cinque figli, tre femmine, di cui una morta bambina, e due maschi. Il primogenito, Tommaso, laureato in legge, di ampia cultura umanistica, giuridica e musicale, mori infoibato a Gimino nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1943, preceduto nel sepolcro, il 15 maggio 1938, dal fratello Gaetano, distinto enologo. Scomparsa il 18 marzo 1941 Giulia Borghi vedova Bembo, le due figlie Francesca-Romana, moglie dell’ing. Ferdinando Calioni, e Caterina, moglie del dott. Carlo de Franceschi, in seguito agli avvenimenti che portarono alla perdita dell’Istria, si trasferirono con le loro famiglie a Venezia, culla dei loro avi.
Tommaso e Gaetano morirono celibi e Francesca, deceduta a Milano il 12 gennaio 1958, ma sepolta a Venezia, lasciò un figlio e una figlia, i quali, pur non portando il cognome Bembo, insieme alla zia Caterina sono gli unici discendenti del ramo istriano di questa casata, sola tra le patrizie venete ad avere sin dai tempi della Repubblica stabile propaggine nell’Istria, dove lo stemma secentesco apposto tra le quadrifore del palazzo di Valle, oramai abbandonato dall’incuria dei nuovi dominatori, testimonia un passato che con queste note ho voluto salvare dall’oblio.
(1) Camillo de Franceschi – I castelli della Val d’Arsa in Atti e Mem. Della Soc. Istr. di Arch. e St. Patria, vol. XIV, anno 1898, pag. 183 e segg.
(2) Dallo stipite comune Pietro Bembo qm. Andrea e dalla di lui moglie Barbarella Contarini (prima metà del ‘400) attraverso i loro due figli Bernardo e Girolamo discendono i rami della famiglia che diedero il doge Giovanni fu Agostino qm. Benedetto olim Bernardo (nato il 21 agosto 1543, eletto il 2 dicembre 1615, morto il 16 marzo 1618) e Andrea fu Alvise qm. Francesco, olim Girolamo, i quali erano quindi cugini in terzo grado. Il doge non lasciò discendenti e gli agnati dei suoi nipoti ed eredi (i Bembo-Valier di San Zan Degolà) si estinsero nella prima metà del Settecento.
(3) I vari rami delle famiglie patrizie veneziane venivano distinti dalla località cittadina in cui avevano la loro dimora, ma non era cosa rara che la vecchia denominazione venisse conservata anche in caso di cambiamento di abitazione. I Bembo, di cui il presente studio, appaiono come Bembo al Malcanton e oggi ancora c’è una fondamenta che porta questo nome. Colà risiedette Andrea qm. Alvise e molti suoi discendenti, ma i discendenti di Marc’Alvise qm. Pietro vennero distinti come Bembo alla Pietà da quando Lorenzo prese stabile dimora nel palazzo Navagero alla Pietà, malgrado che i suoi figli abitassero in parrocchia di Santa Ternita. e ciò perché nella stessa esisteva altro ramo della casata denominato appunto di Santa Ternita.
(4) Elisabetta Bembo, divenuta adulta, accompagnava il padre nelle sue varie residenze e cosi ad Albona conobbe Domenico Coppe di Angelo qm. Matteo e di Maria Scampicchio qm. Giovanni (n. 2 novembre 1732. m. 20 novembre 1792), capitano di Barbana, col quale si sposò a Valle il 13 febbraio 1757. Essa mori ad Albona l’ 11 agosto 1797, lasciando una figlia a nome Pellegrina, nata dopo un anno di matrimonio.
(5) La famiglia Masato, originaria da Pirano, si trasferi nel 1599 a Rovigno con un Giacomo, che sposò Elena Bronzin di Bortolo e vi mori il 10 settembre 1649. Da costoro, attraverso Pietro, Giacomo e Pietro, discende Antonio, laureato in medicina a Padova il 25 ottobre 1722, che esercitò la professione a Valle e a Rovigno, padre di Francesca, di Isabella (sposata con Daniele Spongia qm. Domenico) e di Nicolò, nato a Valle il 20 aprile 1747, dal quale discende Giovanni, canonico della collegiata di Rovigno (morto nel 1826), distinto compositore di musica sacra.
(6) Pietro-Antonio (n. 20 dicembre 1758), prima canonico a Valle, poi (1784-1831) arciprete di Noventa di Piave, vi mori vecchissimo, dopo aver abbandonata la cura d’anime. Marc’Alvise (24 agosto 1759 – 4 febbraio 1804), avvocato e notaio in Valle, sposò la cugina Pellegrina Coppe, da cui ebbe un figlio, Tommaso-Domenico, che mori giovane e ricoperse la carica di giudice sommario a Valle (1806). Giuseppe-Andrea (6 novembre 1761 – 31 maggio 1839), frate conventuale, poi, nel 1826, secolarizzato per ragioni di salute, fruì dalla cassa sovrana di una rendita annua a titolo di provento di patrimonio ecclesiastico, attese alla cura d’anime nella parrocchia dei Frari a Venezia, dove mori. Maria-Elisabetta sposò Giuseppe figlio del conte Giacomo Lombardo di Pola. Lorenzo, rimasto vedovo di Giovanna Giovanelli, sorella di un cappellano di Valle, entrò nel sacerdozio e mori nel 1806 canonico di Valle. I suoi figli non lasciarono discendenti maschi. Angelo sposò la N.D. Lucrezia Marin che lo lasciò vedovo e senza figli nel 1797. Anna-Lucrezia sposò Pietro de Franceschi qm. Giuseppe da Moncaìvo di Pisino, zio dello storico Carlo.
(7) La famiglia della Zonca, di nobiltà bergamasca, si trasferi in Istria nel secolo XVIII e precisamente a Dignano, dove nacque Gian Andrea dottore in legge e magistrato. La moglie di Giacomo Bembo, nata il 31 ottobre 1783 e morta il 14 dicembre 1831 era figlia di Giovanni e di Andreanna del Senno.
(8) Giuseppe de Volpi venne aggregato nel 1802 al consiglio nobile di Parenzo e successivamente confermato nella nobiltà dall’imperatore Francesco I col predicato ‘ di Monvolpe Suo figlio Antonio, avvocato in Parenzo, sposò a Valle il 26 ottobre 1813 Pasquetta Fiori, ultima discendente di questa ricca e distinta famiglia, la quale gli portò in dote vasti possedimenti terrieri in quel di Valle e di Dignano (Contrada, Barba-riga). Da lui nacquero Antonio, avvocato a Trieste, morto nell’aprile 1893, che sposò Emilia Conti di Cedassammare, della famiglia patrizia triestina (1835-1910) e Francesca sposa di Tommaso Bembo.
(9) I Borghi (un tempo anche Borgo), originari da Vicenza, compaiono a Rovigno nel 1776 con un medico, il dottor Gaetano, proveniente da Corfù, il cui figlio, pure medico, il dottor Giovanni (16 agosto 1777 -29 gennaio 1833) si sposò il 3 febbraio 1830 con Pasqua figlia di Giacomo Damuggia qm. Pietro e da lei ebbe un figlio, Gaetano, laureato in legge e notaio a Rovigno, il quale dalla moglie Caterina Rismondo ebbe un’unica figlia, la predetta Giulia, morendo nel 1868, quando essa aveva quattro anni. I Borghi avevano estese proprietà terriere a Rovigno e a Villa di Rovigno, casa a Rovigno in contrada Carrera, e tra la città e il nuovo cimitero, in località Laste, una chiesetta intitolata alla Madonna Concetta, in cui essi venivano sepolti.
Fonte: «Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria», 1961, IX, LXI.