Fu la sua penna a definire Zara, rasa al suolo dai bombardamenti angloamericani nella Seconda guerra mondiale, “la Dresda dell’Adriatico”; fu il suo libro “Esilio” (Premio Campiello 1996) a contribuire alla conoscenza presso il grande pubblico italiano della Dalmazia multietnica e dell’esodo della martoriata comunità italiana che coinvolse pure la sua famiglia; fu la sua conoscenza diretta nella natia Spalato del feroce comunismo di Tito a condurlo in politica su posizioni convintamente anticomuniste, nel Partito Liberale prima e nel Partito Socialista craxiano in seguito: questo e molto altro fu Vincenzo Bettiza, giornalista, scrittore e politico morto all’età di novant’anni.
Testimone di un secolo e delle sue tragedie, Bettiza ha rappresentato la multiforme cultura della Dalmazia, al di sopra delle critiche che gli sono state mosse da chi invece aveva un approccio maggiormente nazionalistico: erede novecentesco della variegata “nazione dalmata” lumeggiata da Niccolò Tommaseo, mise a frutto la molteplicità delle culture con cui entrò in contatto in gioventù (italiana, slava e tedesca) diventando, come corrispondente da Vienna e da Mosca, uno dei più apprezzati giornalisti e saggisti riguardo le vicende contemporanee della Mitteleuropa e dell’Europa orientale.
La sua firma è comparsa sulle più prestigiose testate nazionali, dal Corriere della Sera (da cui se ne andò a fronte della linea editoriale sinistrorsa di Ottone e Crespi) a La Stampa (sulla quale ha scritto fino alla fine) passando per Il Giornale (di cui fu fondatore assieme a Indro Montanelli e condirettore), Il Resto del Carlino e La Nazione (da lui anche diretti).
Nei suoi saggi (Il comunismo da Budapest a Praga 1956-1968, Il mistero di Lenin. Per un’antropologia dell’homo bolscevicus e L’eclisse del comunismo) e nei suoi romanzi (La campagna elettorale, I fantasmi di Mosca) il totalitarismo comunista è stato analizzato, denunciato e demolito; al Senato ed al Parlamento Europeo cercò di coalizzare liberali e socialisti contro la minaccia totalitaria sovietica, ritrovandosi pertanto nella linea politica di Bettino Craxi.
Uomo libero e di grande cultura, Bettiza fu uno dei tanti esempi di esuli che, pur provenienti da una condizione di benessere ma costretti dalla violenza titoista ad abbandonare in terribili condizioni le terre dell’Adriatico orientale, si rimboccarono le maniche, fecero la gavetta e seppero onestamente conquistare posizioni di rilievo nella società civile italiana.
Renzo Codarin, 28 luglio 2017