Scritto da «Il Piccolo», 31/08/09
A intervalli più o meno regolari Belgrado ricade in tentazione e ci riprova. Riesuma cioè il discorso sui «beni perduti» in Croazia dopo la dissoluzione dell’ex Federativa. Immobili sotto forma di alberghi, motel, case di riposo e sedi di uffici, un tempo di proprietà di imprese, enti e istituzioni serbe ma rimasti oltre il confine dopo la sanguinosa e devastante avventura di Miloševic e dei suoi accoliti e la nascita di tanti suoi cloni un po’ dovunque nello spazio ex jugoslavo. In questi giorni la stampa belgradese è tornata puntualmente alla carica riprendendo il tema di quelli che furono gli averi serbi in Croazia, dislocati soprattutto lungo la costa. Naturalmente sorvolando sui beni croati rimasti anche questi oltre il confine e nazionalizzati dal governo serbo. Stando a quanto riportato ultimamente da giornali e riviste belgradesi ad ampia diffusione, il valore dell’ex patrimonio serbo in territorio croato ammonterebbe a centinaia di milioni di euro. Sempre secondo le stesse fonti giornalistiche, l’elenco di questo singolare «asse ereditario» comprenderebbe come minimo 319 immobili suddivisi tra alberghi, case di riposo aziendali, motel (pure questi ex, oppure già restaurati e rivenduti o fatiscenti e in rovina), negozi, distributori di benzina, uffici di rappresentanza e via enumerando.
Come si è detto, comunque, la stragrande maggior parte di tali immobili è dislocata lungo la fascia litoranea: dalle coste istriane (Rovigno, Pola, Parenzo) a quelle dalmate fino all’area di Ragusa senza escludere le isole, come Brazza, Lesina e Lissa, tanto per citarne solo alcune. L’elenco delle rivendicazioni jugonostalgiche belgradesi include anche una trentina di distributori di benzina, magazzini o depositi e, cosa ben più importante, anche un’aliquota dello Janaf, ossia l’Oleodotto adriatico (Jadranski naftovod) che si diparte dal terminal a mare di Castelmuschio, sull’isola di Veglia, per inoltrarsi verso la Croazia continentale e scindersi nella sua diramazione verso nord (confine ungherese) e in quella verso est, che sfocia in territorio serbo fino a collegarsi con la raffineria di Pancevo. La base giuridica per la rivendicazione di un pezzo di Janaf sarebbe da ravvisarsi nella partecipazione finanziaria serba agli stanziamenti ex jugoslavi per la realizzazione del progetto Janaf (1974-1979).