“Il futuro dei Balcani è nell’Unione Europea”. Questo è quanto veniva affermato, 19 anni fa, nella dichiarazione finale del vertice di Salonicco tra Unione europea e Balcani Occidentali, il primo di una lunga serie di riunioni nelle quali, riadattando le parole del grande Luigi Tenco, i sogni dei paesi della regione sono rimasti ancora sogni. L’ultimo capitolo della serie, tenutosi recentemente a Bruxelles, si è rivelato essere un pessimo antipasto dello “storico” summit del Consiglio europeo durante il quale è stato riconosciuto lo status di candidato di Ucraina e Moldova. Oggi più che mai, la fiamma eterna della “prospettiva europea” dei Balcani Occidentali sembra sul punto di spegnersi.
Lo stallo sul veto bulgaro
Le premesse di questo vertice non erano state di certo tra le migliori. Una risoluzione della questione più spinosa, ovvero quella del veto della Bulgaria sull’inizio dei negoziati d’adesione con la Macedonia del Nord (e, per estensione, con l’Albania), è parsa da subito pressoché impossibile a seguito dell’approvazione da parte del parlamento bulgaro della mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo guidato da Kiril Petkov, propenso a rimuovere tale veto.
Lo stesso primo ministro bulgaro, al suo arrivo al vertice di Bruxelles, ha dichiarato ai giornalisti che il veto sarebbe stato rimosso solo a seguito di un voto parlamentare favorevole. Voto che è arrivato venerdì e con il quale si è dato mandato all’esecutivo di risolvere la questione sulla base della proposta della presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea, che prevedrebbe l’inserimento nel preambolo costituzionale macedone dei bulgari tra le etnie costitutive del paese prima dell’inizio dei negoziati d’adesione. Tuttavia, tale proposta non pare essere ancora in grado di portare ad un punto di svolta nella disputa tra Macedonia del Nord e Bulgaria. Infatti, ai margini del vertice di Bruxelles, il primo ministro macedone Dimitar Kova?evski ha infatti definito la proposta attuale “inaccettabile”.
Il clima di sfiducia generale con il quale si arrivava all’incontro tra leader dell’UE e dei Balcani Occidentali ha portato addirittura i tre paesi fondatori dell’iniziativa “Open Balkans” (Albania, Macedonia del Nord e Serbia) a minacciare un clamoroso boicottaggio. Allarme rientrato, secondo le parole del primo ministro albanese Edi Rama, a seguito del via libera dell’ex primo ministro bulgaro e leader del partito di opposizione GERB, Boyko Borissov, al voto favorevole del suo gruppo parlamentare alla rimozione del veto. Troppo tardi, tuttavia, per sperare in passi avanti concreti all’interno della cornice del vertice del Bruxelles.
Nessuna buona notizia per Kosovo e Bosnia
Il vertice ha purtroppo rispettato le sue deludenti aspettative. Oltre al già menzionato stallo sull’apertura dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, sono mancati progressi significativi anche su altre due importanti questioni. La prima riguarda la liberalizzazione dei visti per il Kosovo, l’unico paese della regione ad attendere ancora tale importante concessione nonostante abbia da ormai 4 anni rispettato tutte le pre-condizioni richieste. In questo caso, non sono i 5 paesi membri dell’UE che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia, Spagna) a rappresentare un ostacolo verso tale traguardo, ma soprattutto riconoscitori come la Francia che si sono rivelati tra i più scettici a discutere la liberalizzazione dei visti. Pristina avrà sicuramente apprezzato le parole del primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, il quale ha affermato di essere favorevole a tale concessione, tuttavia si tratta di una magra consolazione che non porta immediati benefici ai cittadini kosovari.
La seconda questione è quella del riconoscimento dello status di candidato della Bosnia-Erzegovina. Nel giorno in cui Ucraina e Georgia hanno ottenuto tale riconoscimento, il paese balcanico è rimasto nuovamente con le mani vuote, nonostante una domanda di adesione presentata ormai sei anni fa. A poco è servito l’accordo siglato il 12 giugno dai leader dei partiti politici e dai membri della presidenza tripartita (assente il membro croato bosniaco, Dragan ?ovi?) nel quale essi si sono impegnati a preservare una Bosnia-Erzegovina pacifica, stabile e pienamente in linea con i valori dell’UE. Anche il sostegno forte ed esplicito della Slovenia al riconoscimento dello status di candidato non ha sortito gli effetti desiderati. Nelle conclusioni del Consiglio europeo al termine del summit, questo si è detto favorevole a concedere tale status alla Bosnia-Erzegovina, ma allo stesso tempo ha passato la patata bollente alla Commissione chiedendo un aggiornamento sull’attuazione delle 14 priorità chiave indicate nella sua Opinione.
Il disappunto dei leader
Alla fine del vertice tra UE e Balcani Occidentali era prevista una conferenza congiunta del presidente francese Emmanuel Macron e della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, la quale però è stata annullata, ufficialmente per mancanza di tempo. Si sono invece presentati ai microfoni della stampa Kova?evski, Rama e il presidente serbo Aleksandar Vu?i?, i quali non hanno nascosto il loro enorme disappunto e la rabbia per l’ennesimo vertice conclusosi in un nulla di fatto. Il premier macedone ritiene tale fiasco sia stato “un duro colpo per la credibilità dell’Unione Europea”. Particolarmente duro è stato Rama, il quale ha definito il veto bulgaro una “disgrazia”, ma ha sottolineato come non si tratti solamente della Bulgaria, ma dello “spirito corrotto dell’allargamento”. Più pacato è apparso invece Vu?i?, il quale ha ringraziato i due alleati dell’iniziativa Open Balkans per la loro “comprensione” della posizione contraria della Serbia sulle sanzioni contro la Russia e ha esortato l’inizio dei negoziati d’adesione per i due paesi.
La rabbia e la rassegnazione emerse in questa conferenza stampa denotano un certo grado di disillusione da parte dei leader dei paesi balcanici nei confronti di una promessa di futura adesione che pare sempre più difficile da mantenere. Significative sono anche le loro aperture nei confronti della proposta di Macron di creazione di una Comunità Politica Europea, la quale è stato oggetto di discussione del Consiglio europeo e permetterebbe di godere di alcuni dei benefici riservati ai membri dell’Unione Europea senza però ottenere piena adesione. Accontentarsi di una soluzione intermedia potrebbe, tuttavia, generare esiti imprevedibili in una regione in cui i processi di democratizzazione e stabilizzazione sono stati portati avanti in nome della promessa fatta 19 anni fa a Salonicco.
Kevin Dobra
Fonte: EastJournal – 30/06/2022