Scritto da Alvise Armellini
Avanti, ma senza troppo clamore. È questa la direzione intrapresa dal processo di allargamento in un’Unione europea dove l’opinione pubblica è sempre più scettica sull’opportunità di nuove aperture a Est. Eppure nel consuntivo di fine anno si possono elencare numerosi passi in avanti, a partire dallo sblocco dell’Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa) Ue-Serbia e dalla liberalizzazione dei visti per Serbia, Montenegro e Macedonia, senza dimenticare la neutralizzazione del veto sloveno sulla Croazia, che dovrebbe permettere a Zagabria di concludere i negoziati con Bruxelles entro l’anno prossimo. E perfino per la Turchia – il Paese che incontra maggiori resistenze all’interno dell’Ue – il 2009 si è chiuso in maniera migliore del previsto: rispetto ai timori dei mesi scorsi, quando si temeva la paralisi nei rapporti con Bruxelles, il 7 dicembre i ministri degli Esteri dei Ventisette hanno ribadito che i colloqui «rimangono in carreggiata», malgrado il nodo cipriota. Resta da vedere se questa eredità sarà sufficientemente valorizzata dal nuovo commissario all’Allargamento, il ceco Stefan Fuele, che in ogni caso sarà meno influente del suo predecessore Olli Rehn, visto che dovrà esercitare le sue funzioni «in stretta cooperazione» con il nuovo ministro degli Esteri europeo, la britannica Catherine Ashton. E c’è chi sospetta che malgrado l’approvazione del Trattato di Lisbona – che dovrebbe aver posto fine alle tribolazioni istituzionali dell’Ue – la “fatica da allargamento” abbia ormai contagiato irrimediabilmente la Germania. Anche se il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, grande sponsor di Balcani e Turchia nell’Ue, assicura che non è così.
«Il processo di allargamento sta ripartendo, ma a bassa voce perché l’opinione pubblica in molti Stati membri è ostile», sottolinea Antonio Missiroli, direttore degli studi dell’European policy centre, uno dei principali think tank di Bruxelles. Del resto l’ultimo Eurobarometro della Commissione europea, risalente alla scorsa estate, ha segnalato che i favorevoli all’ingresso di nuovi Paesi nell’Ue sono passati per la prima volta in minoranza (43% contro 46%), con punte di opposizione in Austria e Lussemburgo (67% di no), Germania (66%) e Francia (63%). In Italia la situazione è più equilibrata: 45% di contrari contro il 42% di favorevoli, mentre i polacchi sono comprensibilmente i più entusiasti sull’opportunità di nuove aperture a Est (69% di ‘sì’ contro il 17% di ‘no’). «A rigor di logica, ora che abbiamo il Trattato di Lisbona l’argomento ‘niente allargamento senza riforme istituzionali’ (sollevato da Sarkozy e Merkel) non dovrebbe essere più valido», continua Missiroli. «Ma visto che le attitudini sono ostili, è probabile che si vada verso un approccio selettivo», aggiunge.
Il primo Paese a essere premiato dovrebbe essere la Croazia, dal cui Trattato di adesione dipende l’approvazione definitiva di tutti i contentini elargiti ai Paesi recalcitranti sul Trattato di Lisbona: dagli “opt out” (possibilità di non partecipare alle strutture comuni in determinati ambiti) britannici, polacchi e cechi sulla Carta dei diritti fondamentali alle garanzie all’Irlanda su aborto e neutralità militare. Anche per l’Islanda, Paese ricco malgrado la devastante crisi finanziaria dello scorso anno, le porte dell’Ue sono spalancate: il vero problema sarà convincere gli islandesi, sempre più scettici sulla rinuncia alla loro indipendenza in favore di Bruxelles. Sulle prospettive degli altri candidati all’Ue i pareri sono discordi. In Turchia alcuni osservatori guardano con preoccupazione al nuovo presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy, che cinque anni fa si schierò contro l’ingresso di Ankara in nome della difesa delle radici cristiane dell’Ue. Ma l’ex premier belga, interrogato a proposito il giorno della sua nomina, ha chiarito di non aver intenzione di imporsi: «le mie opinioni personali – ha detto – sono totalmente subordinate al punto di vista del Consiglio».
Nei corridoi della Commissione europea qualcun altro si è lamentato della scelta di accorpare le competenze Allargamento e Paesi del vicinato nello stesso portafoglio, sottolineando quanto sia «un pessimo segnale» legare aspiranti Ue come Serbia e Turchia con Paesi del Nord Africa come Marocco ed Egitto, che non hanno alcuna prospettiva europea. Ma Frattini, interpellato da Osservatorio Balcani e Caucaso durante la sua ultima visita a Bruxelles, ha spiegato che alcuni suoi colleghi hanno letto la decisione in segno opposto: ovvero come il tentativo di «prefigurare per il vicinato una strategia di pre-adesione a cominciare da Ucraina e Moldova», ipotesi che l’Italia considera «seriamente prematura». Il capo della Farnesina, tuttavia, prevede per Fuele un commissariato Ue a sovranità limitata, perché sul «dossier allargamento e vicinato il ruolo guida, quello di numero uno, dovrebbe spettare all’Alto rappresentante» Ashton, che di Balcani e Turchia (come di tutti gli altri dossier di politica estera) ha ben poca esperienza. L’altra incognita è legata all’atteggiamento della Germania, segnalato molto più scettico da diverse fonti diplomatiche, complice anche il nuovo obbligo costituzionale che il governo tedesco ha di riferire al Bundestag prima di qualsiasi decisione politica a Bruxelles. «Su queste basi i tempi per l’allargamento diventano… non vorrei dire biblici, ma molto lunghi», ha ammonito recentemente un ambasciatore Ue. Ma anche su questo Frattini ha sostenuto la tesi opposta, sottolineando come il suo omologo tedesco Guido Westerwelle abbia portato al tavolo dei Ventisette posizioni di «assoluto pragmatismo e grande concretezza sia sulla questione Balcani sia sulla questione Turchia».
Lo stesso Missiroli invita a non sopravvalutare le resistenze tedesche: «dopo l’uscita dal governo dei socialdemocratici [favorevoli alla Turchia in Ue, ndr] ci si aspettava una posizione molto più netta da parte di Berlino, invece il cancelliere Merkel ha sorpreso tutti recentemente dichiarando di essere molto meno contraria all’adesione turca rispetto a qualche anno fa». Inoltre l’analista ipotizza che l’allargamento potrebbe diventare una «moneta di scambio» con cui Germania e Francia blandirebbero i Tories di David Cameron, ai quali interessa mantenere aperte le porte alla Turchia. In cambio Berlino e Parigi potrebbero esigere un atteggiamento meno euroscettico dal partito che dovrebbe guidare il prossimo governo di Downing Street. Il clima pragmatico è prevalso all’ultima riunione dei ministri degli Esteri Ue, dove i greco-ciprioti chiedevano di bloccare i negoziati di adesione con Ankara perché la Turchia non ha ancora aperto i propri scali e navi e aerei di Nicosia, in violazione degli accordi di unione doganale in vigore con tutti gli Stati membri Ue. I Ventisette hanno solo registrato la situazione di stallo «con profondo rammarico», ammonendo che «in mancanza di progressi» il congelamento di otto capitoli su 35 deciso nel 2006 «avrà un effetto continuo sull’avanzamento complessivo dei negoziati» e annunciando che la Commissione «monitorerà da vicino e riferirà specificamente» sulla situazione nel prossimo rapporto annuale, atteso a novembre 2010. Ma non hanno approvato nuove sanzioni e hanno consentito a Rehn di dichiarare che entro dicembre verrà avviato un altro capitolo negoziale (sull’Ambiente, ndr), dimostrando come «il processo tra l’Ue e la Turchia sia ancora in carreggiata».
Anche per la Serbia l’incontro del 7 dicembre è stato positivo. «A soli dieci giorni dalla decisione molto significativa sull’abolizione dei visti per i cittadini di Serbia, Montenegro e Macedonia, abbiamo raggiunto un’altra pietra miliare», ha annunciato il commissario finlandese, riferendosi allo «scongelamento» della componente ad interim degli accordi con Belgrado, riguardante gli aspetti commerciali. «È una decisione che l’Italia aveva lungamente atteso e auspicato», ha commentato Frattini, sostenendo che ora la strada è spianata per la presentazione, da parte della Serbia, della domanda di adesione all’Ue «prima di Natale», e ricordando che il nostro «sarà il primo paese ad accogliere il 21 dicembre un gruppo di cittadini serbi nel loro primo viaggio senza visti nell’Ue». Tuttavia la ratifica definitiva dell’Asa da parte dei parlamenti nazionali dei Ventisette è ancora in sospeso, e l’Olanda – che ha tolto il veto sullo sblocco dell’accordo ad interim – ha segnalato che il suo via libera definitivo non arriverà prima della consegna dell’ex generale Ratko Mladi? al Tribunale penale internazionale per l’Ex Jugoslavia (Tpi). Con la Macedonia, invece, il superamento dei veti nazionali non è riuscito. Skopje attende da quattro anni l’inizio dei negoziati di adesione all’Ue, ma la Grecia chiede che venga prima risolta la disputa sul nome “Macedonia”, reclamato da Atene per la sua regione settentrionale. Per accontentare i greci, i macedoni dovrebbero cambiare nome al loro Paese, che nel frattempo è riconosciuto internazionalmente come Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, “Fyrom” secondo l’acronimo inglese. I ministri Ue non ne sono venuti a capo, ma perlomeno si sono dati un termine per farlo: i prossimi sei mesi di presidenza di turno spagnola dell’Ue. Per il resto i Ventisette hanno ricordato i progressi di Montenegro e Albania – le cui domande di adesione all’Ue sono state trasmesse alla Commissione nel corso del 2009 – mentre restano irrisolti i problemi in Bosnia Erzegovina, (instabilità politica che non consente di porre fine alla tutela internazionale) e in Kosovo, non riconosciuto da cinque Stati Ue su 27, inclusa la Spagna prossima presidente di turno Ue.
Fonte: Osservatorio Balcani, 14/12/09.