Gli stretti rapporti fra Pola e Ravenna continuarono a lungo per secoli, tanto è vero che la Chiesa ravennate nel secolo XIII manteneva ancora proprietà in Istria, a Pola e nel suo distretto, il cosiddetto “Feudo di S. Apollinare”.
Sempre nel XIII secolo, perdurava (o era stata ripristinata) la giurisdizione dell’arcivescovo di Ravenna in merito alle cause d’appello dei cittadini di Pola, nonostante essi fossero in quell’epoca sottoposti all’autorità del Sacro Romano Impero, nell’ambito del Regno Italico.
Il dominio dell’Esarcato di Ravenna sulla Venezia marittima e sull’Istria durò per oltre due secoli, mentre nel resto d’Italia, dopo l’invasione dei Longobardi (nell’anno 568) che posero la loro capitale a Pavia, l’autorità bizantina dovette restringersi notevolmente, tanto che la penisola fu divisa fra Longobardia (soggetta ai Longobardi) e Romania (soggetta all’Impero romano d’oriente).
Nel frattempo l’Impero dovette conoscere nuove invasioni: nel 582 gli Avaro-Slavi avevano varcato il limes danubiano e distrutto Sirmio. Successivamente invasero la regione balcanica e fecero incursioni anche in Istria, la quale, come testimonia Paolo Diacono, storico dei Longobardi, corse un grave pericolo e conobbe la furia delle loro devastazioni.
Nel 599 ci fu un primo devastante assalto. Corse in aiuto degli istriani lo stesso esarca di Ravenna Callinico e gli Slavi furono cacciati con grande giubilo anche del papa Gregorio Magno che si congratulò per la vittoria.
Lo stesso papa scriveva in seguito una lettera al vescovo di Salona, capoluogo della Dalmazia (che di lì a poco verrà distrutta ) esternando le sue preoccupazioni non solo per la provincia dalmata, ma anche per l’Italia .”Mi affligge il sapere che voi soffrite, poiché io stesso soffro con voi e m’inquieta la notizia che gli Slavi attraversando l’Istria cominciarono già ad irrompere in Italia”.
Nel 601 circa, una seconda ondata di Avaro-Slavi, questa volta alleati dei Longobardi, invase l’Istria. “Longobardi”, così riporta Paolo Diacono, “cum Avaribus et Sclavis Histrorum fines ingressi, ignibus et rapinis vastaverunt”. Le campagne vennero saccheggiate ed arse, la gente uccisa o fatta schiava, ma le città resistettero e i longobardi, da tempo interessati alla conquista della provincia, vi rinunciarono definitivamente instaurando buoni rapporti con l’Istria bizantina.
Una terza volta, come ci narra il solito Paolo Diacono, nel 611, orde Avaro-Slave penetrarono in Istria, fecero stragi e devastazioni. (“interfectis militibus, lacrimabiliter depraedati sunt”).
In seguito non si ebbe più notizia di altre scorrerie perché alla frontiera delle Alpi Giulie fecero efficace barriera contro gli Slavi i duchi longobardi del Friuli.
Le conseguenze dell’invasione Avaro-Slava nella penisola balcanica furono invece devastanti e gravide di terribili conseguenze. Le fiorenti città romane subirono una distruzione irreversibile, tanto che per lunghi secoli ogni forma di civiltà urbana fu spazzata via.
La civiltà e la lingua latina sopravvissero solo lungo le coste e nelle isole. Le isole di Curzola e di Lesina, come pure le città di Zara e Traù, difese dal mare, resistettero, mentre i profughi romani di Salona fondarono la città di Spalato, prendendo possesso del palazzo di Diocleziano, e quelli di Epidauro fondarono Ragusa ( oggi Dubrovnik).
A Spalato giunse da Ravenna il prete Giovanni (eletto in seguito arcivescovo) che consacrò alla Chiesa i monumenti pagani dell’epoca di Diocleziano; dalle rovine di Salona furono recuperate nascostamente le spoglie dei martiri cristiani. Le loro reliquie, portate successivamente a Roma nel 641 dall’abate Martino (che per incarico del papa dalmata Giovanni IV era stato mandato a riscattare istriani e dalmati ridotti in schiavitù dagli Slavi) vennero poste nel battistero di S. Giovanni in Laterano, nella cappella intitolata a S. Venanzio, primo martire di Dalmazia.