Scritto da Pietro Spirito
La croce è ancora lì, vicino ai resti della base polare austriaca. È la tomba dimenticata dove riposa Tommaso Viscovich-Sturla, di Albona, marinaio della nave Pola, morto il 15 luglio del 1882 tra i ghiacci artici della baia di Marie Muss Bucht, sull’isola di Jan Mayen, al largo della Groelandia. Da allora nessun italiano risulta essere mai stato lì. Fino a qualche settimana fa, quando l’esploratore triestino Enrico Mazzoli ha ritrovato i resti dell’antica stazione polare austriaca e la tomba del marinaio istriano, morto di tubercolosi nel corso della missione, riaprendo così un capitolo della storia delle esplorazioni artiche poco noto ma strettamente legato a Trieste. «È stata una grande emozione – racconta Mazzoli, da poco tornato dalla spedizione – arrivare nel luogo dove i nostri progenitori avevano contribuito a scrivere una delle più significative pagine della storia della ricerca scientifica, visto che l’Anno Polare Internazionale del 1882-1883 segnò la nascita della ricerca scientifica internazionale, è stata grande».
«Tuttavia – aggiunge l’esploratore – l’emozione maggiore l’abbiamo rovata ritrovando la semplice croce in legno che segna il posto dove Tommaso Viscovich-Sturla giace sepolto sotto un mucchio di pietre: è chiaro che nessun congiunto, nessun amico ha mai potuto raccogliersi dinanzi alla tomba di quel giovane, nessuno vi aveva mai potuto potte un fiore».
La storia ritrovata da Mazzoli sulla sperduta isola artica inizia nel 1882. Allora la comunità scientifica dei paesi più sviluppati vara il primo Anno Polare Internazionale, ideato dal triestino di origine tedesca Carl Weyprecht. L’Austria decide di partecipare aprendo una propria stazione di ricerca sull’isola di Jan Mayen, in pieno Artico, mettendo a frutto il meglio della tecnologia di quel tempo. Nell’Arsenale di Pola vengono realizzati gli edifici della stazione che presto si riveleranno all’avanguardia distinguendosi, rispetto alle stazioni realizzate dagli altri Paesi, per le soluzioni tecnologiche avveniristiche, a iniziare dalle costruzioni a sesto acuto. Smontata e caricata sulla nave ausiliaria Pola, la stazione viene trasportata e rimontata a Jan Mayen, non senza difficoltà a causa dei ghiacci che ostacolano l’avvicinamento all’isola. Qui la base rimane operativa dall’agosto del 1882 al luglio del 1883, effettuando i rilevamenti geofisici previsti dai protocolli dell’Anno Polare Internazionale. Di questa missione fanno parte, tra gli altri, il primo ufficiale tenente di vascello Riccardo Basso di Trieste, gli ufficiali Stefano Rocco di Rovigno e Giovanni Samanich di Veglia e i marinai Giuseppe Baretincich di Fiume, Angelo Furlani di Trieste, Giuseppe Giordana di Fiume, Antonio Mukacich di Brazza, Tommaso Diminich di Portoré. Pure il comandante della spedizione, tenente di vascello Emil Edel von Wohlgemuth, viene indicato negli atti ufficiali come “triestino”, in quanto residente in questa città.
Da allora nessun giuliano, e forse nessun italiano, risulta aver più visitato la stazione, situata su quell’isola desolata al di fuori dalle rotte frequentate. «È vero – spiega Mazzoli – che a inizio della stagione estiva alcune navi che effettuano servizio alle Svalbard si fermano per qualche ora, nel trasferimento dall’Inghilterra o dall’Islanda, ma la sosta avviene vicino alla stazione meteorologica norvegese posta sulla costa orientale dell’isola, mentre la vecchia stazione austriaca si trova sul suo versante occidentale e, ovviamente, non vi è alcun collegamento».
Quest’anno, in occasione di un viaggio proposto da Mazzoli e organizzato da Oceanwide Expeditions in collaborazione con il Museo Storico della città di Francoforte sul Meno, è stata allestita una piccola spedizione di studiosi che, pur potendo sbarcare soltanto in una zona più meridionale dell’isola rispetto alla Marie Muss Bucht dove si trovano i resti della stazione polare austriaca, con un percorso a piedi di alcune ha potuto raggiungere i resti della base. Della spedizione facevano parte, oltre a Enrico Mazzoli e a sua moglie Ondina Ninino, il direttore del Museo Storico della città di Francoforte sul Meno Frank Berger, la giornalista del Süddeutche Zeitung Birgit Lutz-Temsch, il geologo dell’Università di Francoforte Sul Meno Georg Kleinschmidt e persino la pronipote di Carl Weyprecht, Heidi von Leszcynski.
L’isola, di origine vulcanica (il suo capo settentrionale è occupato dal Beerenberg, il vulcano attivo più settentrionale del mondo alto 2.300 metri) si presentava spoglia e desolata, con paesaggi decisamente lunari. «Ovunque – racconta Mazzoli – antiche colate di lava, sterminate pietraie, alte falesie di basalto popolate da migliaia di uccelli marini e lunghe distese di sabbia lungo i litorali».
Dopo alcune ore di traversata, i ricercatori sono finalmente giunti al Marie Muss Bucht, dove si è presentato alla loro vista un quadro desolante: della stazione austriaca rimanevano visibili soltanto le fondamenta, mentre i suoi rottami erano sparsi ovunque. «Almeno – conclude l’esploratore triestino – abbiamo potuto rendere omaggio a quei nostri conterranei che lì mossero i primi passi del lungo e proficuo cammino della ricerca scientifica internazionale, e questo, fra l’altro, proprio in chiusura dell’Anno Polare 2007-2009».
Fonte: «Il Piccolo», 06/08/09.