Scritto da Carlo Ghisalberti
Assetto geopolitico e trattati internazionali.
Il TRATTATO DI CAMPOFORMIO del 1797, ponendo fine all’esistenza della repubblica di Venezia ed imponendo la divisione del suo territorio tra l’Austria degli Asburgo e la Francia della rivoluzione, ha concluso, come è noto, una fase della storia dell’Adriatico. Fino allora, infatti, quel mare, per secoli definito Sinus venetorum per l’egemonia pressoché totale che sulle sue coste orientali aveva esercitato la Serenissima diffondendovi la sua civiltà e la sua cultura, era stato difeso dalla potenza della Dominante contro quegli Stati che, come l’Impero degli Asburgo e la Turchia ottomana, aspiravano ad assumerne il controllo. L’Austria, infatti, in possesso di Trieste, dell’Istria orientale e di Fiume voleva da tempo consolidare la sua presenza adriatica garantendosi uno sbocco nel Mediterraneo mentre l’Impero ottomano, che dominava gran parte della penisola danubiano-balcanica, voleva erodere i possessi di Venezia in Dalmazia per avere il controllo dei suoi porti.
Mentre il confine tra la Serenissima e l’Impero degli Asburgo nonostante i contrasti politici era rimasto nel tempo praticamente inalterato, la perenne conflittualità tra la Serenissima ed i turchi aveva inciso fortemente sull’assetto delle frontiere adriatiche. La sconfitta di Venezia sancita dalla PACE DI CANDIA del 1669 aveva segnato il declino pressoché definitivo della sua egemonia nel Mediterraneo orientale, consentendole però di mantenere il possesso di parte dei territori dalmati assoggettati in passato (l’Acquisto Vecchio) ora definiti dalla linea Nani, che comprendeva la fortezza di Clissa sovrastante Spalato ma escludeva Macarsca e la sua riviera.
Esaltata dalla vittoria asburgica sui turchi durante l’assedio di Vienna del 1683 e dalla successiva cacciata di questi dall’Ungheria, Venezia riprese le armi partecipando vittoriosamente alla guerra combattuta dalla Lega Santa contro gli Ottomani ed ottenendo con la PACE DI CARLOWITZ del 1699, malgrado l’opposizione austriaca, oltre la Morea, il riconoscimento della sua sovranità su un più ampio territorio dalmata (il Nuovo Acquisto) presto segnato dalla linea Grimani tracciata nel 1701 che comprendeva tra l’altro Tenin, Dernis e Castelnuovo presso Cattaro.
La ripresa del conflitto durante la guerra di Successione austriaca se consentì ai turchi di ricuperare la Morea portò con la PACE DI PASSAROWITZ del 1718 ad un ulteriore mutamento dei confini dalmati della repubblica di Venezia che estese la sua sovranità sul distretto di Imoski e sulle foci della Narenta (l’Acquisto Nuovissimo). Dovette però accettare le modifiche territoriali segnate dalla linea Mocenigo in favore della repubblica di Ragusa. Questa era protetta nella sua indipendenza dalla decisa politica di neutralità sempre perseguita anche nei confronti dello stesso Impero Ottomano che per ragioni commerciali ne rispettava l’integrità. Quella linea di confine rimase inalterata fino alla caduta della repubblica di Venezia in quanto l’aristocrazia della Serenissima ed il governo turco parvero accettarla.
Fu il TRATTATO DI CAMPOFORMIO, separando la Lombardia, ormai controllata dalla Francia che l’aveva eretta in Repubblica cisalpina prima, italiana poi, da Venezia e dai suoi possessi friulani, istriani e dalmati annessi all’Austria, a dare all’impero degli Asburgo l’agognato controllo di larga parte dell’Adriatico orientale. Restava indipendente ormai sulla costa della Dalmazia soltanto l’antica repubblica di Ragusa. Quel trattato, però, non poteva segnare una pace durevole tra l’Austria e la Francia in quanto i disegni egemonici della Francia napoleonica, consolare prima, imperiale poi, produssero nuovi conflitti e generarono ulteriori mutamenti nell’assetto geopolitico di quei territori che fino al 1797, con l’eccezione di Trieste, dell’Istria orientale e di Fiume, erano stati sotto il governo della Serenissima, come parte della sua Signoria.
La grande vittoria francese di Austerlitz costrinse l’Austria sconfitta ad accettare la PACE DI PRESBURGO del 26 dicembre 1805 con la quale Napoleone, oltre ad imporre agli Asburgo la rinuncia al titolo di imperatori del Sacro Romano Impero, tolse loro il Veneto, l’Istria e la Dalmazia annettendoli al Regno d’Italia nato dalla trasformazione in monarchia della repubblica italiana. Questa decisione fu ben presto seguita dalla debellatio della repubblica di Ragusa, occupata dai francesi nel giugno del 1806, formalmente ratificata nell’anno successivo, dando a Napoleone l’intero controllo della Dalmazia.
L’annessione dell’area adriatica al Regno d’Italia fu però di breve durata in quanto Napoleone ben presto decise di dare un nuovo assetto a quei territori distaccandoli dal Veneto e sottraendoli al governo di Milano. Con la PACE DI VIENNA del 14 ottobre 1809 infatti essi vennero posti sotto la diretta sovranità francese unitamente ad altre aree fino allora sotto il dominio asburgico che di lì a poco costituirono il fulcro delle Province Illiriche istituite con un decreto imperiale del 15 aprile 1811. Queste comprendevano oltre Trieste, l’Istria, la Dalmazia, Ragusa, la Carniola, la Carinzia, la Croazia civile e quella militare e persino una parte del Tirolo, con la conseguenza che a causa della loro mancanza di unità e di omogeneità incrementarono le differenze etniche, religiose, culturali e linguistiche delle popolazioni che le abitavano dando avvio a quei contrasti che, col risveglio delle diverse nazionalità, avrebbero caratterizzato per oltre un secolo le vicende dei tempi successivi.
Il crollo dell’Impero napoleonico modificò radicalmente l’assetto geopolitico dell’Adriatico che col CONGRESSO DI VIENNA svoltosi tra il 1814 ed il 1815 impose la restaurazione dell’egemonia austriaca sulle sue rive mantenendo però ben distinto l’assetto della Venezia Euganea divenuta parte del Lombardo-Veneto da quello dei territori ad est ed a sud di Trieste. Mentre si confermava ulteriormente in questo modo la definitiva scomparsa della Serenissima alcuni dei territori che per secoli le erano stati soggetti venivano inseriti nel Litorale austriaco gravitante intorno a Trieste, altri, invece nel Regno di Dalmazia, le due entità amministrative che definivano i possessi asburgici sulla costa adriatica.
Particolare in questo contesto fu il caso di Fiume che reincorporata al Regno d’Ungheria nel 1822, dopo la rivoluzione del 1848 venne assoggettata al Regno uno e trino di Croazia, Slavonia e Dalmazia fino al 1867, quando con l’Ausgleisch, il compromesso implicante la trasformazione costituzionale dell’Impero austriaco divenuto austro-ungarico e, quindi, formato dalle due corone indipendenti d’Austria e di Ungheria, vide nuovamente riconosciuta la sua autonomia come corpus separatum del Regno d’Ungheria.
Le guerre per l’indipendenza italiana non modificarono l’assetto dell’area alto adriatica anche se l’Austria che aveva perso in conseguenza della sconfitta del 1859 la Lombardia dovette cedere all’Italia dopo il conflitto del 1866 la Venezia Euganea, portando così a ridosso dell’Isonzo il confine tra i due Stati secondo il dettato dell’armistizio di Cormons e della PACE DI VIENNA del 3 ottobre di quell’anno. Né detto confine venne a modificarsi per l’occupazione austro-ungarica della Bosnia Erzegovina nel 1878 e neanche successivamente durante la vigenza della TRIPLICE ALLEANZA siglata dall’Italia con gli Imperi centrali nel 1882 e reiteratamente rinnovata sino allo scoppio della prima guerra mondiale, anche se i governanti di Roma avevano vanamente sperato ai sensi di quell’alleanza di ottenere qualche compenso territoriale in cambio dell’espansione austriaca nell’area balcanica. Né le due guerre balcaniche svoltesi tra il 1912 ed il 1913, vero preludio al conflitto mondiale che si inizierà nel 1914, avrebbero potuto spingere l’Impero asburgico a concessioni territoriali in favore dell’Italia sulle rive adriatiche nel momento in cui crescevano le aspirazioni austriache al controllo totale di quell’area.
L’intervento italiano nel conflitto venne preceduto, come è noto, dalla firma del PATTO DI LONDRA del 26 aprile 1915. Questo prevedeva nell’ipotesi di una vittoria dell’Intesa l’assegnazione all’Italia della Venezia Giulia e dell’Istria fino alla displuviate alpina segnata dal Monte Nevoso e di parte della Dalmazia settentrionale con Zara e Sebenico ma escludeva Fiume, probabilmente per l’incertezza del futuro assetto dell’intera area danubiano-balcanica quando non si pensava allo smembramento totale dell’Austria- Ungheria né alla nascita di una Jugoslavia. Questo assetto si andò definendo solo nell’ultima fase della guerra soprattutto quando dopo il PATTO DI CORFU’, siglato dai vari rappresentanti jugoslavi il 20 luglio 1917, il governo della Serbia acconsentì a dar vita al Regno dei Serbi, Croati, Sloveni, uno Stato che avrebbe contrastato le aspirazioni adriatiche dell’Italia protesa ad ottenere quanto le era stato promesso dal Patto di Londra. Questo era un patto, però, che gli Stati Uniti, entrati in guerra dopo la sua firma, non avevano riconosciuto. Essi proposero ben presto invece con la LINEA WILSON un tracciato di frontiera italo-jugoslavo che escludeva l’Istria orientale, Fiume e la Dalmazia suscitando le reazioni italiane.
Alla CONFERENZA DELLA PACE DI PARIGI che portò al TRATTATO DI SAINT GERMAIN del 10 settembre 1919 implicante la rinuncia dell’Austria ai suoi ex territori adriatici, non poté essere definito il confine definitivo dell’Italia in quanto con un colpo di mano Gabriele d’Annunzio si era impadronito della città di Fiume nell’intento implicito di estendervi la sovranità italiana. Si era venuta così a creare una difficoltà imprevista in quanto la posizione del governo di Roma, che richiedeva adesso oltre i territori dalmati previsti dal Patto di Londra anche Fiume, non era accettata né dagli alleati dell’Intesa né dagli Stati Uniti.
Di qui l’estrema difficoltà di un accordo con la Jugoslavia, che solo col TRATTATO DI RAPALLO del 12 novembre 1920 fu raggiunto riconoscendo all’Italia il possesso della displuviale alpina culminante nel Monte Nevoso e della sola città di Zara nella Dalmazia e prevedendo anche la trasformazione di Fiume in Città libera. Col successivo TRATTATO DI ROMA del 27 gennaio 1924 Fiume fu annessa all’Italia che rinunciò a Porto Baros, un quartiere sudorientale della città, in favore della Jugoslavia.
Da allora la frontiera nordorientale dell’Italia restò immutata fino alla seconda guerra mondiale, malgrado i molti contrasti tra i due Stati confinari. Nel 1941 dopo l’entrata in guerra dell’Italia la Jugoslavia venne invasa ed occupata dalle potenze dell’Asse che ne decretarono lo smembramento. Parte della Slovenia, con la sua capitale Lubiana e l’intera Dalmazia con Sebenico, Spalato, Traù e Cattaro furono occupate dall’Italia che decise di annetterle al suo territorio nazionale suscitando la reazione e la resistenza della popolazione croata e slovena.
Fu così che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 ed il crollo italiano si vennero a porre le basi per un mutamento dell’intero assetto territoriale dell’area adriatica, oggetto palese delle rivendicazioni nei confronti dell’Italia sconfitta della Jugoslavia le cui forze armate avevano assunto alla fine del conflitto il controllo dell’intera Venezia Giulia e per quaranta giorni della stessa Trieste. Dopo le lunghe e laboriose trattative che portarono alla firma del TRATTATO DI PACE tra i vincitori e l’Italia il 10 febbraio 1947, nonostante i tentativi del governo di Roma di migliorarne le clausole, quasi tutta la regione con l’alto Isontino, il Goriziano e le città di Pola, Fiume, Zara furono assegnate alla Jugoslavia mentre veniva decisa la creazione del Territorio Libero di Trieste comprendente oltre il capoluogo una limitata fascia occidentale dell’Istria, la cui parte settentrionale gravitante intorno a Trieste (la Zona A) era occupata dalle truppe anglo-americane mentre quella meridionale più vasta (la Zona B) era controllata da quelle jugoslave.
La constatata impossibilità di giungere all’istituzione del Territorio Libero e ad un accordo definitivo sull’assetto dell’area indussero gli anglo-americani che occupavano la Zona A con Trieste a trasferirla all’amministrazione italiana mentre gli jugoslavi consolidavano la definitiva presa di possesso della Zona B. Il MEMORANDUM D’INTESA del 5 ottobre 1954, facendo cessare le amministrazioni militari delle due zone ed al tempo stesso approvando piccole rettifiche confinarie segnò di fatto la frontiera definitiva tra l’Italia e la Jugoslavia. Questa frontiera sarebbe stata ratificata de jure il 10 novembre 1975 dagli ACCORDI DI OSIMO, sottoscritti dalle due parti che non sarebbero stati messi in discussione dal disfacimento della Federazione jugoslava dopo il 1989 e dalla nascita degli Stati successori di Slovenia e di Croazia.