Scritto da Daniele Terzoli
È morto il 24 aprile a Trieste Gianni Alberto Vitrotti, all’età di 87 anni, cineoperatore e reporter della sede Rai per il Friuli Venezia Giulia, che filmò le foibe e il dramma dell’esodo. Era il decano dei cineoperatori triestini; ma il gene del cinematografo è iscritto nel Dna della sua famiglia fin dai primi anni del Novecento, quando il padre Giovanni Vitrotti iniziava le sue leggendarie avventure come pioniere del cinema italiano nella manifattura piemontese di Arturo Ambrosio. E Gianni Alberto Vitrotti, spentosi ieri a Trieste all’età di 87 anni, ne è stato il degno erede. Era nato nel 1922 a Berlino, dove il padre, dopo aver lavorato con registi italiani di prima classe come Mario Camerini, Luigi Maggi o Guido Antamoro, era emigrato alla volta di nuove esperienze sui set dell’espressionismo. Nel 1945, finita la guerra Gianni Alberto parte per Trieste, occupata dalle truppe alleate, alla ricerca del fratello ferito, Franco. Trova lavoro come corrispondente per l’agenzia di stampa americana Associated Press Photo, poi come operatore per la Nec e per la Universal Film Newsreel di New York.
Con il fratello realizza nel 1947 il documentario «Addio mia cara Pola», le cui riprese divennero spunto e parte integrante dell’unico film di finzione sull’esodo istriano, La città dolente di Mario Bonnard. Nello stesso anno Gianni Alberto gira un altro documentario, Giustizia per la Venezia Giulia, incentrato sul tema delle foibe del Carso triestino e sloveno. Segue poi Genti Giulie, con la firma del Trattato di pace di Parigi che restituisce Monfalcone e Gorizia all’Italia, mentre Vitrotti continua a raccogliere immagini e testimonianze dei fatti del dopoguerra nell’area della Venezia Giulia e dell’Istria, e degli eventi triestini negli anni del Governo Militare Alleato. Nel 1949 fonda assieme al fratello Franco una propria agenzia, dando vita al cinegiornale «Cosmos»: dedicati esclusivamente ad argomenti triestini, dalla cronaca bianca a quella nera e rosa, passando per politica sport e varietà, furono gli unici cinegiornali, insieme alla Settimana Incom, a essere permessi dalla censura anglo-americana.
Vitrotti diventa negli anni Cinquanta il primo operatore Rai a Trieste, ma la sua attività prosegue in parallelo nella produzione indipendente di documentari: il più famoso è certamente Bora su Trieste, che nel 1953 viene premiato con il Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, ma altri titoli non meno degni di nota sono Da Trieste a Lampedusa (1951), Artefici del mosaico (1955), Microsolco, (1961), La misura del tempo (1962), Ultima Maremma (1965). Negli ultimi anni si era dedicato prevalentemente, anche con la collaborazione dei figli, alla costruzione dell’Archivio Vitrotti, per la conservazione di un cine-patrimonio di famiglia che rimane inestimabile e unico.
Fonte: «Il Piccolo», 25/04/09.