Dicono che questo sia il periodo più bello dell’anno. Forse perché le città sembrano acquisire una luce diversa in cui tutte le cose si vestono di abbaglianti lampadine multicolori e decorazioni sfarzose, accompagnate dalle consuete melodie di occasione che invitano a fermarsi un attimo, guardare, ammirare e godere di tutto quello che viene offerto. Il tutto nello spirito della stagione in cui un anno finisce e uno nuovo sta per iniziare. Zara non si vuole assolutamente distinguere da altre città, offrendo alla propria cittadinanza l’ormai tradizionale luogo di ritrovo per tutte le età – un mercatino di Natale nei colori dell’Avvento. Eh sì, due termini cristiani, che sono stati prestati ad usi commerciali, da tempo purtroppo, cancellando tracce di epoche in cui venivano vissuti diversamente.
Vivere nella bontà
Banchetti, festini, rinfreschi, ricevimenti d’occasione, azioni umanitarie, raccolte per i poveri – tutta la società vive nella bontà per celebrare il periodo più bello e più generoso dell’anno. Con questo umore pregnante di felicità e serenità, trascendendo la consuetudine, ecco che mi sfolgora un pensiero, un lampo di luce che porta lontano, assai lontano. Un salto nel tempo e nelle tradizioni. E mi rivolgo all’amico di avventure bibliotecarie, l’onnisciente Giuseppe Sabalich nonché al suo estratto dall’Archivio Storico per la Dalmazia dal titolo “Feste civili e religiose in Dalmazia – Le giostre a Zara (1409-1818)”.
Umore festivo
Con questo dolce umore festivo, mi immergo “nell’età di mezzo, età di oppressori e di oppressi, di fieri baroni e di umili servi della gleba, in cui è sbocciato il fiore mistico della cavalleria, simbolo di pietà e di generosità verso il debole e l’inerme; di cortesia e di rispetto verso la donna”. Il fiore mistico della cavalleria, oggi come allora così prezioso e spesso assente. Mi perseguita di giorno in giorno la stessa domanda: ma quanto è cambiato il cavaliere se ancora oggi, dopo tutti quei secoli bui “quando i tempi correvano tinti di sanguigno e di corrusco per le fiamme degli incendi”, viviamo ancora guerre, violenze di ogni tipo, ma peggio di tutte, indifferenze globali. Direbbero i saggi “il lupo cambia il pelo…” eppure, in quei tempi foschi e cupi, nacquero eventi “in cui si cominciarono a misurare i colpi di spada e di lancia a norma di leggi”. E ribadisco: a norma di leggi. Fu così che la guerra si tramutò in competizione di piazza e, precisamente, dal 1313 quando a Roma si corse la prima giostra e divennero di moda “giostre, giostramenti, tornei, caroselli, passi d’arme”. Le città andavano a gara “nel contendersi un maggior numero di lancie rotte, di cavalieri sbalzati di sella, di doni munifici largiti dalla nobiltà del blasone e dalla ricca mercatura”. In quei tempi si dilettavano a fare le gare, le corse di cavalli per vincere premi in ori e argenti e simpatie di tante belle damigelle. Tra le città dalmate, la città di Zara ci dà per prima una notizia di questi “nobili giochi” e ne riporta “la prima novella sul Reformationes degli Statuti di Zara (1458) in cui informano che nella giornata commemorativa del ritorno di Zara in mano dei Veneziani (1409) si correva al palio a piedi e si tirava con l’arco, e che nell’ottava e nella prima festività dopo di questa, si correva a cavallo”. A tale festa partecipava tutto il popolo, dilettandosi delle bravure dei cavalieri. I “giochi d’arme e le giostre” furono introdotti nella città, grazie alle relazioni civili e commerciali delle città marinare del Levante e come scrive Sabalich “furono propizi a commemorazioni festive”, proprio come oggi, seppure in condizioni e usanze distinte e lontane nel tempo. Seguendo le tracce di questa antica tradizione, i tempi ci rivelano un madrigale scritto in onore di Antonio Donato, nell’occasione dell’abbandono della carica di Capitano della città di Zara. L’Accademia degli Incaloriti, che fiorì a Zara verso la fine del ‘600, celebrò l’evento con la nascita dei seguenti versi che menzionano la virtù guerriera e il braccio esperto che partecipa allo spettacolo vago ovvero la giostra:
MENTRE D’ALTI CAMION NOBILE SCHIERA IN SPETTACOLO VAGO SPIEGA CON FINTI ASSALTI IL SUO VALORE, OH COME BEN DI TUA VIRTÙ GUERRIERA OMBREGGIATA L’IMAGO, O GRAN DONATO, IVI CONTEMPLA IL CORE! CIASCUN LE PROVE DEL SUO BRACCIO ESPERTO CON BEI COLPI DI LANCIA CONSACRA AL TUO GRAN MERTO…
Nei secoli seguenti si cercò in diverse riprese di ripristinare la giostra e questo fu possibile nel primo ‘700. Le giostre si organizzarono in onore di personaggi illustri, provveditori e generali, a partire da Francesco Grimani, Pietro Michiel, Sebastiano Vendramin, Nicolo Venier, Girolamo Maria Balbi e molti altri. Interessanti sono pure i nomi di persone designate come mastri di campo, quali Biasio Soppe, Giovanni Maria Gliubavaz, Pietro Possedaria, Niccolò Pellegrini, in cui si riconoscono cognomi di antiche famiglie zaratine, presenti in città da secoli. Le giostre che ebbero luogo a Zara dal 1400 al 1800 furono per la maggior parte giostre dell’anello mentre in un documento senza data, venne menzionato un altro tipo di giostra – il saraccuo. Sabalich lo menziona e qui di seguito ne riportiamo alcuni passaggi interessanti dove si menzionano luoghi e modalità: “Si sapia che la cale detta la Lizza o sia Carriera, posta tra due Piazze, con decreto dell’ecc.mo Senato, fu stabilito per correre alla giostra, al solo Corpo de’ Nobili della Città li quali arruolano alla loro Compagnia, Nobili forestieri et ufficiali graduati e non altri. (…) Ordinariamente la compagnia è divisa in due Nazioni, Italiana e Turca, e come veste il Cavalliere veste il Padrino e li Lacchè. Il mastro di Campo veste sempre all’Italiana, con due Cavallieri al lato, due agiutanti, uno Italiano l’altro Turco e quatro Lacchè all’Italiana. Per più giorni li Cavallieri addestrano li loro Cavalli, in Lizza, questo è uno steccato piantato di travi all’altezza di tre piedi, al lato dretto ed al manco deve essere alto piedi sei e tutto serrato di tavole, al terminar del quale, sta piantato un grosso Trave alto sette piedi, sopra del quale sta una statua a mezzo busto tinta nera che si chiama il MORO, in positura superba, con la testa levabile per le occorrenze che si diranno, nella mano destra una mazza e nella manca uno scudo al petto tiene”.
Corse di «cavalli e cavallieri»
Immaginando le corse di “cavalli e cavallieri” dei tempi passati, per la via che conduce oggi dalla piazza di San Simeone alla Piazza dei Signori e oltre, mi si presenta dinanzi la statua del Moro, mi sembra di udire grida e schiamazzi, insieme ad incoraggiamenti nelle tre corse dei corridori che gareggiano per vincere palii o premi in argento (candelieri, fruttiere), drappi di seda o pistole; cerco di scorgere e riconoscere le contrade di quei tempi che mi sfuggono. Le contrade sono assenti, i cavalieri sono rappresentanti da giovani di nobili famiglie. Oltre ai nomi suposti dei cavalieri che svariano da Costante, Mustafà, Rinaldo, Selin Bascia, Cavallier Ibernico, Osman, Fortunato, Burai Begh, La Fortuna, Passa la Rumelia, non v’è alcuna menzione delle contrade. Riconosco Pietro Zoilo Massi, Girolamo Fanfogna, Franco Soppe, Francesco Bortolazzi, Giacomo Grimaldi, Giuseppe Lantana, Antonio Nassi, Sebastiano Ponte e tanti altri figli di nobili famiglie zaratine. Le contrade, come quelle di Siene, non vengono menzionate.
Documenti
Dal 1748 si possono trovare documenti che descrivono eventi simili con “formole” che si “affiggevano sotto la Loggia, in Piazza dei Signori dove di solito esponevano anche gli editti e i notai vi tenevano banco”. La giostra di quell’anno fu tenuta in onore dei ”sindici inquisitori”, come li menziona Sabalich: Loredan, Erizzo e Molin. La descrizione continua con: “Questa formola molto grottesca per la sua forma ampollosa e prolissa di stile settecentesco, non è che un peana in onore dei sindici di allora. Ne risulta un pasticcio molto oscuro”, finisce lo stesso Sabalich. Dai documenti del 1759 “balza fuori un nuovo genere di giostra” che viene denominata alla Mastella. Tale genere di giostra acquisì una nota un po’ comica e un po’ grottesca e consisteva nel conquistarsi un premio a chi arrivava il primo, coperto il capo con una mastella. Nel 1770 ebbe luogo a Zara una giostra particolare, una corsa di anello, per la conquista della Figlia dell’Imperator de’ Tartari, che veniva figurata dal maestro di Campo. Di questa corsa esistono informazioni dettagliate che meritano tutta la nostra attenzione perché entrano nei minimi dettagli che qui, per ragioni di spazio, non potranno essere menzionati al completo. In questa giostra si incontrano nuovi tipi di cavalieri tra cui Tartari, Chinesi, Americani, Affricani, Spagnuoli cosicché la giostra potrebbe essere benissimo definita internazionale. I nomi dei cavalieri stranieri rispecchiano le loro origini vicine e lontane. Proseguendo in ordine di presentazione, si incontrano giovani zaratini di quell’epoca che assunsero ruoli di Cavalieri delle cinque nazioni. I primi furono i sei Cavalieri Tartari i cui nomi erano significativi Bizin Kan, con altri Kan come Sinsangen, Bundenfir, Fokka, Bortan e Orda Kan. Gli Americani furono solo tre: Montezuma, Papadir e Schichirat. I quattro Cavalieri Chinesi tutti Principi di paesi come Chiang-Kan, Jankin, Sechuem e Hù Xvarg. I quattro Cavalieri Affricani di nobili origini anche loro perché principi dei loro paesi portavano i nomi di Monomotapa, Nomoemugi, Principe di Congo e di Coango. Gli ultimi cinque in gara, gli Spagnuoli furono i vari don: Don Rodrigo di Valenza, Don Pedrillo di Murcia, Don Alonso di Granada e don Alvaro di Castiglia. Nei nomi veri dei cavalieri che vi presero parte, come lo rivela Sabalich, troviamo i bei nomi del vecchio e ricco patriziato di Zara tra cui vengono menzionati i Nassi, Bortolazzi, Medici, Bona, Balio, Grimaldi, Tebaldi, Papadopolo, Addobbati, Rizzardi, Medun, Panizzoni, Ponte, Stratico e Soppe.
Costumi
Sono impressionanti le descrizioni dei costumi dei vari Cavalieri che dovevano accompagnare l’immagine della loro illustre e/o esotica origine. I Tartari “in testa avranno un baretone di pelle tigrata o di pantera, o altra, che se gli addatti al capo, il quale ripiegandosi a mezzo terminerà alle spalle, ove sarà adorno di un nastro. La descrizione continua nei minimi dettagli mentre il cavallo doveva essere con sella, e bardatture alla Tartara, e in luoco di gualdrappa una Pelle d’orso, Leone, Togre o lupo o altro”. I Chinesi, anche loro “col Baretone a pan di zucchero dipinto alla chinese con freggio dalla parte della fronte ornato di gemme, perle, coralli di vari colori. Le valdrappe de cavalli saranno di seta alla chinese con oro, argento, perle e gioje ben annicchiate, a disegno”. Gli Americani “tutti vestiti di color di carne con abiti setati al dosso per rappresentare l’intiera nudità selvaggia. Anche loro in testa un Barettone che rappresenti un cranio umano nudo di capelli, alcuni pochi de’ quali spunteranno, come un Tuppé dal fronte e nel centro. Ogni Cavaliere cavalcherà senza stivali, perché deve essere nudo in tutto, ed i cavalli dovranno aver per valdrappa pelli di fiere, ed esser senza pettorali”.
Paese che vai, usanze che trovi
Gli Affricani “del pari saranno vestiti di nero per rappresentare la nudità de’ medesimi nel loro colore non escluso il volto, che pure dovrà essere tinto di nero. In capo avranno un berettone fatto da piume di varij uccelli e di varij colori con perle e specchietti vagamente rilevate e intrecciate fra loro, onde si agitino facilmente dal vento, e col moto dei cavalli”. Giungendo alla fine di questa presentazione, troviamo i “Cavallieri Spagnuoli vestiti di nero con veladini corti alla spagnuola, i quali forniti per tutto di merli di fiandra intrecciati con cordelline rosse e bottoniera di Brilli”. “Non più berettone “ma cappello pontato in due ale alla spagnuola con asola, e centurino di gemme, e piuma sollevata sul cappello. I loro cavalli magnificamente bardati all’Italiana”. Il loro seguito era formato da aiutanti, trombetti ed un carro su cui si erano seduti giudici e consiglieri di gara insieme ai pastori con strumenti di arco e fiato. Altre e diverse furono le giostre successive, con ufficiali militari e corse nel Forte cittadino. Gli stessi militari residenti a Zara, i quali, “prescindendo dal fatto che avevano escluso i cittadini e il corpo dei nobili dalla partecipazione alla giostra, avevano infranta l’antica usanza di tenere le giostre nella Calle Carriera, nel centro della città”. Sabalich menziona che nel secolo decimo nono si ebbero notizie di un’ultima giostra che fu tenuta a Zara nel 1818 in occasione delle feste date in onore della venuta dell’imperatore Francesco I. Esistono degli scritti, senza data, che menzionano una successiva tenutasi il giorno dieci Febraro di un anno a noi sconosciuto, dove tra i giostranti apparvero diversi nomi francesi come Deaspreaux e dalle cui descrizioni si deduce la decadenza di stile e di natura dell’evento. Con quest’ultima di cui non esistono dati certi, insieme alla caduta della Serenissima, la giostra zaratina cadde e finì nell’oblio, come tante altre manifestazioni ed istituzioni a Zara. Ci viene naturale esclamare come fece Cicerone: O TEMPORA, O MORES! Oggi, nei tempi che corrono, possiamo tradurla con: Paese che vai, usanze che trovi. Le nostre usanze e tradizioni stanno scomparendo a vista d’occhio e speriamo che forse un giorno, da un viaggio nel tempo, balzerà un Cavalier errante esclamando: tempo che visiti, giostra che trovi.
Mirta Tomas*
Fonte: La Voce del Popolo – 26/12/2023
*docente del Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Zara