Scritto da Michele Ianne, «Rivista Fiume», n. 30, luglio/dicembre 2014
venerdì 23 gennaio 2015
Il romanzo di Stefano Zecchi, attraverso le vicende personali del protagonista Gabriele, ripercorre gli eventi drammatici che hanno travolto la cittá di Fiume e la sua popolazione di lingua italiana dopo la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Gabriele appartiene ad una famiglia borghese benestante, il padre é un ex legionario dannunziano, imprenditore tessile di successo tutto dedito al lavoro, la madre una donna colta e sensibile, che ama la musica. A partire dal maggio 1945, con l’occupazione delle truppe titine, la stragrande maggioranza dei cittadini di lingua italiana sceglie negli anni immediatamente successivi la dolorosa e, purtroppo, prolungata condizione di profughi in un’Italia prostrata dalla guerra. Una minoranza decide invece di restare, per continuare a vivere nei luoghi d i origine anche sotto occupazione jugoslava. Resta anche la famiglia di Gabriele. Questo giovane, colto e intenzionato a partecipare attivamente al nuovo assetto politico e sociale che si sta prospettando con l’avvento del regime comunista, coltiva un sogno, quello di contribuire con i l suo impegno personale all’edificazione di una società più giusta, aperta e solidale. Abbraccia con tutto se stesso l’impegno politico. Ancora studente di liceo, crede fortemente nella possibilità che nasca un mondo nuovo, ove tutte le nazionalità possano riuscire a convivere ed integrarsi pacificamente. Ma il mondo reale che vive gli infligge gradualmente cocenti delusioni.
I primi dubbi lo assalgono quando sente di non condividere l’idea, sostenuta dalla propaganda comunista (ben orchestrata con quella del Partito comunista italiano) che i suoi concittadini, i quali sempre più numerosi scelgono l’esilio, siano solo dei fascisti in fuga dal loro compromettente passato. Gli apre gli occhi ancor piü la misteriosa scomparsa di alcuni tra più autorevoli sostenitori dell’autonomia di Fiume, come Mario Blasich e Nevio Skull (ancora ignorava completamente l’orrore della pulizia etnica e delle foibe). II colpo finale, che lo mette definitivamente di fronte alla realtà, cancellando ogni sua residua illusione, é la rottura politica tra Stalin e Tito del ’48. Questo insanabile e drammatico contrasto tra i due leader fa emergere il volto più spietato del regime comunista jugoslavo, di cui sono vittime con la deportazione all’isola Calva, ove subiscono la più feroce delle detenzioni, lo stesso Gabriele e tanti altri compagni italiani, che avevano osato dissentire dalla linea ufficiale del partito e che alla fine della guerra erano accorsi numerosi con entusiasmo dall’Italia per contribuire al consolidamento in Jugoslavia del comunismo internazionale. Ne vengono stravolte la sua vita e quella della sua famiglia.
Uscito miracolosamente vivo da quell’inferno, per poter sopravvivere é costretto anche lui a seguire la strada dell’esilio, approdando prima a Venezia e poi a Milano, ove faticosamente riesce a ricostruirsi una vita. Indotto da un misterioso invito, decide di tornare a Fiume a distanza di moltissimi anni dopo la disgregazione della Jugoslavia comunista e la nascita della nuova Croazia. Cede, quindi, alla nostalgia dopo lunghissimi anni di esilio per ritrovare nella sua città il senso perduto della sua vita, le sue radici, i ricordi familiari, per piangere sulla tomba dei propri genitori. Ma nei luoghi della sua giovinezza, ove aveva vissuto la sua genuina passione politica, non ritrova quasi più nulla di quel tempo lontano. II suo ritorno a Fiume diventa cosi “un lungo addio al suo passato”. Quando, prima di rientrare in Italia, saluta la sorella “rimasta”, Gabriele le chiede: “Perché non sei venuta in Italia con tuo marito dopo la morte di mamma e papà?”.
La risposta potrebbe essere la stessa che avrebbero potuto dare altri fiumani che nel ’45 non scelsero l’esilio: “Non volevo lasciarmi tutto alle spalle. Sono nata qui, voglio morire qui […]. Prima c’era l’Italia, poi la Jugoslavia, adesso la Croazia […]. Non cambierà il cielo di Fiume, questa bella aria leggera. Passeggio lungo il mare: é sempre lo stesso, nessuno me lo porterà mai via. E poi vado al cimitero. Li ritrovo il papà, la mamma, i nonni. Ritrovo la nostra gente”. “Rose bianche a Fiume” é un romanzo che ci riporta alle atmosfere di quegli anni terribili, ai tormenti morali e materiali che vissero quelle popolazioni di confine. L’autore, attraverso la forma del romanzo, ha saputo magistralmente raccontarci gli anni drammatici vissuti a metà del Novecento dagli italiani di una città di frontiera, che per la sua collocazione geografica é stata nella sua storia sovente soggetta a scontri di potere, e le cui vittime sono state, purtroppo, sempre le inermi ed incolpevoli popolazioni.