Scritto da Roberto Covaz, «Il Piccolo», 21/02/14
venerdì 21 febbraio 2014
La strage di Vergarolla pianificata dall’Ozna, la polizia segreta jugoslava, che il 18 agosto del 1946 provoca la morte di un’ottantina di persone segna il punto di non ritorno: Pola e gran parte dell’Istria sono destinate a diventare Jugoslavia. Nel Cln di Pola si comincia l’organizzazione dell’esodo, ma c’è chi guarda oltre. Si ritiene indispensabile che in città rimanga qualcuno di fidato, capace, una volta che il maresciallo Tito avrà il pieno potere, di trasmettere all’Italia notizie di prima mano su quanto succede in Istria. La scelta cade su un 24enne, già allievo ufficiale della Regia aeronautica e partigiano nelle formazioni antifasciste in Istria. Un ragazzo sveglio, capace di dialogare e farsi rispettare da tutte le parti coinvolte in quei drammatici giorni. Si chiama Sergio Cionci. Qualche giorno dopo la strage di Vergarolla giunge a Pola, sotto le mentite spoglie di dottore, tale Alberto Aini. Ha un primo contatto con Cionci. Lo convoca per un successivo colloquio a Padova. Aini denuncia un’aria dimessa, sembra quasi uno straccione e gira tenendo stretta una lisa borsa da impiegato. Aini non è un dottore qualsiasi. È un tenente colonnello del Servizio segreto militare.
Nella borsa, oltre ad alcuni documenti, c’è una busta gialla contenente 30 mila lire. Cionci la prende e da quel momento e fino al 1952 diventa l’agente segreto Mario Casale, direttore dell’Ufficio corrispondenti delle Venezia, unico domicilio conosciuto la Casella postale Gorizia 72. Palpitante, intrigante, capace di lasciare il lettore con il fiato sospeso è il libro “L’ultimo testimone. Storia dell’agente segreto Sergio Cionci e degli istriani nella Guerra fredda” (editore Gaspari, pagg. 175, 15 euro). L’ha scritto il giornalista goriziano della Rai, Andrea Romoli, che proprio a Gorizia ha scovato questo eccezionale testimone muto degli anni più bui del Novecento giuliano.
Non un libro-intervista, forse una confessione, certamente non completa per Cionci, oggi ancora in forma, che ammetterà a Romoli, a stesura completata, di non aver vuotato tutto il sacco dei segreti. Stimolato a dovere, lo potrebbe fare oggi alle 17.30 nella sala Della Torre della Fondazione Carigo in via Carducci 2 a Gorizia dove, a cura dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, verrà presentato il libro. Con l’autore e il testimone dialogherà lo storico Gianni Oliva che ha curato un efficace prefazione. Introduzione di Maria Grazia Ziberna dell’Anvgd di Gorizia.
Le testimonianze di Cionci raccolte e inquadrate storicamente con chiarezza da Romoli svelano retroscena della Guerra fredda capaci di far riflettere e porsi una semplice domanda: quante volta siamo stati ignari della piega ancora più drammatica che avrebbe potuto prendere l’esistenza della popolazione della Venezia Giulia? L’attività di spionaggio di Cionci-Casale spazia dall’Istria, a Trieste e a Gorizia. Lo 007 è presente nel capoluogo isontino domenica 13 agosto 1950 quando prende corpo uno degli avvenimenti di popolo più straordinari: la Domenica delle scope. A migliaia i goriziani – e non solo – rimasti “di là” varcano il confine per ritornare nella vecchia cara Gorizia. Al termine della giornata, quasi tutti rientreranno a Nova Gorica, in Jugoslavia; le donne acquisteranno in massa scope di saggina. Quel giorno Cionci scatta delle fotografie che il libro di Romoli ripropone. Si tratta di un documento rarissimo. Cionci è abilissimo a muoversi sul terreno minato delle delazioni.
Non sarà facile per lui reinventarsi una vita normale. Lo sfondo delle vicende è rappresentato dal drammatico periodo dell’esodo. In mezzo a tanta gente disperata per essere stata costretta a lasciare Istria, Quarnero e Dalmazia, si mescolano spioni della peggior risma. Conclude amaramente ma opportunamente la sua prefazione Oliva: «La lettura di questo bellissimo volume, che apre uno squarcio ulteriore sulla vicenda del confine nordorientale, lascia un senso di amarezza morale, ben sintetizzata da una delle tante vicende raccontate, quella di Dino Benussi, capo sicurezza nei cantieri di Monfalcone, “italiano” convinto, che s’impicca quando nel 1975 la firma del Trattato di Osimo rende irreversibile il confine del dopoguerra».