Scritto da Rosanna Turcinovich Giuricin, Cdm – Arcipelago Adriatico, 06/03/12
martedì 06 marzo 2012
I tabù quando escono finalmente alla luce del sole, hanno bisogno di essere seguiti, spiegati, raccontati. Trieste: libreria Minerva. Una lunga schiera di relatori con due decani, Fabio Forti, geologo, dell’Associazione Volontari della Libertà e Stelio Spadaro, docente di lettere, esponente della sinistra triestina. Spadaro, in questa occasione, anche nelle vesti di curatore di una collana di volumi della LEG sulla storia civile dell’Adriatico orientale, di cui esce l’ultimo lavoro in ordine di tempo, firmato con Lorenzo Nuovo, intitolato Italiani dell’Adriatico orientale.
A comporre il libro, una nota di Fabio Forti, l’introduzione dei curatori Spadaro-Nuovo e poi i contributi di dieci autori. Qualcuno è presente alla serata durante la quale si assiste a riflessioni dei curatori, di Forti, di Patrick Karlsen e dell’Assessore comunale all’educazione Antonella Grim, sulla necessità di trattenere il dibattito su queste tematiche anche all’interno di prodotti editoriali che focalizzino vari momenti di vita civile che ben riassumono l’evoluzione delle genti di un territorio unico da Trieste alla Dalmazia. Nell’aria c’è ancora la scia lunga del Seminario del MIUR svoltosi qualche settimana fa a Trieste con insegnanti provenienti da tutta Italia, portati a conoscere una realtà composita come quella del confine orientale. La nostra storia, per sessant’anni è stata esclusa dai libri di testo delle scuole italiane, si pone ora il problema di recuperare non solo dati e riferimenti storici sintetici ma anche la didattica di un argomento complesso da spiegare.
Nel libro di Spadaro non si parla di foibe, volutamente, proprio per cercare di affrontare le stesse evitando i luoghi comuni e ragionando su ciò che l’esodo ha determinato in quest’area europea e per quali percorsi il Secolo breve, è riuscito a sconvolgere una realtà già provata da una storia da sempre sul filo del rasoio. Ecco quindi la volontà di dare un contributo alla conoscenza, recuperando dalla storia momenti di particolare interesse che portano in superficie nomi e accadimenti oltremodo importanti per capire un mondo. Non a caso il volume s’apre con una testimonianza di Fabio Forti: racconta che solo a fine Novecento due Capi di Stato tesero la mano all’Associazione Volontari della Libertà per sciogliere la congiura del silenzio sulle tradizioni patriottiche democratiche giuliane che «costituiscono parte del patrimonio culturale e civile della Nazione», afferma Forti.
Nella loro prefazione Spadaro e Nuovo spiegano l’approccio o la filosofia del volume, «costruito attorno a contributi eterogenei», offre uno sguardo complessivo su alcuni tratti della fisionomia civile e politica degli italiani dell’Adriatico orientale. Il riferimento riguarda in particolare esperienze di partiti e movimenti politici e civili. Ad iniziare dal saggio di Ezio Giuricin sul socialismo istriano e la questione nazionale. Quale ruolo ebbe nella società di allora la Sezione italiana adriatica del Partito operaio socialdemocratico dell’Austria? Percorrere il testo significa entrare in uno spaccato di storia che mescola la forte identità italiana delle nostre genti con un sentire sociale di ampio respiro che li porterà a contrastare lo stesso austro marxismo per porsi al fianco dei socialisti trentini con i quali solidarizzarono. La riflessione continua nel saggio di Fabio Todero sulla storia dei repubblicani della Venezia Giulia che apre le porte alla vicenda del dibattito in atto agli inizi del Novecento in una società politicamente plurale che non si può ridurre a semplificazioni partitiche unidirezionali. Ne sono testimonianza le pagine di Vita Nuova che Chiara Vigini ha analizzato nel periodo tra il 1920 ed il 1922. E con questo si chiude il primo capitolo dedicato ai partiti politici.
Il secondo capitolo riguarda le esperienze politiche: con il via da Fiume con l’intervento di Patrizia Hansen che vuole offrire alcuni Appunti di storia. Di fatto entra nel concetto dell’ «identità complessa e stratificata nella cui elaborazione agirono elementi diversi e forze dirompenti e contrastanti, che divennero antagoniste nelle fasi delle lotte nazionali e della radicalizzazione dello scontro tra interessi e rivendicazioni statuali».
Ciò che in letteratura è stato definito la realtà della «maledizione e della speranza» dipendentemente dal contesto politico in cui queste tensione e queste idealità cercano di esprimere se stesse. Capire Fiume significa entrare nel cuore della complessità di una vicenda adriatica sospesa tra la capacità di inventare forme sempre nuove all’interno delle quali esprimere se stessa, ma, nella maggior parte dei casi, compressa e negata perché spesso destinata a precorre i tempi e quindi a far paura alla politica costituita. Pensiamo all’autonomismo fiumano ma anche a quello dalmato che fece tremare l’Impero. Pensiamo alla modernità del Corpus separatum presto soffocato e cancellato perché avrebbe potuto mettere in moto un mondo europeo fatto di situazioni minime, di realtà di nicchia, in un periodo in cui era lungi dal divenire il rispetto del singolo e tutto avveniva per massimi sistemi.
Alla Dalmazia, uno degli esempi più interessanti di particolarismo politico e coraggio civile, è dedicato il saggio di Federico Imperato che propone un escursus dal Risorgimento al Fascismo. Dal punto di vista didattico sia il saggio della Hansen che questo di Imperato, indicano la strada migliore di affrontare l’argomento sulla storia dell’Adriatico orientale. Necessariamente bisogna partire da lontano, cercando le ragioni delle tragedie del Novecento non in banali semplificazioni, tra l’altro quasi offensive di un «occhio per occhio, dente per dente» ma di affondare nella storia, soffermandosi sui particolari. Come fa Paolo Radivo nel suo saggio sulle elezioni comunali del 1922 in Istria che riportano il discorso su una realtà anche politicamente plurale, variegata che esprimeva le varie anime della società di allora in un’Istria divisa tra città e campagna ma già avviata a prendere coscienza nel sociale e nella dimensione nazionale, lontana dal nazionalismo.
L’ultima parte del libro è dedicata all’antifascismo democratico, che vuole essere anche un omaggio al pesante silenzio al quale furono costretti i Volontari della Libertà, quasi a chiudere il cerchio del libro stesso.
Ed ecco quindi gli interventi di Anna Millo su due personaggi come Foschiatti e Schiffrer con il loro contributo fondamentale al pensiero del patriottismo democratico a Trieste. Lo stesso Foschiatti che, come successe in Istria con gli esponenti del CLN, venne ucciso – imprigionato in seguito a delazione e deportato in un campo di concentramento – seguendo la medesima dinamica di decapitare i vertici politici democratici che rappresentavano chiaramente una minaccia. Così con Guido Rumici s’entra anche nella Resistenza patriottica italiana in Istria, spesso abbandonata a se stessa, ignara di decisioni già prese dalle grandi potenze contro le quali tutto sarebbe stato inutile. Due ultimi saggi per chiudere il volume, il primo di Diana De Rosa dedicato alla figura di Manlio Malabotta, strettamente connesso a quello di Roberto Dedenaro che si sofferma sull’italianità di Trieste. Argomenti di non facile comprensione se non si riesce a sgombrare il campo da tutti i luoghi comuni che la politica ufficiale ha costruito per poter imperare in un mondo di confine che non è mai stato in bianco e nero ma che ha bisogno di poter esprimere tutte le sfumature per sentirsi libero e crescere. L’auspicio è che il libro ora entri nelle scuole con presentazioni ed incontri.