Scritto da Giacomo Scotti, «La Voce del Popolo», 16/01/12
lunedì 16 gennaio 2012
Poeta, romanziere, saggista e traduttore, lo sloveno Ciril Zlobec è noto nei circoli letterari italiani per essere il più fecondo italianista della Slovenia di tutti i tempi. Negli ultimi giorni del 2011 appena tramontato è uscito a Trieste, per le edizioni ZTT-EST della minoranza slovena in Italia un libro di suoi ricordi dal titolo Vse daljeve niso dale? (tradotto in italiano Non tutte le lontananze sono lontane, 276 pp., ill.). Il sottotitolo ne spiega subito i contenuti: «italijanska sre?anja slovenskega pesnika», incontri italiani di un poeta sloveno. La prefazione è di Miran Košuta, saggista sloveno triestino, docente universitario nella città di San Giusto, e ha per titolo una parafrasi del sottotitolo dato al libro dal suo autore: «Non tutte le vicinanze sono vicine, non tutte le lontananze sono lontane». Al posto di Zlobec, che sta percorrendo la strada degli ottantasette anni (nacque nel 1925 a Ponikve presso Sesana) molti scrittori anche meno famosi ed eminenti di lui avrebbero pubblicato un’autobiografia. Lui, invece, ha pensato agli amici, ha scritto un libro pieno di calore umano per ricordare gli amici, che sono – guarda caso – quasi tutti scrittori e poeti (ma non solo) italiani. Perché Zlobec ha trascorso interamente la sua vita, nel bene e nel male, nel segno dell’Italia, della cultura e della letteratura italiana. Meritatamente, perciò, è stato insignito dell’Ordine della solidarietà italiana e del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana. E già che ci siamo, ricordiamo pure i premi letterari assegnatigli in Italia: Città dello Stretto, Eugenio Montale, Campiello, Giuseppe Acerbi, Carlo Betocchi, Circe Sabaudia, Sigillo della Città di Trieste, Fulvio Tomizza…
Un amore imprevedibile Eppure gli inizi della sua “carriera” non facevano affatto prevedere l’amore che Zlobec ha portato e porta alla nostra letteratura e che ha dato frutti eccezionali. Cacciato dal Ginnasio di Capodistria sul finire dell’estate del 1941 per essere stato sorpreso a scrivere poesie e racconti nella “stramaledetta” lingua slovena vietata dalle leggi fasciste, venne confinato in Abruzzo all’età di diciassette anni. Tornato a casa nel settembre del 1943, si unì subito ai partigiani, dapprima come combattente e poi come maestro elementare delle “scuole del bosco”. Nel dopoguerra poté finalmente concludere il Liceo, studiare all’Università, e infine “guadagnarsi il pane” come giornalista della carta stampata e della televisione, impegnandosi anche in attività socio-politica: due volte eletto al parlamento repubblicano, fu vicepresidente dell’Alleanza socialista, per lunghi anni vicepresidente dell’Accademia delle arti e scienze della Slovenia, ma anche presidente dell’Associazione degli scrittori della Jugoslavia. L’ultima sua funzione prettamente politica fu quella di vicepresidente della Repubblica di Slovenia subito dopo il distacco dalla Federazione jugoslava.
Ricca bibliografia Naturalmente la letteratura fu sempre al centro del suo interesse, come dimostrano le ventotto raccolte di poesia pubblicate tra il 1957 e il 2010, tre romanzi, sei opere di saggistica letteraria, otto antologie, di cui due apparse in Italia: Letteratura e arte figurativa nella Jugoslavia del dopoguerra (Caltanissetta – Roma 1952, e Nuova poesia jugoslava (Parma, 1966) alle quali il sottoscritto diede il suo contributo come traduttore. Merita d’essere menzionata anche Sodobna italijanska lirika (Lirica italiana contemporanea) apparsa a Lubiana nel 1968 nella quale Zlobec presentò (e tradusse) una cinquantina di poeti italiani del Novecento, inserendovi anche tre della “Piccola Italia” jugoslava: Osvaldo Ramous, Lucifero Martini e Giacomo Scotti.
La bibliografia italiana di Ciril Zlobec si è arricchita con la traduzione in sloveno di oltre trenta grandi poeti e romanzieri italiani apparsi in volumi a sé stanti da lui stesso curati, a partire dal capolavoro di Dante per continuare con Leopardi, Carducci, Quasimodo, Montale, Ungaretti, Moravia, Malaparte, Sciascia, Tomasi di Lampedusa. Sull’esempio di Zlobec, poi, altri suoi connazionali hanno continuato ad arricchire le biblioteche della Slovenia con opere della grande letteratura italiana di tutti i tempi. Gli amici di Zlobec in Italia, a loro volta, hanno presentato la sua opera poetica agli Italiani. Finora sono apparse cinque raccolte di poesie: Ritorni sul Carso (1982), Vicinanze (1987), La mia breve eternità (1991), Itinerario d’amore (1997) e Amore – sole nero e oro solare (2004) contenenti componimenti tradotti da Giacomo Scotti, Arnaldo Bressan, Luciano Morandini, Ubaldino Sampaoli, Luciano Luisi e Grytzko Mascioni.
Tra i suoi temi pure quello delle minoranze nazionali I connazionali dell’Istria e Fiume, i più anziani e tutti coloro che amano sfogliare i vecchi fascicoli della rivista culturale «La Battana», troveranno il nome di Ciril Zlobec fra i più assidui ai convegni letterari organizzati dai redattori di quella rivista, per oltre venti anni, ogni anno, insieme a scrittori, poeti e saggisti di tutte le regioni ex jugoslave e dell’Italia. Sulle pagine della rivista troveranno pure i suoi contributi, a cominciare dalla poesia, dal maggio 1966 fino al dicembre del 1990. Uno dei temi di cui si occupava al di fuori della poesia, nel campo socio-politico, fu quello delle minoranze. Ne troviamo una prova proprio su «La Battana» del settembre-dicembre 1989 nel suo testo Minoranze fra maledizione e speranza.
Lo Zlobec, che da bambino si prendeva schiaffi e sputi in faccia, come racconta, da maestri e professori fascisti, che fu poi mandato minorenne al confino e vi subì altre umiliazioni, ha saputo presentare ai suoi connazionali con la sua opera letteraria, un’Italia genuina, quella della grande cultura, e quindi ha rinnovato presso gli Sloveni anche con questo libro la simpatia da lui sempre coltivata per gli Italiani. In questi suoi incontri nei quali non dimentica nessuno degli amici italiani incontrati nella vita, da Quasimodo a Sciascia, Moravia, Giacinto Spagnoletti, Danilo Dolci, Mascioni, Scotti, Luciano Morandini, Fulvio Tomizza e tanti altri, Zlobec comincia il racconto dagli anni del ginnasio. In quell’epoca, frequentando la quarta ginnasiale, nel marzo del 1941, tradusse in sloveno i primi sonetti di Dante (Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia… ed altri), ma anche versi dei Sepolcri di Foscolo, l’Inno a Satana di Carducci, e ancora di Leopardi, Tasso, Ariosto.
Ma la traduzione era in una lingua proibita, da cancellare; parte della Slovenia era occupata dalle truppe mandate da Mussolini e annessa all’Italia come “Provincia di Lubiana” e allora… Allora scrivere in sloveno era un gesto da ribelle, da punire col confino… Ciril vi fu mandato nel dicembre di quel Quarantuno. Poi, sconfitti i fascisti, passata la guerra, Ciril tornò alla propria poesia ed ai poeti italiani da «tradurre per amore». È lui, Zlobec, che così si esprime. In Italia lo “scoprirono” fin dai primi anni Cinquanta, a sua volta tradotto dagli amici fiumani e friulani.
Viaggi nella cultura del Belpaese Prese allora a viaggiare, spostandosi da un convegno e simposio all’altro, da una città all’altra della Penisola, dalla Sicilia a Milano e Verona, dalla Calabria a Venezia e Trieste. Così ci troviamo di fronte ai capitoli del suo libro intitolati, per citarne alcuni, così: “Con il Nobel Salvatore Quasimodo”, “Incontro con Alberto Moravia”, “In casa del grande Ungaretti”, “Due magnifici amici: Luciano Morandini a Udine e Leonardo Sciascia in Sicilia”. Sono testi che, insieme ad altri, formano la prima parte del volume degli incontri italiani del poeta sloveno. Nella seconda parte, “Quando la poesia diventa simbolo di amicizia”, incontriamo nuovamente Luciano Morandini insieme al suo concittadino Domenico Cadoresi, seguiti da “L’infallibile Giacomo Scotti”, “L’amico Fulvio Tomizza” e “Giacinto Spagnoletti, il mio amico migliore”. Seguono alcuni brevi saggi sulla poesia di Zlobec scritti da Dante Maffia, Arnaldo Bressan, Grytzko Mascioni, Luciano Luisi, Elvio Guagnini. A sua volta Zlobec pubblica qui, per la prima volta, poesie sue scritte in memoria di cari amici scomparsi: Tomizza, Mascioni, Sciascia, Spagnoletti…
Un volume che va tradotto Nella terza ed ultima parte del libro di Zlobec troviamo testi di interventi del poeta-traduttore a convegni e congressi in Italia, fra cui uno svoltosi a Trieste nel settembre 1994 sul tema “Il ruolo culturale delle minoranze nella nuova realtà europea”. Zlobec intitolò il suo “Quando la minoranza diventa un malinteso”, vale a dire un problema. Mi venne in mente, allora, il titolo di uno dei libri di saggistica dello stesso Zlobec dal titolo Lepo je biti Slovenec, ni pa lahko: è bello essere Sloveno, ma non è facile. Un concetto che ripeteva spesso nei nostri incontri, ed io lo ripetevo sostituendo “Sloveno” con “Italiano”, riferendomi ai connazionali rimasti in Slovenia e Croazia.
A quel congresso di Trieste, difendendo i diritti delle minoranze slovena in Italia e italiana oltre confine, Zlobec disse tra l’altro: «La reale posizione della minoranza non è mai tale da essere soddisfacente per la minoranza». E più avanti: «Le minoranze sono qui e vi resteranno… Resteranno con il loro e nostro problema. Ma con la loro bicultura, il loro bilinguismo e con il dialogo potranno servire da modello di convivenza. A condizione però che ci sia per essi una vera democrazia». Che dire per concludere? Gli argomenti toccati nel libro da Zlobec sono tanti – oltre a quelli scaturiti dagli incontri con gli amici italiani – e così scottanti e presenti nell’ex Jugoslavia, nel Mediterraneo e in Europa, soprattutto i temi sulle minoranze, che il volume meriterebbe di essere tradotto e presentato agli Italiani.