Sono passati più di sette decenni dall’uccisione di don Francesco Bonifacio e nonostante lunghe e minuziose ricerche sulle circostanze della sua morte, non sono stati ancora rinvenuti i suoi resti. Con la passione del credente e l’intelligenza dello storico, il triestino originario di Pirano Mario Ravalico ha riproposto la figura del sacerdote non sufficientemente conosciuta e valorizzata nel libro “Che Dio ci perdoni tutti”. Sono proprio queste le ultime parole pronunciate da don Francesco prima della sua morte, sentimenti che hanno caratterizzato la sua vita intera protesa verso il prossimo.
“Chi non osa morire per la sua fede non è degno di professarla”, scriveva il parroco nel suo diario poco prima della tragica fine. Francesco Bonifacio, nato il 7 settembre 1912 a Pirano, ha studiato a Capodistria e Gorizia e ha servito come sacerdote a Cittanova e Crassiza. Nella tesa atmosfera del periodo bellico e dell’immediato dopoguerra in Istria, pervasa da una violenza rivoluzionaria, l’uomo era in costante pericolo come prete e come italiano.
Ad oggi non è del tutto chiaro dove e come morì l’11 settembre del 1946 dopo che, come confermato da alcuni testimoni, alcune guardie popolari lo arrestarono lungo la strada tra Grisignana e Buie. Il processo diocesano per la sua beatificazione fu avviato già nel 1956, dove venne riconosciuto martire, morto “in odium fidei” ovvero per odio alla religione e fu beatificato a Trieste il 4 ottobre del 2008.
Ravalico ha raccolto nel libro i risultati di anni di ricerca per ricostruire in un affresco molto completo, la biografia e le ultime ore del “prete di campagna”. Dopo Trieste e Crassiza, il volume è stato presentato presso il santuario della Madonna della Visione di Strugnano attraverso un dialogo tra l’autore e lo storico Kristjan Knez, seguito da un attento pubblico.
“Riproporre il lavoro svolto da Ravalico sul Santo acquista importanza sia per il messaggio di fede che trasmette sia per ripercorre la storia, uno dei tasselli fondamentali per capire il periodo del dopoguerra”, ha sottolineato negli indirizzi di saluto Andrea Bartole, presidente della CAN di Pirano che assieme alla CI “Giuseppe Tartini” e alla Società di studi storici e geografici di Pirano ha organizzato l’evento.
“Un periodo triste, che porta in sé l’orrore della capacità del genere umano di compiere gesti ignobili e chi non ha vissuto in prima persona il periodo, attraverso tali testi riesce ad avere elementi in più per poter ragionare sull’atmosfera che si viveva allora”, ha concluso Bartole.
Un cenno di saluto è stato rivolto pure dal parroco don Bojan Ravbar, da Gianfranco Bonifacio, nipote di don Francesco e da David Di Paoli Paulovich, presidente dell’Associazione delle Comunità istriane di Trieste che ha pubblicato il volume.
Dopo una breve introduzione con le principali coordinate storiche fornite da Knez, Ravalico si è soffermato su aneddoti e curiosità che hanno accompagnato le sue indagini. Siccome rimangono delle zone d’ombra sull’ultimo atto, l’autore ha annunciato di voler continuare le ricerche, poiché dopo decenni, rimane ancora ignoto il sito dove giacciono le spoglie del Beato che sembrerebbe, dopo il tramonto di altre ipotesi, si trovino tra Levade e il cimitero di San Bortolo frazione di Montona. Per districare l’enigma, anche la Polizia croata sta indagando sul caso, ma molte informazioni non vengono alla luce, a detta di Ravalico, per una sorta di giuramento fatto di non voler tradire anche dopo tutti questi anni.
Mariella Mehle
Fonte: La Voce del Popolo – 15/05/2023