Cherso, le pecore, l’Europa

Arrivano prima loro. In una macchina ci sono la moglie di Franjo, Giovanna, la sorella Izidora e due nipotine, Veronika e Rebeka. “Franjo sta arrivando, vi accompagniamo al nostro terreno, dove ci sono le pecore”, ci anticipa la moglie. Le stavamo aspettando al bordo di uno sterrato su un altopiano tra il lago di Vrana e Ossero, dove un piccolo ponte semovente supera il canale artificiale che separa l’isola di Cherso da quella di Lussino.

I colori sono bruni, per la stagione e la poca pioggia. Nei cieli di questa parte dell’isola non i gabbiani ma i grifoni. I muri a secco contengono delle esplosioni di ginepro e rosmarino.

“Il suolo d’entrambe le parti dell’Isola è montuoso generalmente, e seminato di pietre. (…) Il più esteso di questi deserti è una vetta piana de monti, che stendesi per cinque miglia da Orletz sino di là da Vrana lungo la via, che conduce a Osero. Gli abitanti chiamano que’ luoghi Arabia Petrea. Eglino somministrano però un ottimo pascolo alle pecore, che fra pietra, e pietra vanno cogliendo la minuta gramigna, ed erbe odorose, per lo qual pascolo pingui divengono oltremodo, e danno il miglior latte, che si possa desiderare; ond’è che la giuncata, le ricotte, e tutti i cibi analoghi sono squisiti a Cherso”, Alberto Fortis, 1771

Risaliamo in macchina e le seguiamo lentamente, il fondo è accidentato. La strada sterrata è una retta lineare, interrotta da un susseguirsi regolare di cancellate. Una delle due ragazze, Veronika, puntualmente scende dalla macchina, apre il cancello, aspetta che passiamo e diligente richiude. Ogni terreno, della grandezza di qualche ettaro, è cinto da muretti a secco, qui detti groma?e e, dove mancano, rete metallica. Rinchiudono il pascolo per le pecore, allevamento tradizionale, presenza visibile e costante in tutta l’isola in questi mesi invernali.

“D’estate durante il giorno le si vede meno. Si riparano all’ombra”, ci racconta Izidora, una volta arrivati alla proprietà della famiglia mentre le ragazze distribuiscono alle pecore pezzi di pane secco, portati con loro in borse di plastica. “Le abbiamo abituate così – continua Izidora – per fare in modo che quando arriviamo vengano da noi. Così, se serve, le possiamo mungere facilmente”. Sull’isola le pecore vengono infatti allevate allo stato brado per tutto l’anno, spostate regolarmente da un’area all’altra per permettere ai pascoli di rigenerarsi. Da qui la straordinaria qualità della carne d’agnello di Cherso, suo vero e proprio “brand” gastronomico. È proprio il persistere di questa antica tecnica di allevamento che ha permesso al grifone, specie a rischio di estinzione che si nutre esclusivamente di carogne d’animale, di sopravvivere.

A Cherso con la famiglia di Franjo – foto di Davide Sighele

I tipici muretti a secco di Cherso – foto di Davide Sighele

Franjo e le sue pecore – foto di Davide Sighele

Arriva Franjo. Nei suoi primi gesti l’essenza della sua vita. Scende dalla macchina e la moglie lo aiuta ad indossare una tuta da lavoro integrale, a coprire pantaloni, maglioncino e camicia. Poi cambia le scarpe. Ha appena finito la sua giornata da funzionario del comune di Lussinpiccolo ed ora, a metà pomeriggio, inizia ad occuparsi del gregge e delle altre attività agricole tradizionali della sua famiglia: olivi e apicoltura.

Ha 35 anni ed un forte attaccamento all’isola ed ai suoi paesaggi. “Ho studiato fuori dall’isola, viaggio spesso, ma è qui che voglio vivere”. “Cosa mi piace di più delle pecore? Dopo un po’ di ore mi guardo indietro e vedo tante cose fatte e stacco da tutti quei fogli Excel su cui lavoro il resto del giorno”.

Lubenizze

A Lubenizze – foto di Davide Sighele

Lubenizze è un approdo di pietre ordinate in una paesaggio carsico increspato, domina da un lato una scogliera e il mare, dall’altra un bosco di roverelle, querce e lecci con alcuni terrazzamenti coltivati. All’estremità del paese, leggermente discosta dalle case, una chiesetta con il proprio cimitero. È lì che Veronika, nipote di Franjo, osserva con il binocolo i campi e pascoli sottostanti. “Eccoli, laggiù, sono due”. Alcune chiazze marroni si muovono lente su un pascolo imbrunito. “Sono femmine probabilmente, da qualche parte ci sono anche i piccoli. Adesso vado a dirlo alla nonna, che sono qui”. Sono cinghiali, una piaga per l’isola: vanno in competizione con le pecore per l’erba, ma non solo. Ne mangiano anche gli agnellini e devastano i campi, con il muso, in cerca di ghiande e radici. La loro presenza è evidente anche negli orti attigui alle case, nel cuore del paese, con la terra che sembra sommariamente arata. 

Franjo nel 2018 ha partecipato ad un bando indetto dal LAG “Kvarnerski otoci”  (Local Action Group- LEADER/CLLD programme), grazie a fondi della politica di coesione Ue, per sostenere giovani agricoltori. “Ho scritto un progetto ed ho ottenuto un finanziamento che mi ha permesso di recintare con filo elettrico tre mie proprietà e di sradicare i ginepri”. Lo ha fatto per proteggere le proprie pecore dai cinghiali, specie alloctona e vera piaga nell’isola. “Purtroppo si sono riprodotti in modo incontrollato. Sono stati introdotti per essere cacciati, è un business, cacciatori dalla terraferma e dall’estero vengono qui e sono pronti a pagare migliaia di euro per un bel trofeo”. Ma, nei periodi di carenza di cibo, i cinghiali aggrediscono e si cibano degli agnelli, facendo tabula rasa anche di altra fauna locale. “È dal 2010 che noi allevatori ci siamo riuniti in un’associazione di caccia per contenere cinghiali e mufloni. Ma è una situazione difficile e spesso è chi ha guadagni nell’accompagnare cacciatori che vengono da fuori ad essere responsabile per la diffusione dei cinghiali. È un’arma a doppio taglio, la politica ha portato i cinghiali sull’isola e solo la politica può trovare una soluzione”.

Franjo sta anche pensando alla scrittura di un progetto Interreg con partner italiani per finanziare uno studio sul problema. E poi partire da lì per risolverlo. A Lussinpiccolo si occupa infatti di progettazione europea. “Poco dopo aver partecipato al bando per i giovani agricoltori mi è stato offerto un lavoro in comune proprio per occuparmi di progetti europei –  racconta Franjo – sulle due isole, Cherso e Lussino, siamo comuni piccoli ma ci stiamo strutturando per poter sfruttare le opportunità di sviluppo che arrivano dall’Europa”.

Franjo si volta verso la moglie, le sorride, entrambi guardano alle due nipotine con in braccio gli agnelli nati da poco. Vivono intensamente la loro comunità. “Abitiamo in un piccolo paese, Loznati, nell’entroterra dell’isola. Poche famiglie. Ed è forse per questo che ci viene più naturale pensare in termini collettivi, forse più di chi vive in città”. 

Grande risorsa e al contempo pericolo per l’isola è il turismo. “Direttamente o indirettamente tutti noi viviamo di turismo, ed è una grande fortuna. Ma mi capita spesso di proporre progetti e nuove opportunità e di sentirmi rispondere: ‘Ma perché darsi tanto da fare, a noi bastano gli affitti dei nostri appartamenti’. A dire il vero qualcosa dopo il covid è cambiato, alcuni miei coetanei hanno visto cosa accade se il flusso turistico si interrompe, si è sgretolata loro qualche certezza ed hanno iniziato, ad esempio, a recuperare gli ulivi dei nonni”. “Per fortuna, come ricordano i nostri anziani – aggiunge la sorella di Franjo – la vite se non curata muore, ma gli ulivi invece sanno aspettare”.

Mentre stiamo per terminare la nostra chiacchierata ci si avvicinano alcune pecore, come avessero capito che l’attenzione di Franjo, presto, sarebbe passata su di loro. Ognuna ha un nome. “Quella è Flora, era di mia nonna. Non riusciva più a tenerla, perché era troppo anziana, voleva macellarla. Eravamo da lei a cena e l’abbiamo presa noi, portandocela di ritorno sull’isola in macchina e traghetto. Ora nonna è purtroppo venuta a mancare. Flora è incinta, partorirà tra poco”, racconta con occhi sinceri la moglie Giovanna.  

È ad un nuovo e continuo senso di comunità che si rivolgono le speranze di Franjo per il futuro. “Occorre radicare una coscienza di sostenibilità per il territorio, partendo dall’educazione nelle scuole, con i bimbi. E che sia coinvolto anche chi si occupa di turismo. Qui, nonostante il lago di Vrana, abbiamo ad esempio una costante carenza d’acqua. Noi siamo abituati a chiudere i rubinetti ma parsimoniosi dovrebbero essere anche i turisti, negli alberghi a più stelle”. Una coscienza che a Cherso ci si augura possa avere la tenacia del ginepro, nonostante qui sia simbolo dell’abbandono di pascoli e campi. Da qui l’altro desiderio di Franjo, che ci confida prima di iniziare il suo lavoro quotidiano con le pecore. “Il ginepro crea l’ambiente ideale per il cinghiale, che non ama gli spazi aperti, impedisce la crescita dell’erba e poi le sue spine si impigliano nel vello della pecora, rendendo spesso inservibile la loro lana” racconta Franjo “e mi piacerebbe, che qui attorno, le altre proprietà, vengano riprese in mano da persone giovani come me, che ci si mettesse insieme a tagliare ginepri”. 

Una nuova comunità da condividere anche con gli ospiti: “Spero di poter continuare a lavorare a lungo con le pecore, gli ulivi e l’apicoltura. E poi mi piacerebbe riuscire ad aprire un agriturismo. C’è tanta gente che le pecore non le ha nemmeno mai toccate. Ho lavorato anni con i turisti e per molti di loro qui è un paradiso. Vengono da Francia e Inghilterra e si stupiscono per le farfalle. Sarebbe quindi bellissimo far scoprire loro le nostre attività tradizionali. Del resto se loro dicono che siamo in un paradiso è vero, no?”.

Davide Sighele [alla realizzazione di questo reportage ha contribuito Nicole Corritore]
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 17/03/2023