Ci vuole fegato per essere un avvoltoio. Il fegato, di certo, non mancava a Gabriele d’Annunzio e neanche la rapacità dell’avvoltoio. Si capisce benissimo da un interessante (e divertente) libro di Eugenio Di Rienzo: «Ariel armato». Gabriele d’Annunzio e la grande guerra aerea italiana (Società editrice Dante Alighieri, pagg. 82, euro 6). Di Rienzo raccoglie numerosi documenti sulle imprese del Vate a bordo di un aeroplano militare. Ci sono lettere, studi tattico-strategici e soprattutto Il fegato e l’avvoltoio. Diario dell’impresa di Cattaro (22 settembre-5 ottobre 1917). Il diario è composto da due strepitosi taccuini composti in volo, durante l’impresa. Nel primo, D’Annunzio, a capo del raid, descrive l’avvicinarsi della squadra all’obiettivo. Nel secondo, impartisce gli ordini al pilota, il capitano Maurizio Pagliano, non potendo comunicare a voce, a causa del rumore. Il pilota, poi, trasmette al resto della squadra i messaggi del comandante. Sembra di essere sul campo insieme a Gabriele d’Annunzio, in confronto le serie tv non hanno suspense.
I due taccuini furono stampati, in anastatica, nel 1928 per iniziativa di Arnoldo Mondadori. Il volume fu tirato in cento esemplari fuori commercio dall’Istituto Nazionale Dannunziano. Inutile dire che sono quasi introvabili anche sul mercato antiquario. Vale la pena di ricordare l’importanza di questo attacco a sorpresa fortemente voluto, quasi contro le gerarchie, da un ardimentoso Vate. La base di Cattaro, città oggi montenegrina, era stata un avamposto della Repubblica di Venezia fino al 1797 quando entrò a far parte dei possedimenti della monarchia asburgica. Il porto era in una posizione strategica. Lì accanto sorgevano i cantieri di Teodo. Dalle piste nei pressi di Cattaro partivano gli aerei che bombardavano gli obiettivi nell’Adriatico. Cattaro era considerato un porto inespugnabile a causa della conformazione della costa, quasi un fiordo. D’Annunzio però aveva un’idea. Partire con una squadriglia di aerei, volare basso, attaccare senza essere visti, fuggire dopo aver distrutto la base. Era così convinto da mandare a quel paese i suoi superiori e in particolare l’ammiraglio Acton. Di Rienzo raccoglie lo scambio epistolare tra i due, con l’inferiore in grado che dà del traditore al suo capo…
La spedizione iniziò male. La nebbia rendeva invisibili i segnali luminosi provenienti dalle torpediniere. I piloti si orientarono con bussola e stelle. I 14 velivoli diventarono 12. Due dovettero tornare indietro per un guasto dopo un’ora di volo. La squadriglia sganciò le bombe da tremila metri di altezza, devastò i sottomarini in rada e i depositi di benzina, quindi fuggì e toccò terra a Gioia del Colle nella tarda nottata del 5 ottobre 1917. La contraerea nemica non riuscì ad attivarsi. «Ariel» aveva visto giusto, la missione fu un successo.
Alessandro Gnocchi
Fonte: Il Giornale – 02/02/2023