Nella notte fra il 18 e il 19 dicembre 1941, 6 incursori della Marina Militare portarono a termine l’Impresa di Alessandria, ai danni della flotta britannica nel Mediterraneo (Mediterranean Fleet), scrivendo un finale culminante per l’operazione G.A.3. Questa operazione fu frutto di una meticolosa preparazione di mezzi e di addestramento.
L’attento studio delle difese avversarie era iniziato già dall’ estate di quell’anno, utilizzando sia delle decrittazioni dei messaggi radio avversari, sia delle catture di documenti e mappe inglesi ottenuti nelle forme più diverse. Uno dei casi più eclatanti è senz’altro l’avventuroso recupero dal fondo del mare della documentazione segreta custodita a bordo del relitto del cacciatorpediniere britannico Mohawk, silurato e affondato dal caccia italiano Tarigo.
L’operazione prende il via con l’imbarco dei mezzi d’assalto Siluri a Lenta corsa (SLC), poi universalmente noti come “Maiali”, sul sommergibile Sciré, che, al comando del tenente di vascello Junio Valerio Borghese, parte dalla Spezia alle 23:00 del 3 dicembre 1941, diretto alla base italiana di Lero, dove arriva la sera del 9 dopo un tragitto non privo di imprevisti. Avvistato da un aereo britannico, sfugge all’identificazione salutando allegramente il velivolo avversario salvo trasmettere prontamente, con il proiettore, il corretto segnale di riconoscimento inglese del giorno, ovviamente ottenuto grazie all’opera del Servizio Informazioni Segrete della Marina, come scopriranno con raccapriccio gli investigatori britannici il mese successivo dopo aver esaminato tutti i rapporti dei ricognitori del novembre-dicembre 1941.
Alle 07:00 del 14, imbarcati gli operatori, il battello lascia gli ormeggi e inizia la navigazione occulta verso Alessandria, emergendo solo di notte per ricaricare le batterie e verificare la rotta. La sera del 17 dicembre 1941 arriva la conferma della presenza in porto di due navi da battaglia da parte del comando centrale della Marina e, caricate al massimo aria ed energia elettrica, lo Scirè inizia la sua incredibile corsa sottomarina attraverso gli sbarramenti minati, sempre al di sotto dei 60 m di profondità e su fondali rapidamente decrescenti, per emergere, infine, in posizione perfetta a 1.3 miglia nautiche per 356° dal fanale di Alessandria.
I sei uomini del gruppo d’assalto, in coppie su ogni maiale, iniziarono così il loro transito occulto verso i bersagli. Sul maiale 221 il tenente di vascello Luigi Durand De la Penne con il Capo Palombaro Emilio Bianchi, sul maiale 222 capitano delle Armi Navali Vincenzo Martellotta con il Capo Palombaro Mario Marino e sul maiale 223 il capitano del Genio Navale Antonio Marceglia con il Sottocapo Palombaro Spartaco Schergat [entrambi istriani, ndr].
de la Penne: “Come va Bianchi?”
Bianchi: “Bene comandante”
de la Penne: “Hai paura?”
Bianchi: “Si comandante”
de la Penne: “Anch’io, Bene, andiamo!”
Durand de la Penne e Bianchi puntarono alla nave da battaglia Valiant. Nell’ultimo tratto della corsa subacquea de la Penne fu costretto a trascinare sul fondo il proprio mezzo avendo perso il supporto di Bianchi colpito da un malore a causa di malfunzionamento al respiratore. Riuscì a posizionarne la carica esplosiva sotto la nave ma fu catturato. Poco dopo fu catturato anche Bianchi e i due furono chiusi nel pozzo catene della nave. I due non rivelarono la posizione dell’ordigno ma a mezz’ora dallo scoppio, de la Penne si fece condurre dal comandante della nave per informarlo del rischio corso dall’equipaggio; ciò nonostante questi fece riportare l’ufficiale italiano dov’era. L’esplosione fu puntuale e squarciò la carena della corazzata ma i due italiani riuscirono ad uscire dal locale e ad andare in coperta da dove vennero evacuati insieme al resto dell’equipaggio.
Martellotta e Mario Marino, furono costretti a navigare in superficie a causa di un malore del capo equipaggio e riuscirono a posizionare la carica per la petroliera Sagona senza riuscire a sfuggire alla cattura degli egiziani. Intorno alle sei del mattino successivo ebbero luogo le esplosioni. Quattro navi furono gravemente danneggiate nell’impresa: oltre alle tre citate anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, ormeggiato a fianco della Sagona, fu infatti vittima delle cariche posate dagli assaltatori italiani.
Marceglia e Schergat riuscirono infine a portare a termine senza imprevisti l’attacco alla Queen Elizabeth. Dopo aver piazzato la carica esplosiva raggiunsero terra e riuscirono ad allontanarsi da Alessandria ma vennero riconosciuti e catturati anche loro il giorno successivo.
Il bilancio finale dei danni fu il seguente: affondamento di due navi da battaglia britanniche HMS Queen Elizabeth (33.550 tonnellate) e HMS Valiant da (27.500 tonnellate) e danneggiamento della petroliera Sagona (7750 tonnellate) e del cacciatorpediniere Jervis (1690 t). Un’impresa epica e una straordinaria vittoria nei confronti di quella che era, all’epoca, la maggiore Marina del mondo. Non un atto singolo, ma un’azione inquadrata in una strategia che, insieme alle efficaci azioni offensive dei mesi successivi contro i convogli britannici diretti a Malta, consentì all’Italia di esercitare il Potere Marittimo nel Mediterraneo.
«…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse.» (Winston Churchill)
Il 1st Battle Squadron della Mediterranean Fleet, tradizionale fiore all’occhiello della Royal Navy, non esiste più dal dicembre 1941.
Il valore dei nostri eroi fu apprezzato anche da chi subì la loro azione. Tre anni dopo, i sei protagonisti dell’impresa vennero decorati a Taranto con la medaglia d’oro al valor militare in modo del tutto singolare: ad appuntare la medaglia sul loro petto fu il commodoro Sir Charles Morgan, già comandante della HMS Valiant al tempo dell’operazione.
Fonte: Marina Militare – 19/12/2022