L’entrata di d’Annunzio a Fiume il 12 settembre 1919

Ricorre oggi l’anniversario dell’entrata di Gabriele d’Annunzio a Fiume avvenuta il 12 settembre 1919, dando il via ad un’impresa che sarebbe culminata nei tragici eventi del Natale di Sangue passando per la reiezione del modus vivendi proposto dal generale Pietro Badoglio e per la promulgazione della Carta del Carnaro, la costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro.

Coordinamento Adriatico APS ha svolto nel 2019 un convegno di studi dedicato al centenario della vicenda fiumana, i cui atti sono poi andati a comporre il volume a cura del Prof. Davide Rossi “La città di vita cento anni dopo. Fiume, d’Annunzio e il lungo Novecento Adriatico” (Wolters Kluwer, Milano 2020).

Nella ricorrenza odierna condividiamo alcuni stralci del saggio dell’Ing. Mauro Runco “I legionari fiumani e la riforma militare di Piffer”.

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Nel capoluogo del Carnaro si erano già da prima della “sacra entrata” di d’Annunzio organizzate delle milizie volontarie cittadine che avevano anticipato ed in seguito fiancheggiato lo spiegamento delle truppe italiane, in contrapposizione alla presenza di due battaglioni croati del dissolto imperial-regio esercito austro-ungarico che erano stati affiancati da un reggimento dell’esercito serbo. Nonostante la dichiarazione di annessione all’Italia del 30 ottobre 1918, le truppe italiane non sbarcarono dalle navi attraccate nel porto (la corazzata Emanuele Filiberto ed il cacciatorpediniere Carlo Mirabello avevano a bordo reparti di fanteria di marina) ed entrarono a Fiume appena il successivo 17 novembre. Quel giorno una folla accompagnò i nuovi arrivati al palazzo del governatore ed il volontario irredento fiumano e capitano degli arditi Giovanni Host Venturi ammainò la bandiera croata per far posto al tricolore sabaudo.

Il 21 aprile 1919 ebbe luogo un comizio di Benito Mussolini a Fiume, al termine del quale Host Venturi dette appuntamento al galvanizzato ed ampio uditorio per l’indomani alla piazza d’armi di Pehlin. Si presentarono circa 400 persone, non solo giovani, pronti ad affrontare un addestramento paramilitare articolato in esercitazioni, prove di inquadramento, esercizi di ginnastica e marce. Il 30 aprile i volontari si radunarono per approvare la proposta del tenente Iti Bacci di nominare il capitano Host Venturi loro comandante e richiedere al Consiglio nazionale di accogliere nelle sue fila cinque ex combattenti (Iti ed Icilio Bacci, Host Venturi, Enrico Burich e Carlo Colussi). Andava nel frattempo consolidandosi il legame tra la popolazione ed i Granatieri di Sardegna ivi dislocati nell’ambito del corpo di occupazione interalleato che doveva garantire l’ordine pubblico in attesa delle deliberazioni della conferenza di pace.

Nella terza decade di maggio 1919 Host Venturi costituì una legione volontaria che avrebbe preso ufficialmente vita il 12 giugno, ma già a metà aprile erano arrivati in città ufficiali e reduci di guerra che ne avrebbero fatto parte. Il primo maggio era stata fondata una sezione della società nazionalista Sursum Corda (alla cui sezione bresciana si era affiliato Host Venturi durante la sua latitanza in Italia nell’anteguerra), proprio allo scopo di organizzare un battaglione di volontari da mettere a disposizione del consiglio nazionale. Quest’ultimo il 18 maggio, in un dispaccio alla delegazione italiana alla conferenza di pace annunciava che non era da escludersi l’uso della violenza «per far valere il risultato del plebiscito del XXX ottobre».

Nonostante tali campanelli d’allarme, il 10 giugno il generale Francesco Saverio Grazioli, comandante del corpo alleato di presidio a Fiume, aveva comunicato al comando del presidio italiano ed al comando della brigata Granatieri di Sardegna di aver acconsentito alla richiesta da parte di alcune associazioni sportive cittadine di poter usufruire delle caserme per svolgere le proprie esercitazioni ginnico-militari.

Grazioli dette disposizioni affinché si definissero gli orari in cui svolgere tali attività e venissero messi a disposizione un migliaio di moschetti e le cartucce per le esercitazioni di tiro.

Fu così che scoppiarono il 6 luglio i “vespri fiumani”, in cui un diverbio tra militari francesi e civili degenerò in una sparatoria al termine della quale si registrarono 9 morti e 11 feriti tra francesi ed annamiti (le truppe coloniali indocinesi schierate a difesa della base francese allestita nell’area portuale) e 3 marinai italiani feriti. La commissione d’inchiesta istituita dalle autorità interalleate concluse le sue indagini dichiarando che dai palazzi prospicienti i magazzini della base logistica di Porto Barros erano partiti i primi colpi d’arma da fuoco. Il 25 agosto la brigata Granatieri di Sardegna fu trasferita in Friuli: la sua marcia in uscita dalla città contesa fu salutata da un tripudio di tricolori e di canti patriottici intonati dalla popolazione fiumana angosciata che vedeva allontanarsi uno dei suoi punti di riferimento.

La sera dell’11 settembre, mentre Ercole Miani e Guido Keller si impadronivano dei veicoli dell’autoparco di Palmanova, a Fiume Host Venturi convocava presso l’Istituto Tecnico di via Ciotta i suoi volontari, tenendo a stento fuori dalla riunione le molteplici donne che erano sempre state in prima fila nella mobilitazione patriottica. Fu così che la mattina del fatidico 12 settembre 1919 il generale Vittorio Emanuele Pittaluga telegrafava al comando del XXVI corpo d’armata annunciando che alle prime luci dell’alba erano usciti 150 volontari della legione fiumana per andare incontro alla colonna partita quella notte da Ronchi e nella quale cospicua era la presenza di Granatieri di Sardegna. Di lì a poco anche gran parte dei militari che presidiavano i posti di blocco posti sul percorso di d’Annunzio in Istria e nell’entroterra fiumano avrebbe seguito l’autocolonna guidata dal Vate invece di fermarla. Proprio quel giorno, in base a quanto stabilito il 9 settembre dalla commissione d’inchiesta sui tumulti di luglio, la legione volontari fiumani avrebbe dovuto essere sciolta e contemporaneamente era previsto lo sbarco in città, che poi non avvenne, di un battaglione di polizia maltese allo scopo di irrobustire le forze dell’ordine.

Veniva così meno il lealismo che aveva contraddistinto fino ad allora l’esercito sabaudo, il quale aveva respinto a fucilate un eroe nazionale come Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte nel 1862, preso a cannonate la folla a Milano nel 1898, svolto senza batter ciglio altre cruente operazioni di ordine pubblico e fatto registrare pochi ammutinamenti nel corso della Prima guerra mondiale.

Mauro Runco