La mattina del 13 luglio 1920 c’è agitazione a Trieste: sono arrivate notizie da Spalato secondo cui nella notte tra l’11 ed il 12 non solo la comunità italiana è stata fatta oggetto dell’ennesima manifestazione ostile da parte di nazionalisti croati, ma addirittura la situazione è degenerata al punto che sono intervenuti il comandante della Regia Nave “Puglia”, da gennaio all’ancora nel bacino spalatino proprio con funzioni di mantenimento dell’ordine pubblico, ed alcuni marinai italiani. In uno scontro a fuoco con i manifestanti maggiormente esaltati, il comandante Tommaso Gulli [nella foto di apertura, il busto che gli è stato dedicato a Roma] ed il motorista Aldo Rossi furono feriti a morte, rivelandosi inutili le cure immediatamente prestate dal medico di bordo.
Delineiamo lo scenario in cui l’incidente è avvenuto. La Prima guerra mondiale si è conclusa da poco più di un anno e mezzo, il Trattato di Saint-Germain ha definito il nuovo confine italo-austriaco, ma tra l’Italia ed il neonato Regno di Serbi, Croati e Sloveni (sorto il primo dicembre 1918 dall’annessione al Regno di Serbia del Regno del Montenegro e delle terre abitate da sloveni, croati, bosniaci e serbi appartenute al dissolto Impero austro-ungarico) non vi sono nemmeno relazioni diplomatiche. Nell’incertezza sulla definizione del nuovo confine orientale italiano si rivendica quanto promesso con il Patto di Londra del 1915 più Fiume, il cui Consiglio Nazionale Italiano il 30 ottobre 1918 ha dichiarato in base al principio di autodeterminazione dei popoli di volere l’unione al Regno d’Italia. Nella Venezia Giulia e in Dalmazia sono stati instaurati due governatorati militari italiani, che cercano di gettare le basi per l’annessione e prendono le misure delle comunità nazionali slave, nostalgiche dei privilegi goduti in epoca asburgica proprio a scapito della componente italiana separatista e desiderose di entrare a far parte del nuovo regno slavo forgiato dai sovrani serbi Kara?or?evi? e dai circoli jugoslavisti. Come se non bastasse a Fiume c’è con alcune migliaia di legionari Gabriele d’Annunzio, il quale da quasi un anno ha il controllo della città ed alterna manifestazioni patriottiche a proclami rivoluzionari di portata universale. Lo sbandamento dell’imperial-regio esercito al termine delle ostilità ha consentito a migliaia di reduci di tornare a casa con armi e munizioni, gli opposti nazionalismi si sovrappongono ai propositi rivoluzionari fomentati dall’esempio bolscevico, a Roma i governi si reggono su maggioranze precarie, gli Stati Uniti cercano di ergersi ad arbitri del nuovo ordine internazionale e la diplomazia italiana viene tenuta in scarsissima considerazione da britannici e francesi, che hanno ridisegnato Europa e Medio Oriente secondo i propri interessi.
In questo scenario di incertezza, agitazione e fermenti bellici non ancora sopiti (è ad esempio in corso la guerra sovietico-polacca), le notizie che giungono dalla Dalmazia spingono centinaia di triestini a radunarsi in quella che ai tempi dell’Impero asburgico si chiamava Piazza Grande e prende vita un comizio per la Dalmazia italiana. All’improvviso viene accoltellato un manifestante, il cuoco Giovanni Nini, e le forze dell’ordine faticano a trattenere la folla di manifestanti dall’assalire il consolato di Belgrado ed altri luoghi simbolo della presenza slava a Trieste. Finchè la folla si ingrossa, grazie anche al contributo degli squadristi inquadrati da Francesco Giunta del Fascio di Combattimento di Trieste (una delle federazioni più cospicue del movimento politico fondato l’anno prima da Benito Mussolini), e si concentra nei pressi dell’Hotel Balkan. Tale struttura ricettiva ospitava anche associazioni delle varie comunità slave presenti a Trieste, vuoi in quanto autoctone (sloveni) vuoi poiché giunte ai tempi di maggiore splendore del porto (cechi, slovacchi, croati, serbi). Tra esse ha sede pure il Narodni Dom (Casa Nazionale), punto di riferimento per le componenti maggiormente accese del nazionalismo slavo. Ben presto tra manifestanti e assediati inizia uno scambio di colpi d’arma da fuoco in cui perde la vita il Tenente del Regio Esercito Luigi Casciana, molteplici sono i feriti e a un certo punto nel palazzo scoppia un incendio che si diffonde rapidamente, secondo talune ricostruzioni a causa dei depositi di armi che i nazionalisti slavi hanno ivi occultato. Due persone per fuggire dalle fiamme si gettano nel vuoto mentre i dimostranti fascisti esultano alla vista del luogo simbolo della presenza slava in città in fiamme.
L’incendio del Balkan viene considerato come la prima manifestazione del fascismo di frontiera, erede della tradizione irredentista locale di matrice nazionalista e slavofoba (i rappresentanti mazziniani sono in minoranza o caduti in guerra) creatasi negli anni di politiche anti-italiane compiute dall’amministrazione austro-ungarica ed innestatasi su un movimento reducista e bellicista che dell’imposizione dell’italianità ha fatto uno dei suoi punti di riferimento. Non bisogna tuttavia dimenticare che i disordini triestini del 13 luglio originano da manifestazioni ultranazionaliste contro la sparuta comunità italiana in Dalmazia, dall’uccisione di due marinai italiani ed in un contesto di opposti nazionalismi fomentato dalla defunta duplice monarchia, esacerbato dagli anni della Grande guerra e portato all’esasperazione dalle logiche dei nascenti Stati nazionali, che per le minoranze nazionali prevedevano solamente eliminazione, assimilazione o espulsione.
Lorenzo Salimbeni