Arturo Parisi in un’intervista al Foglio sostiene, a proposto delle posizioni dell’Anpi sulla guerra in Ucraina, che “tutto sarebbe più semplice se l’Anpi riconoscesse di essere una associazione politica come tante, esprimendo liberamente le proprie posizioni, senza pretendere di rappresentare oggi la Resistenza”. Ha ragione. Si potrebbe aggiungere anche senza pretendere di esercitare, sulla base di questo supposto ruolo di rappresentanza, una sorta di funzione ispettiva in ultima istanza della democrazia italiana.
Il 31 agosto 2021 il presidente dell’Anpi pubblicava sul sito di Patria indipendente un lungo articolo nel quale ragionava sulla incapacità della destra italiana di evolvere in senso democratico (https://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/il-lunghissimo-secolo-breve). Un contributo insomma, come tanti altri di opposto segno sulla politica italiana di questi anni. Tutti legittimi. Senonché ad un certo punto porta a sostegno della sua tesi l’approvazione della legge che nel 2004 ha istituito il 10 febbraio come il giorno del Ricordo delle Foibe e, dell’Esodo e delle complesse vicende del confine orientale. Merita di citare per esteso il punto perché aiuta a capire il ruolo che Pagliarulo attribuisce all’Anpi.
“È ragionevole leggere nell’approvazione della legge sulla Giornata del Ricordo, era il 2004, un ultimo tentativo concesso all’idea della “pacificazione nazionale”: sottolineando i crimini delle foibe e il dramma dell’esodo si intendeva presumibilmente rappresentare un riconoscimento ai vinti da parte dei vincitori, immaginando un conseguente depotenziamento delle tensioni ideologiche e politiche. In realtà la legge, al di là delle intenzioni di tanti parlamentari democratici che l’hanno approvata, ha aperto nella diga democratica una frana, aggiungendosi alle tante piccole e grandi falle che si erano già determinate negli anni precedenti: dal momento della sua approvazione in poi essa è stata utilizzata come un gladio (sic!) dalle forze di estrema destra, ma anche in generale di destra moderata, per delegittimare il movimento resistenziale e partigiano e in ultima analisi il fondamento legislativo del nostro Paese, cioè la Costituzione, storicamente nata proprio da quel movimento.”
A parte l’idea (forse un lapsus) che la legge del ricordo sarebbe un riconoscimento ai “vinti” da parte dei “vincitori” al fine di depotenziare le “tensioni ideologiche e politiche”, come se quelli da ricordare in quel giorno fossero i vinti cioè dei fascisti, merita di sottolineare la tesi secondo cui quella legge “ha aperto nella diga democratica una frana”. Un vulnus perché nella breccia si è precipitata la destra estrema e anche quella moderata, brandendo quella legge “come un gladio(sic)” per “delegittimare il fondamento legislativo del nostro Paese, cioè la Costituzione”. Se le cose stessero così, l’approvazione della legge da parte della stragrande maggioranza dei Parlamentari italiani e la firma del Presidente della Repubblica andrebbero interpretate o come una scelta deliberata di minare la democrazia italiana o come un atto inconsapevole. Pagliarulo propende per la seconda ipotesi. Rassicurandoci che comunque c’è sempre l’Anpi a vigilare anche quando le massime istituzioni democratiche della Repubblica non si accorgono di quello che fanno.
In realtà non siamo affatto rassicurati perché questo modo di immaginare il funzionamento della democrazia sembra assumere che non siano le istituzioni liberamente elette dai cittadini a presidiare la democrazia, ma altri organi, un partito predominante, la chiesa, una guida suprema, magari la stessa Anpi nei sogni di Pagliarulo. Se questo è la funzione assegnata all’Anpi bisognerebbe che qualcuno lo avverta che questo è il modo migliore per dilapidare definitivamente la memoria della Resistenza.
Paolo Segatti*
Fonte: LibertàEguale – 22/04/2022
* Professore Ordinario di Sociologia Politica nella Università degli Studi di Milano dal 2002. Ha insegnato anche nelle università di Venezia, Trieste e Pavia.