Il 12 settembre 2019, centenario dell’Impresa, la Comunità degli Italiani ospitò nella sua sede Giordano Bruno Guerri con il suo “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920” (Mondadori). Nel mese in cui 159 anni fa vide la sua nascita a Pescara e nel 1938 la morte a Gardone Riviera, il poeta soldato è ritornato protagonista a Palazzo Modello attraverso la radiografia inedita della sua esperienza fiumana – e dell’impatto anche che ebbe in Italia e non solo –, che Federico Carlo Simonelli traccia nel libro “D’Annunzio e il mito di Fiume. Riti, simboli, narrazioni” (Pacini Editore, Le ragioni di Clio. Collana di storia contemporanea). Per pura casualità, il volume è stato presentato proprio nella ricorrenza del Dantedì, Giornata in Italia dedicata all’Alighieri. Come spiega nel volume, agli albori del secolo breve, alcuni ambienti politico-culturali della città avevano creato un vero e proprio culto di Dante, un culto che animava i sentimenti irredentisti fiumani, e ciò nonostante il sommo avesse chiaramente posto Fiume al di fuori del territorio “ch’Italia chiude e i suoi termini bagna”, come ha fatto notare lo stesso Simonelli, durante il suo intervento al Convegno scientifico internazionale che si è svolto al Dipartimento di Italianistica del capoluogo del Quarnero il 24-25 marzo.
Distanza critica
Premettiamo che l’autore, ricercatore di Offlaga (nel Bresciano), dottorato all’Università di Pisa, collaboratore e consulente storico della Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” non ha alcun legame “di sangue” con Fiume. Viceversa, studiandone il passato e frequentandola, ne ha sviluppato uno quasi affettivo, mantenendo però sempre quella distanza critica che gli consente di vedere le vicende da un’altra, diversa prospettiva, svincolata da ogni logica che comporti un’oggettivazione della città. Simonelli, inoltre, appartiene a quella generazione di studiosi italiani che cerca il dialogo con i colleghi croati di Fiume, cosa che è emersa anche dall’impostazione della serata di presentazione del suo lavoro.
Un lavoro meticoloso
Parlare di “D’Annunzio è cosa sempre delicata”, ha introdotto la presidente della CI, Melita Sciucca. “La Comunità lo fa senza tirarsi indietro, affidandosi agli esperti, in una sede simbolica”, ha fatto notare il moderatore Vanni D’Alessio. In questo caso con un libro “accademico”, frutto del suo dottorato di ricerca, ha sottolineato lo storico Marko Medved. Un lavoro meticoloso, ha aggiunto, dal quale non si potrà “fare a meno, né in Italia, né in Croazia o altrove”. Dimostra, tra l’altro, come il fascismo si impossessò e usò l’Impresa fiumana per fare “public history”. L’aggancio tra passato e presente, ha rilevato Medved, è ad esempio il populismo. “Qual è il mito di Fiume oggi? È che si tratta di un luogo in cui essere sì coscienti della propria appartenenza nazionale, ma consapevoli che la nostra identità non si esaurisce in quella etnica ma che c’è qualcosa di più”, ha concluso.
Tea Perin?i? ha sottolineato la scientificità dell’opera e allo stesso tempo la sua leggibilità, la chiarezza e semplicità di linguaggio con cui ha illustrato una serie di aspetti, in primis il populismo, i cui elementi sono stati introdotti nel linguaggio politico da D’Annunzio a Fiume. Si possono capire quindi anche modelli che vengono applicati ancora oggi.
Due aspetti fondamentali
Secondo Giovanni Stelli, presidente della Società di Studi fiumani a Roma e direttore responsabile di “Fiume”, rivista di studi adriatici, della cui redazione Simonelli è membro (ha svolto le sue ricerche anche al Museo Archivio Storico di Fiume), il volume fornisce un contributo su due questioni fondamentali: innanzitutto, il ruolo della popolazione fiumana nel periodo dannunziano e che non si può ridurre a un consenso generale; anzi si verificò una netta spaccatura all’interno della cittadinanza (con la repressione sistematica degli autonomisti, il che spiega poi che cosa succederà nel 1922 con il trionfo alle elezioni del Partito Autonomo). In secondo luogo, emerge anche “l’altra faccia della luna”, ossia che cosa ne pensavano i croati.
Ivan Jeli?i? ha aggiunto che Simonelli si approccia e spiega qual è il contesto di alcuni episodi dell’Impresa, che hanno servito per darne le varie interpretazioni storiografiche, ad esempio il rapporto della Reggenza italiana del Carnaro e l’Unione sovietica, o chi sono i legionari, oppure la visione che i fiumani hanno della propria italianità e dei simboli cui ricorrono, rispetto a quella che era la visione di tale italianità fiumana che aveva D’Annunzio, che la voleva legare a una sorte di venetizzazione.
“Il mio obiettivo era portare dei problemi nuovi per la storiografia italiana”, ha detto l’autore, che nel ripercorrere la genesi del suo lavoro, con i documenti svela i retroscena del mito dannunziano e fa scoprire la “Fiume inquieta e diversa” e la sua complessità.
Ilaria Rocchi
Fonte: La Voce del Popolo – 26/03/2022