Scritto da Edt
Jezernik Božidar, Europa selvaggia. I Balcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali, Torino, Edt, pp. 393.
Europa selvaggia. I Balcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali, scritto dall’antropologo sloveno Božidar Jezernik, racconta i Balcani attraverso le testimonianze di chi visitò quei luoghi tra il XVI e il XX secolo partendo dalla “civile” Europa dell’ovest. Come spesso avviene quando un racconto è condotto con pluralità di voci, le pagine di Jezernik finiscono per rivelare preziosi indizi anche sull’identità dei molteplici narratori. Ben presto il lettore si accorge che ciò che ha sotto gli occhi è una sorprendente e inattesa immagine allo specchio dell’Occidente, con i suoi pregiudizi e idiosincrasie, ma anche con la propria voglia di esplorare e conoscere. Balcani remoti, mitici e calati in un’atmosfera a tratti grottesca: i paesi che il lettore incontra sono la terra dei satiri descritta dai viaggiatori del Seicento e quella degli «uomini con la coda» raccontata dai cronisti del primo Novecento forse troppo imbevuti di teorie etnocentriche. Le pagine di Jezernik restituiscono l’immagine di una regione arcana e selvaggia, dai confini indefiniti e pronta a riservare sorprese a ogni pagina, a ogni curva o scarto di una narrazione condotta, appunto, attraverso un rigoroso e appassionante dialogo con le fonti.
Un’epopea corale
I ricchissimi riferimenti dell’autore includono citazioni di naturalisti, geografi, storici e pionieri delle scienze sociali come Karl Baedeker, William Gladstone e Paulina Irby, passando per Lord Byron, Rebecca West e Julia Kristeva. Ogni capitolo, inoltre, è dedicato all’approfondimento di un tema dal valore simbolico, eletto da Jezernik a emblema dell’incontro-confronto tra Balcani e Occidente. La scelta di tali temi è quanto mai avvincente e “saporita”: si va dallo stare a tavola, alla vita sessuale, alla giustizia (con riferimenti alle efferate pene capitali per le quali i Balcani erano celebri anche in anni non così lontani). Connubio tra analisi antropologica e talento narrativo, il libro avvince come un’epopea, ma offre anche un efficace spunto per riflettere sulle modalità mai scontate con le quali si attua l’incontro tra culture diverse e sul ruolo ancora vitale della narrativa di viaggio.
Attualità del libro
Che cosa c’è di attuale in racconti ed episodi che spesso riguardano avvenimenti lontanissimi? Che cosa può ancora insegnare la ricca ricognizione condotta da Jezernik? Moltissimo. Oltre al piacere della lettura, l’aspetto più coinvolgente di un viaggio attraverso oltre mille testimonianze di prima mano distribuite su cinque secoli è la scoperta di un fenomeno valido per lo studioso di scienze sociali (in primo luogo l’antropologia), ma anche per il viaggiatore attento, curioso e disposto a mettere in discussione i propri pregiudizi. L’autore, infatti, mostra come l’osservazione di altri popoli possa trasformarsi in uno specchio capace di rivelare moltissimo della cultura e dell’identità di chi osserva. In modo più esplicito, è come se Jezernik volesse dirci: «Per conoscere fino in fondo voi stessi e il paese da cui provenite, mettetevi in viaggio». In conclusione, quindi, Europa selvaggia non è soltanto un gustoso inventario di aneddoti e testimonianze, ma è prima di tutto un invito a riflettere sulle dinamiche che si creano nell’incontro tra culture diverse. Un invito che, più che mai in questi anni di stretto contatto e di scambio tra Balcani e Occidente, assume i tratti di un avvertimento perché sottolinea i pericoli della demonizzazione del culturalmente “diverso”, della cancellazione della memoria storica e della diffidenza verso l’integrazione tra le civiltà. Per prepararsi alla lettura può essere utile ricordare il sarcastico «Odio i viaggiatori» con cui Claude Lévi-Strauss inizia il suo capolavoro Tristi tropici. Un odio, naturalmente, non per chi viaggia, ma per chi impone a realtà “altre da sé” le categorie della propria cultura, deformando tutto con gli “occhiali” dell’etnocentrismo. Ancora più utile, però, è tenere a mente ciò che qualcuno ha scritto vicino al ponte di Mostar, costruito in epoca ottomana, distrutto dai bombardamenti croato-bosniaci del 1993 e recentemente ricostruito con tenacia animata dalla speranza: «Don’t forget», non dimentichiamo.