Filosofo, scrittore, polemista, Stefano Zecchi è una delle voci più alte del panorama culturale italiano ma, soprattutto, è una mente anticonformista. Libera. Lo confermano, una volta di più, i suoi grandi romanzi — “Quando ci batteva forte il cuore” (Mondadori, 2010) e “Rose bianche a Fiume” (Mondadori, 2014) — dedicati alla tragedia dell’esodo istriano. Due successi editoriali che hanno riportato l’attenzione del grande pubblico sulla catastrofe del confine orientale, una pagina a lungo rimossa della nostra memoria nazionale.
Con mano sapiente, ottima documentazione e scrittura elegante, il professore veneziano è infatti riuscito a ricostruire il drammatico vissuto delle genti italiane di Pola e Fiume, incalzate dal 1943 in poi dall’avanzare e poi dal consolidarsi sulle loro terre del regime jugo-comunista di Tito. Una somma di tante esistenze normali, normalissime, improvvisamente centrifugate dalle guerre e dagli odi, stritolate dalle ideologie e dalla violenza più assurda. Tante piccole storie d’amore, vicende familiari e microcomunitarie distese in fronte all’Adriatico “amarissimo” e inghiottite voracemente dalla grande e terribile storia del Novecento.
Ma Zecchi non smette mai di sorprendere e (in attesa di una versione cinematografica, mai dire mai…), esce in occasione del Giorno del Ricordo 2022 l’adattamento a fumetti di “Quando ci batteva forte il cuore”, una sorprendente graphic novel intitolata “Una vita per Pola, storia di una famiglia istriana” (Ferrogallico, euro 15,00) disegnata da un’artista d’eccezione come Giuseppe Botte.
Professor Zecchi, dopo tanti libri di filosofia, saggi di estetica e romanzi storici oggi lei si cimenta con il fumetto, le “nuvole parlanti”. Una vera novità.
La proposta dell’editore Ferrogallico di rivisitare il mio romanzo attraverso le matite di Botte mi è piaciuta subito. Trasformare in immagini le parole, con una grafica moderna dalla forte dinamicità e dalla cifra stilistica forte, mi ha appassionato: è una suggestione potente e, anche, una nuova sfida. In più il lavoro non solo rispetta la scrittura ma riesce a valorizzare — dato per me inaspettato — anche alcune pieghe del racconto. Le meno evidenti, le più intime. Le più sofferte. Il tutto offrendo al lettore un linguaggio e una chiave interpretativa innovative su una tragedia così complessa come fu quella dell’esodo istriano-dalmata.
“Una vita per Pola” ripercorre il suo fortunato romanzo del 2010, oggi nuovamente in libreria negli Oscar best seller di Mondadori.
Sì. La trama è quella. La vicenda di una semplice famiglia istriana, persone normalissime che si ritrovano travolte, loro malgrado, in un disastro epocale che stravolgerà per sempre le loro esistenze. Il contesto è l’immediato dopoguerra a Pola, una città da sempre profondamente veneta e italiana che, all’indomani della sconfitta, vive i suoi ultimi giorni d’italianità. È il 1947 e gli alleati anglo-americani hanno deciso di cederle la città e l’intera regione alla Jugoslavia di Tito. Un passaggio che travolge e annienta una storia millenaria e impone con violenza non solo nuove frontiere ma anche un’altra lingua e un nuovo ordine. Un mondo slavo-comunista in cui per gli italiani — fascisti, antifascisti e (la gran maggioranza) apolitici, poco importa — non vi è più posto. Un disastro. Il tutto è visto attraverso gli occhi un bimbo, Sergio, che man mano comprende i tormenti dei genitori e le loro opposte sensibilità. In casa c’è la madre Nives, maestra che non si rassegna all’inevitabile e che cerca di opporsi in ogni modo, e poi il padre Flavio, reduce dalla prigionia uomo riservato e disincantato. Mentre Nives s’inerpica generosamente ma velleitariamente in tentativi cospirativi, Flavio comprende che i destini sono ormai segnati e sceglie l’esilio. Lacerati e ancora distanti, babbo e figlio imboccheranno la via della fuga che si trasformerà in una vera anabasi attraversando una terra sconvolta dall’odio. Ma strada facendo, passo dopo passo, ritroveranno tra loro una dimensione affettiva forte, l’amore paterno e l’amore filiale. Una piccola storia sullo sfondo del dramma di un intero popolo che ora è diventata anche una graphic story.
E di questa storia, come di tante altre piccole grandi storie, lei sarà testimone e relatore in questi giorni proprio in occasione della Giornata del ricordo.
Certo. Testimoniare e raccontare è un dovere civile e morale. Come ho già scritto “la vera e grande infedeltà è dimenticare”. Dobbiamo ricordare a quest’Italia smemorata e distratta cos’è successo tra il 1943 e il 1954 sul confine orientale. Con assoluta onestà intellettuale e serietà storica. Per questo sarò l’otto e il nove a Verona, il 10 a Trieste e l’11 a Venezia. Per ricordare una pagina che molti, troppi volevano cancellare, rimuovere, strappare in modo che i giovani sappiano, capiscano. Ecco perché “Una vita per Pola”, questo fumetto è importante, molto importante.
Parole indigeribili per alcuni revisionisti e molti negazionisti…
Sono segmenti con cui è impossibile oltre che inutile confrontarsi. Al netto di una base di veri ignoranti, povera gente che beve qualsiasi assurdità — dalla no shoah ai no vax etc. —, vi è uno zoccolo duro di professionisti che trasformarono ogni dibattito serio in una battaglia propagandistica e ideologica. Con loro dibattere, ragionare è tempo perso. Sono un problema psichiatrico. Nulla di più, nulla di meno.
Intervista di Marco Valle a Stefano Zecchi
Fonte: InsideOver – 10/02/2022