«Montenegro» di Bato Tomaševic

Scritto da Elisabetta d’Erme

La “jugonostalgia” è una sindrome sentimental-politica che riaffiora anche in Montenegro (Lint, pagg. 568, euro 18,00) autobiografia di Bato Tomaševic, nato nel 1929 a Mitrovica, in Kosovo, da una fiera famiglia montenegrina e legato poi al mondo anglosassone a seguito del matrimonio con Madge Phillips. Montenegro ricostruisce la storia della Jugoslavia attraverso le intricate vicende della numerosa famiglia Tomaševic e dell’avventurosa vita dell’autore che lo vide a soli tredici anni unirsi ai partigiani di Tito per diventare poi un diplomatico e infine giornalista ed editore. Vicende che ruotano attorno al ruolo chiave giocato nella politica iugoslava da Stana Tomaševic, sorella maggiore dello scrittore, che ricoprì prima una posizione di spicco nella resistenza partigiana e poi nella diplomazia della Federazione fino alla morte di Tito.

In Montenegro, arricchito dalle preziosissime note esplicative del traduttore Stefano Petrovich, Bato Tomaševic coglie come un sismografo i segnali che porteranno alle guerre degli anni ’90 e alla fine dell’esperimento d’una Jugoslavia unita e pacificata. Montenegro è una sorta di enorme thriller, costellato da incomprensibili eruzioni di violenza, pieno di esistenze vissute sotto costante pericolo di morte, tanto che il lettore si ritrova coinvolto in un’atmosfera di paura e di sospetto, dove è impossibile capire chi e quando è dalla parte giusta o da quella sbagliata e dove vivere o morire è una casuale questione di fortuna. Storie di ricerche d’appartenenza, d’identità nazionale e d’autonomia che non conoscono compromessi, perché in queste terre chi perde muore.
«I Balcani – spiega Bato Tomaševic – sono una delle parti del mondo con più diversità culturali e nazionali. La sola Jugoslavia contava 19 diverse etnie. Per assicurare pace e armonia c’è sempre stato bisogno di un capo forte e carismatico o – più frequentemente nel corso della storia – della forza bruta. La violenza e la crudeltà erano endemiche, le guerre frequenti e la vita umana non contava molto, specie in periodi in cui le persone erano manipolate e aizzate le une contro le altre».

L’autore descrive la tensione tra il bisogno dei popoli slavi del sud di essere uniti sotto una bandiera comune, ma anche la loro disperata lotta per essere indipendenti uno dall’altro. Una lotta portata avanti all’ombra delle opposte pretese egemoniche della Grande Serbia e della Grande Croazia. Mentre oggi… «Per secoli gli slavi del sud hanno vissuto sotto dominazioni straniere (Turchia, Austria, Venezia) fatta eccezione del Montenegro, che ha pagato la sua indipendenza con fiumi di sangue. Se il nazionalismo degli slavi del sud e il desiderio di liberarsi dai domini stranieri hanno contribuito alla loro unificazione dopo la Prima guerra mondiale, a quasi un secolo di distanza esso ha avuto un ruolo determinante nelle spinte scissioniste; anche se in quest’ultimo caso parlerei soprattutto di patriottismo locale e di interessi religiosi. Queste condizioni sono tuttora attuali, ma contrastate da un generalizzato desiderio d’adesione all’Unione Europea nella speranza d’un miglioramento degli standard di vita, desiderio che riduce le probabilità che si verifichino esplosioni di violenza. Il problema non è certo il Montenegro, recentemente divenuto indipendente, ma la situazione in Bosnia-Erzegovina che non è ancora completamente stabilizzata, a causa degli interessi dei serbi e dei croati per i suoi territori, il che potrebbe sfociare in un nuovo conflitto».

Per raccontare la sua storia Tomaševic utilizza brevi paragrafi e un accattivante presente storico, che rende attuali e vicini eventi lontani. «Il mio stile – sottolinea – viene dal mio naturale modo di parlare in casa e con gli amici. Nel Montenegro abbiamo una forte tradizione di letteratura orale e siamo gran conversatori. Nella mia infanzia senza libri, radio o altre forme di intrattenimento, passavo molto tempo ad ascoltare i miei parenti anziani declamare epici eventi delle loro vite, battaglie e altro. Il libro è nato dalla necessità di lasciare una testimonianza alle mie figlie. Nel 1997 mi è stato diagnosticato un cancro allo stomaco e dopo l’operazione pensavo di aver perso tutto, non solo lo stomaco. Iniziai quindi quello che avrebbe dovuto essere un breve testo sulla mia infanzia e la mia vita tra i partigiani. La sensazione che mi rimanesse poco tempo mi spinse a sedermi al computer, a dare libero sfogo alla memoria, e alla fine ho scritto oltre mille pagine. Mia moglie le ha poi ridotte e inviate a un editore. Con mia grande sorpresa la risposta è stata positiva e il libro è ora pubblicato in 15 diversi Paesi. Tutto ciò che ho scritto è frutto dei miei ricordi, non ho consultato libri, a parte controllare qualcosa in fase di revisione del testo».

In Montenegro emerge anche – con orgoglio – che sotto la guida di Tito l’utopia d’una Jugoslavia pacifica e multiculturale divenne realtà. «Durante la Seconda guerra mondiale la Jugoslavia venne divisa tra sei paesi occupanti, e ognuno di loro reclamava i propri territori: Germania, Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania. Inoltre, con l’aiuto tedesco in Croazia forze fasciste combattevano i serbi tentando di creare una Grande Croazia. Ugualmente, i serbi fedeli alla corona lottavano per creare una Grande Serbia. Tutti e due insieme combattevano infine i partigiani di Tito, l’unica vera forza antifascista del paese. Ciò che aiutò la Jugoslavia a vivere in pace dopo la guerra fu il fatto che Tito e i suoi compagni, molti dei quali avevano combattuto nella Guerra di Spagna, con la creazione dell’armata partigiana avevano spezzato le barriere nazionali, religiose e di classe. Inoltre Tito promise che dopo la guerra la popolazione avrebbe avuto eguaglianza in tutte le sfere della vita personale e nazionale, attraverso l’espressione delle repubbliche e dei loro organi di governo. La promessa venne mantenuta, ma dopo la sua morte non c’era nulla che potesse prendere il posto di quella guida forte e paterna che era riuscita a tenere unito il paese. I leader repubblicani più potenti, spinti dalle proprie ambizioni, hanno finito per smembrarlo».

Anche gli italiani hanno giocato un ruolo importante nei destini del Montenegro. «I montenegrini amano gli italiani – rivela l’autore. – Forse anche perché l’ultima regina d’Italia era nata a Cetinje. I montenegrini capiscono che durante la guerra gran parte del male era un portato del fascismo; per essere più precisi delle Camice Nere di Mussolini. Oggi nel Montenegro l’influenza italiana si sente in ogni cosa, dall’abbigliamento al cibo alle arti». In questo libro pieno di storie di perdite di amici, parenti, terre, case, oggetti, il ricordo più doloroso, rivela Bato Tomaševic, quello che non lo ha abbandonato un solo momento della sua intera vita è «la tragica fine del mio amato fratello Dusko, morto a 19 anni sulla via del ritorno da un campo di internamento in Italia. Ho sempre la sua foto sulla mia scrivania».

Fonte: «Il Piccolo», 11/08/09.