Scritto da «La Voce del Popolo», 11/07/09
Pubblicati di recente gli Atti di un convegno organizzato nel maggio 2007 dalla Società Dalmata di Storia Patria di Roma e dall’Accademia Nazionale dei Lincei. La Dalmazia nelle relazioni di viaggiatori e pellegrini da Venezia tra Quattro e Seicento, a cura di Ilaria Rocchi.
Dall’analisi di una serie di «diari», strumento espressivo tutto da valorizzare, lo spunto per meditazioni e riflessioni sul profilo storico e geografico della regione. Ricca di splendide vestigia storiche, in posizione privilegiata, ha offerto e offre tutt’oggi al viaggiatore ricordi ed esperienze indimenticabili. Dalla Serenissima, navigando lungo la costa orientale dell’Adriatico e arrivando fino alla sua punta più estrema – anzi, molto più in là, addirittura fino all’antica Costantinopoli e persino in Terrasanta – la Dalmazia ha sempre attratto viaggiatori ed esploratori di provenienze territoriali diversissime. C’è chi lo ha fatto per semplice passione, curiosità, spirito di avventura; chi invece per ragioni di studio o di lavoro (affari); chi solo di passaggio (pellegrini diretti a Bisanzio o Gerusalemme). La Dalmazia, dunque, è stata fin dai tempi più antichissimi un’area di intensi traffici e comunicazioni, nota (ma non troppo) ancor prima che, nella seconda metà del XVIII secolo, l’abate Alberto Fortis, intellettuale di cultura illuministica, raccontasse nei suoi libri questo angolo incantato del Mediterraneo a tutta l’Europa.
Nel maggio 2007, la Società di Dalmata di Storia Patria di Roma, affiancata dall’Accademia Nazionale dei Lincei, ha promosso a Palazzo Corsini due giornate di studio (22 – 23 maggio) sul tema: “La Dalmazia nelle relazioni di viaggiatori e pellegrini da Venezia tra Quattro e Seicento”. Al convegno (nel Comitato organizzatore i proff. Sante Graciotti, Claudio Leonardi, Zarko MuljaciC, Manlio Pastore Stocchi, Gianvito Resta, Manlio Simonetti e Maurizio Vitale) ha preso parte una quindicina di relatori, i cui contributi e saggi sono stati di recente pubblicati nell’ambito della collana Atti dei Convegni Lincei, n. 243, in un volume a cura di Sante Graciotti, recante il titolo del simposio. Complessivamente 384 pagine, introdotte dall’allocuzione di apertura del convegno di Giovanni Conso, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
La tematica ha comunque, un’impostazione storica e geografica. Quasi a introdurre il tema, l’intervento di Manlio Pastore Stocchi, che ha ricordato una serie di autori antichi dai quali gli scrittori umanisti hanno tratto conoscenze della costa orientale dell’Adriatico, delle sue sponde e dei suoi popoli. Un percorso “in libris”, ma non per questo meno affascinante, che supera i confini tratteggiati dell’area, spaziando dall’Istria all’Epiro. Già in Virgilio, nel III canto dell’ Eneide è rievocato l’itinerario di Enea che per raggiungere il Lazio passa per l’Epiro, oggi Albania, mentre nel I libro della stessa opera troviamo notizie sul viaggio di Antenore che, penetrando nel seno illirico, passa il Mare Superum (Adriatico), attraversa le acque che bagnano la terra dei Liburni ed arriva fino alla fonte del Timavo. Gli scrittori antichi rievocano il Mare Adriatico laddove riferiscono sulla pacificazione romana delle coste orientali: Lucano nel De Bellum Civile ricorda un episodio accaduto durante il bello adriatico condotto tra Cesare e Pompeo, descrivendo il Mar Adriatico che colpisce la Longa Salona. Dell’Illirico riferiscono inoltre anche Pomponio Mela ne La Cosmografia, Strabone nella sua opera sulla geografia del mondo conosciuto, Claudio Tolomeo nella sua De geografica e Gaio Plinio Secondo nel De naturalis istoria.
Mille anni dopo il passaggio del mondo antico a quello medievale, nell’età umanistica, i siti dalmati ed istriani attraggono l’attenzione per il loro specifico fascino archeologico, ha sottolineato il prof. Pastore Stocchi. Dante, predecessore dei viaggiatori del Quattro e Seicento (ospitato a Pola nell’abbazia benedettina di San Michele), nel VI cerchio dell’Infèrno ricorda l’antica necropoli di Pola ed il golfo del Quarnaro («A Pola, presso del Carnaro / ch’Italia chiude e i suoi termini bagna»). Molti commentatori della Commedia riprendono queste notizie e le arricchiscono con altre informazioni (non sempre esatte) desunte dalle fonti classiche. Gli scritti dei commentatori danteschi, quali il cosiddetto Ottimo, Giovanni Boccaccio, Benvenuto da Imola ed altri, oltre ad offrire al pubblico letterario una ricca spiegazione del sottofondo dantesco, attestano come l’archeologia alto adriatica sia diventata una ricca fonte dei racconti De montibus facendo allusione alla Cosmografia di Pomponio Mela, discorre dei Liburni e precisa che oggi sono chiamati “schiavoni” e che abitano sulle coste dell’Adriatico settentrionale, cioè sul “liburnico mare”.
Nella memoria collettiva occidentale il ricordo delle genti dell’Adriatico orientale, precisa Pastore Stocchi, è rimasto conservato in due entità semantiche: nella liburna, nave rostrata e nella dalmatica, veste sacerdotale. Questi termini durante il medioevo erano usati con ricordo alle loro origini. Nel XII secolo troviamo così interessanti indicazioni in un Lessico etimologico medievale: liburna deriverebbe da libertas, liberus ecc. e denota la nave veloce, mentre la Dalmazia è una regione da dove viene il nome della dalmatica, una parte dell’abito sacerdotale. Le notizie offerte nella Cornucopia del 1589 sono più precise ma non esatte: Liburnia è indicata come una regione tra dalmati ed illiri, dove c’è Salona, città insigne (perché l’Imperatore Diocleziano vi si era ritirato).
Durante tutto il ‘400 per l’Illirico le note non sono molte e quelle che esistono sono poco significative. L’itinerario proposto dagli umanisti è quello tra le biblioteche e siti archeologici. Parlando delle biblioteche bisogna ricordare una collezione privata di Traù: quella di Nicolò Cippico, dalla quale, dopo 200 anni di oblìo, è uscito alla luce del giorno l’unico testimone del Satyricon di Petronio Arbitro, la Cena Trimalchionis. L’unico capitolo pervenuto fino a noi di questo romanzo antico è stato acquisito probabilmente da Pietro Cippico, amico e corrispondente di Ciriaco d’Ancona, che nel 1435 passa per la Dalmazia andando in Grecia. Degli scritti dell’anconitano che raccoglieva e descriveva lapidi antiche, tra altre anche quelle ritrovate a Nona, Zara, Traù, Salona ed Antivari, oggi non è rimasto quasi nulla: tutto andò distrutto in un incendio. A partire dal Quattrocento, quindi, grazie alle opere degli umanisti, nella colta Europa si va creando l’idea che tutta la Dalmazia sia una regione ad alta densità archeologica ed epigrafica e che «raccogliere ed interpretare tutto ciò che c’è in Dalmazia è quasi impossibile». Questa regione adriatica diventa così oggetto di dibattiti culturali e indagini storiche.
Ad accrescere l’interesse per la Dalmazia concorre il fatto che è identificata come patria di San Girolamo, dalmata nato a Stridone distrutta dagli Unni e tuttora non identificata, ma supposta sul confine tra l’attuale Dalmazia nord-orientale e la Bosnia nord-occidentale. Nel 1458 Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, tratta della Dalmazia nel suo scritto De Europa, dove compie un’analisi etnica, geografica e storica del mondo sotto la sua “giurisdizione”. Il papa è consapevole che il nascente scontro tra il cristianesimo e l’islam ha provocato cambiamenti geografici e la sua attività pontificia sarà ispirata da un piano strategico: il porto di Valona era già occupato dai turchi e da lì per l’Italia il passo era breve. Traendo notizie storiche da Georgius Camemberius, il papa discorre della Dalmazia tra il capitolo 14 e 18 del suo studio e distingue tra le terre illiriche la Dalmazia, l’Istria, la Croazia e la Liburnia. Attraverso le opere degli antichi, dunque, rielaborate dagli umanisti, la travagliata e minacciata Dalmazia viene così posta all’attenzione degli studiosi e politici che sono invitati a comprendere ed esaminare la sua complessa identità, aiutati anche dagli scritti di coloro che la hanno vissuta in prima persona, viaggiatori e pellegrini in Terra Santa.
Il volume contiene i seguenti saggi: Manlio Pastore Stocchi, La Dalmazia nell’immaginario umanistico. Camillo Tonini, Sulla rotta dei pellegrini: portolani e isolari del Museo Correr, secoli XV-XVII. Ebe Antetomaso, Viaggio virtuale in Dalmazia attraverso i fondi delle raccolte romane. Vanda Perretta, Il viaggio di Ritter Grunenberg da Costanza a Gerusalemme e ritorno. Alda Rossebastiano, Scorci di Dalmazia nelle relazioni di viaggio di Nicolò e Meliaduxe d’Este, pellegrini in Terrasanta (1413-1440). Jitka Kresalkova, Le relazioni dei pellegrini “veneziani” del Quattro-Seicento provenienti dal Centro e Nord d’Europa.