«Abbellì in tal modo l’Urbe […] che poté gloriarsi a buon diritto di lasciarla di marmo dopo averla ricevuta in mattoni»: così Svetonio elogiava, nella sua “Vita di Augusto”, l’operato architettonico e urbanistico del Princeps, che un contributo prezioso aveva fornito anche in numerosi altri campi, a cominciare dall’amministrazione del territorio. Tra le iniziative più importanti dell’età augustea, infatti, in quell’epoca di transizione tra le antiche forme repubblicane e la nuova realtà del principato, vi fu senz’altro la ripartizione della penisola in 11 regiones.
La loro numerazione partiva dalla Regio I (corrispondente all’incirca all’attuale basso Lazio e Campania), proseguiva per l’Italia meridionale (sempre però peninsulare), salendo poi per quella centrale e raggiungendo infine la Regio XI, quella Transpadana. Nel Nord-Est della penisola vi era la Regio X, indicata da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”, come Venetia et Histria. Sicilia, Sardegna e Corsica non rientravano invece nella ripartizione augustea.
La Regio X era composta dall’attuale Triveneto, dal Friuli (Forum Iulii, antico nome di Cividale, fondata da Giulio Cesare, poi esteso a tutta la regione), da parte della Lombardia orientale e, non da ultimo, dall’Istria, fino al fiume Arsa, oggi in Croazia. Da Brixia (Brescia) ad Aquileia, da Tridentum (Trento) a Verona, da Tergeste (Trieste) a Patavium (Padova) diverse furono le città che avrebbero svolto un ruolo non secondario nella storia della penisola.
Si è molto discusso su quali fossero le finalità precise della ripartizione augustea. Senz’altro essa rientrava in un’ottica di razionalizzazione, in particolare per quanto concerneva la realizzazione dei censimenti, nonché per la riscossione di particolari imposte. Tuttavia, come appena evidenziato, non vi è affatto concordanza tra gli storici circa gli esatti risvolti della suddivisione in regiones della penisola.
Ciò che era stato stabilito per l’Italia era speculare, del resto, con quanto Augusto aveva decretato per Roma, divisa anch’essa in 14 regiones (termine da cui sarebbe derivato peraltro il nostro “rione”). Esse erano porzioni di città più estese dei vici, esistenti già in precedenza e per i quali lo stesso Augusto aveva istituito i magistri vicorum, scelti dalla plebe della zona. L’analogia di tali ripartizioni non desta particolare stupore ove si consideri il peso determinante che ebbe la penisola nella vittoria di Ottaviano su Marco Antonio.
Il riferimento riguarda ad esempio la Coniuratio Italiae, il giuramento di fedeltà nei confronti di Ottaviano prestato nel 31 a.C., in vista dello scontro decisivo contro Marco Antonio e Cleopatra. L’Italia sarebbe stata, a livello propagandistico, contrapposta all’Oriente, dove avevano la propria base, prima della sconfitta di Azio, i nemici del futuro Augusto. Una dinamica, questa, efficacemente riproposta da Virgilio nell’ “Eneide”, in cui il poeta mantovano descrive lo scudo forgiato per Enea da Vulcano su richiesta di Venere. È qui rappresentato proprio lo scontro navale che si sarebbe tenuto nelle acque greche. Descrivendo lo scudo, Virgilio parla del futuro Augusto che «conduce gli Italici a battaglia». L’Italia e Augusto, dunque, come colonne del mos maiorum minacciato da un Oriente considerato estraneo a Roma ed ai suoi costumi. La lotta tra Apollo e Dioniso, in definitiva, avrebbe visto nella penisola l’elemento decisivo.
Marco Valerio Solia