Nel febbraio del 1877 a Napoli si svolsero i funerali del Senatore del Regno Paolo Emilio Imbriani, una delle figure più importanti del patriottismo meridionale. Suo figlio Matteo Renato durante l’orazione funebre salutò i numerosi connazionali giunti a rendere omaggio all’augusto genitore dalle “terre irredente”, cioè non ancora redente dalla dominazione austro-ungarica (Trentino e Venezia Giulia). Un giornalista viennese, con intenti dileggiatori, definì Imbriani jr. “irredentista” appunto, coniando un’espressione destinata ad una crescente fortuna nel ricordare che dopo tre Guerre d’indipendenza e la presa di Roma il percorso risorgimentale di unificazione nazionale era ancora incompleto.
Che le terre irredente dovessero appartenere allo Stato unitario italiano era un concetto che con varie sfumature si percepiva anche prima che il termine “irredentismo” venisse coniato, prova ne è l’agile volumetto a cura di Francesco Giubilei Terre italiane. Il manifesto dell’irredentismo (Idrovolante Edizioni, Roma 2019) che raccoglie scritti di Carlo Cattaneo dedicati a Trentino, Trieste e l’Istria, Canton Ticino, Savoia e Nizza. Convinto federalista e combattente nelle Cinque giornate di Milano del 1848, Cattaneo compose questi elaborati tra il 1860 ed il 1862, allorché il Regno d’Italia prendeva ufficialmente forma: una prima ristampa in funzione irredentista risale al 1920, allorché le decisioni della conferenza di pace di Parigi successiva alla fine della Prima guerra mondiale sembravano frustrare molte aspettative italiane nell’Adriatico orientale.
Con dotte argomentazioni di carattere giuridico dedicate a trattati, accordi e deliberazioni del Congresso di Vienna Cattaneo volle dimostrare l’estraneità del Trentino rispetto alla Confederazione germanica e la sua tradizionale vocazione italiana. Le aspirazioni di alcuni ambienti patriottici italiani nei confronti del Canton Ticino vengono con sagace ironia additate al pubblico ludibrio e si cerca invece di indirizzare le attenzioni verso il Triveneto (il Veneto ed il Friuli sarebbero stati annessi solamente nel 1866). Cattaneo si dimostra altresì ferocissimo censore della cessione di Nizza (la cui italianità era indiscutibile prima del processo di snazionalizzazione attuato dalla Francia imperiale di Napoleone III) e della Savoia (non potendo avvalersi di una componente autoctona italiana, l’autore utilizza qui considerazioni di carattere militare che designano tale regione alpina come baluardo difensivo dell’Italia occidentale) alla Francia sostanzialmente in cambio dell’acquiescenza napoleonica nei confronti dell’annessione della Toscana e dell’Emilia al Regno del Piemonte (1859).
Venendo alle terre del confine orientale, Cattaneo ribadisce la definizione delle Alpi come confine naturale dell’Italia ed elogia la caparbietà della Dieta del Nessuno nel non voler inviare nel 1861 alcun rappresentante istriano al Parlamento di Vienna. I riferimenti alle questioni locali dimostrano che l’autore era in contatto con gli ambienti dell’emigrazione patriottica triestina ed istriana, tanto da utilizzare anch’egli l’espressione “Porta orientale” per evidenziare ai suoi lettori l’importanza strategica di questa regione per la sicurezza dell’Italia. Di fronte ai processi di slavizzazione o di germanizzazione che si consumano sotto gli auspici dell’amministrazione asburgica, Cattaneo ricorda le radici italiche dell’Istria e della Dalmazia piantate ai tempi di Roma e corroboratesi durante il dominio della Repubblica di Venezia. Riguardo Trieste, che rappresentava il più importante porto dell’Impero, l’illustre liberale rammenta che la sua dedizione all’Austria nel 1382 avvenne sotto garanzia della salvaguardia della propria autonomia, uno dei cui caratteri imprescindibili era l’italianità, laddove non vi era alcuna intenzione di venire fagocitati dalla Confederazione germanica, come le più recenti iniziative amministrative austriache tentavano di fare.
Lorenzo Salimbeni
Pubblicato sul numero di luglio 2019 de L’Arena di Pola.