Scritto da Fulvio Salimbeni
lunedì 16 luglio 2012
Pubblicata un’agile guida su uno dei nodi cruciali della storia contemporanea europea
Fonte: «Panorama» – Edit (Fiume), 15/07/12
Pubblicata un’agile guida su uno dei nodi cruciali della storia contemporanea europea
Fonte: «Panorama» – Edit (Fiume), 15/07/12
Il confine orientale è uno dei temi più trattati dalla storiografia contemporanea italiana, che a esso – in particolare dopo l’istituzione del Giorno del Ricordo il 10 febbraio – ha dedicato una serie rilevante di pregevoli studi politici, diplomatici e militari, ma concepiti essenzialmente per un pubblico di specialisti, e poco idonei alla diffusione tra i non addetti ai lavori e gli studenti universitari e delle scuole secondarie, che maggiore necessità hanno d’essere informati in materia. Giunge, perciò, opportuna la pubblicazione del volumetto di Giorgio Federico Siboni Il confine orientale. Da Campoformio all’approdo europeo (pp. X-136, euro 18,00), apparso nella collana “Passato prossimo”, diretta da Edoardo Bressan, per l’editrice Oltre di Sestri Levante, che si propone di fornire agili introduzioni, di seria divulgazione, ai principali argomenti storici, affidandosi a esperti del settore, come è l’autore del presente saggio. Egli, infatti, collaboratore dell’Università di Milano, è pure redattore di “Coordinamento Adriatico”, rivista dell’omonima associazione, promossa e animata da Giuseppe de Vergottini, e componente della commissione ministeriale per l’aggiornamento degli insegnanti sulle vicende del confine orientale, pienamente qualificato, dunque, per curare quest’opera, corredata, a facilitarne la consultazione, di tavole geografiche, di un’ampia e aggiornata nota bibliografica – che tiene nel debito conto tanto la miglior storiografia italiana quanto quella straniera, specialmente inglese e americana, e non solo quella politica, ma anche quella antropologica e sociale -, di un indice onomastico e di un’essenziale cronologia.
Contrariamente a quanto troppo spesso avviene quando s’affronta una tale questione, specialmente in occasione del Giorno del Ricordo, questo testo – già presentato il 2 e 3 luglio scorso a cura dell’ANVGD a Trieste e a Gorizia -, scritto con un linguaggio chiaro e piano, accessibile a chiunque, non circoscrive il discorso al periodo della seconda guerra mondiale e alla tragedia delle foibe e dell’esodo dalla Venezia Giulia, da Fiume e dalla Dalmazia, che poco o nulla farebbe intendere delle ragioni di così drammatici eventi, le cui radici affondano in un secolare passato, ma muove da molto prima, correttamente collocando l’indagine in un contesto europeo, sempre presente sullo sfondo, perché quanto avviene nell’area alto-adriatica si connota come microstoria regionale d’un più generale caso europeo. Se già la Commissione mista storico-culturale italo-slovena aveva deciso d”avviare i propri lavori a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, allorché vennero delineandosi i contrapposti irredentismi e nazionalismi in seno alla duplice monarchia, che l’avrebbero condotta alla dissoluzione, mentre la stipula, nel 1882, della Triplice Alleanza tra Italia, Austria-Ungheria e Germania avrebbe portato il governo italiano a modificare l’atteggiamento, fino allora favorevole, nei riguardi delle rivendicazioni irredentiste, il Siboni sceglie una prospettiva ancora più ampia, impostando il discorso a partire dal 1797, anno del trattato di Campoformio, che pone termine alla millenaria esistenza della repubblica di Venezia, innescando una serie di processi di lungo periodo, che stanno trovando compimento forse solo ora, in tale opzione confortato dal precedente d’un maestro di tali studi quale Carlo Ghisalberti, che aveva titolato una raccolta di scritti in materia Da Campoformio a Osimo. La frontiera orientale tra storia e storiografia (E.S.I., 2001) – come correttamente ricordato nei dibattiti successivi alle già citate presentazioni -, ovviamente menzionata nella bibliografia finale insieme con altri suoi contributi.
La trattazione, quindi, dopo un’introduzione sul concetto di confine in generale e di quello orientale in ispecie, s’articola in cinque capitoli, dedicati rispettivamente agli anni che vanno dal trattato di Campoformio alla pace di Vienna, che assegnava il Veneto, ma non i vecchi domini da mar, al Regno d”Italia (1797-1866), all’irredentismo e alla Grande Guerra (1866-1918), al ventennio tra i due conflitti (1919-1939), alla seconda guerra mondiale e alla questione di Trieste (1939-1954) e al dopoguerra e all’approdo europeo, concludendosi con la menzione del concerto “Le vie dell’amicizia”, tenuto a Trieste il 13 luglio 2010 alla presenza dei presidenti delle repubbliche d”Italia, Slovenia e Croazia, suggello d’un lento quanto contrastato processo di mutua pacificazione, puntualmente illustrato nel testo. Se la scansione cronologica della ricostruzione può sembrare convenzionale, troppo condizionata dal fattore politico, va detto che in pochi casi come nel presente ciò risponde a precise ragioni storiche, perché quest’area di frontiera, punto d’incontro e, purtroppo, di scontro tra etnie, nazionalismi e ideologie totalitarie (fascismo, nazionalsocialismo e comunismo) nel cuore d’Europa, al punto d’intersezione tra mondo latino, germanico e slavo, è stata segnata in profondità, e sanguinosamente, da quella che a ragione Enzo Traverso tempo fa ha definito la guerra civile europea dei Trent’anni, esito finale di tensioni e lacerazioni tragico risultato della degenerazione degli ideali ottocenteschi di nazionalità e di internazionalismo.
Nel saggio, per quanto per ragioni editoriali condotto in termini stringati, l’autore non manca, però, di svolgere il proprio ragionamento in termini problematici e critici, non imponendo letture unitarie e univoche alla complessa materia, bensì mettendone in luce le contraddizioni e le varie e diverse componenti. Così, per quel che riguarda il 1848, egli rimarca la condotta lealista di Gorizia e di Trieste nei riguardi di Vienna, tant’è che l’emporio adriatico, a crisi rivoluzionaria conclusa, avrebbe meritato la qualifica di città “fedelissima” dell’Impero, mentre in Istria e in Dalmazia, pur non mancando orientamenti unitari, era ancora largamente presente un atteggiamento di fedeltà alla memoria della Serenissima, tanto più che a Venezia era stata proclamata la Repubblica Veneta. Solo dopo il 1859, e ancor più dopo il 1866, quando, contrariamente alle aspettative dei patrioti locali, le terre dell’altra sponda adriatica rimasero all’Austria, iniziò a svilupparsi un nuovo orientamento decisamente italiano, donde l’“invenzione” ascoliana della Venezia Giulia (1863) e quella di Matteo Renato Imbriani di terre irredente (1877) – parole nuove per problemi nuovi, come avrebbe detto l’Ascoli -, anche in risposta ai nascenti e paralleli movimenti di risveglio nazionale, connessi a una significativa ascesa economica e sociale, degli slavi viventi nello stato asburgico e di quelli di Serbia e Montenegro, donde l’insorgere di crescenti tensioni nazionali, sfociate nelle catastrofi del “secolo breve”. In tale analisi – in cui, tra l’altro, si rileva l’opera educatrice e “nazionalizzatrice” della Lega Nazionale e della Società “Dante Alighieri” – non si manca, d’altronde, di porre in luce le diverse anime del movimento nazionale italiano, variamente atteggiantesi a Trieste, in Istria, a Fiume e in Dalmazia, data la diversità delle relative situazioni, e, dal finire del XIX secolo, caratterizzato dall’affermarsi di tendenze via via più spiccatamente nazionaliste e imperialiste nei riguardi dei Balcani, che sarebbero giunte a piena maturazione con la Grande Guerra e nel ventennio fascista, del quale non si manca di mettere in evidenza la dissennata politica snazionalizzatrice nei riguardi delle minoranze e l’irrealistica politica di potenza, che avrebbe condotto all’asservimento alla Germania hitleriana e ai disastri del secondo conflitto mondiale.
Quanto al periodo più delicato e cruciale, che va dal 1941, quando Italia e Germania invadono la Jugoslavia, alla firma del trattato di pace nel 1947, che sancisce la perdita di quasi tutta l’Istria, di Fiume e della Dalmazia a favore della nuova repubblica federativa socialista jugoslava di Tito, il Siboni sa tratteggiare con estrema precisione, tenendo conto dei risultati della più recente e miglior storiografia in materia, la complessità della vicenda, ben lumeggiando l’intreccio di fattori ideologici e nazionali, la guerra civile di tutti contro tutti nella Jugoslavia occupata e, dopo l’8 settembre 1943, nella Venezia Giulia, divenuta Litorale Adriatico, di fatto annesso al III Reich, con i tragici episodi di Malga Porzus e con la risoluta politica del movimento partigiano jugoslavo per affermare rivendicazioni territoriali che avrebbero dovuto portare il confine sin quasi alle porte di Udine e per imporre la propria egemonia alla Resistenza italiana, il tutto senza mai trascurare l’abilità politica di Tito, il quadro internazionale e le scelte diplomatiche degli Alleati, in particolare degli inglesi, fino alla soluzione della questione di Trieste, con il ritorno, nel 1954, del capoluogo giuliano all’Italia. Né minor cura nel distinguere i vari momenti e fasi, sempre tenendo presente il contesto internazionale, è manifestata nelle pagine finali, relative alla dissoluzione della Jugoslavia socialista e alla nascita degli stati successori, Slovenia e Croazia in particolare ai fini del nostro discorso, senza ignorare la presenza della comunità italiana residuale in essi.
Essere riusciti a dire tanto, e con tanta chiarezza, in una sintesi così essenziale, in cui nulla d’importante è pretermesso, è forse il riconoscimento migliore che si possa fare a questa guida, riuscita pienamente nel proprio obiettivo.