Dopo quasi un secolo, l’impresa di Gabriele d’Annunzio a Fiume, città all’epoca abitata a maggioranza da italiani, desta ancora polemiche invece di rappresentare una pagina di storia estremamente complessa, da analizzare serenamente.
Ci fu la sedizione militare del 12 settembre 1919 da cui prese il via la marcia verso il Carnaro dalla località di Ronchi, ma anche il plebiscito con cui la popolazione fiumana già il 30 ottobre 1918 aveva chiesto l’annessione al Regno d’Italia in base al principio di autodeterminazione dei popoli. Ci furono i comizi e la gestualità della retorica dannunziana, rodata nelle ben note giornate del maggio 1915 e destinata a venire opportunisticamente imitata ed esasperata da Benito Mussolini durante il Ventennio, ma vi furono soprattutto i contenuti libertari assolutamente all’avanguardia per l’epoca nella Carta del Carnaro, elaborata dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e redatta in maniera aulica dal poeta abruzzese, che in questa occasione dette ancora una volta sfoggio delle doti di artista e di scrittore che gli avevano portato la fama nel periodo anteguerra. Non mancarono nei messaggi del “Comandante” di Fiume le invettive all’indirizzo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, ma prive di venature razziste, poiché esistevano pure i contatti con separatisti croati, montenegrini, kosovari e macedoni che volevano staccarsi da uno Stato in cui la componente serba appariva egemone ed autoritaria. Come nei discorsi interventisti, anche da Fiume d’Annunzio esaltò le glorie italiane, ma nel suo composito entourage operarono collaboratori che promossero la Lega dei Popoli Oppressi, rivolta ai popoli europei e delle colonie che avevano subito dai Trattati di Pace ingiuste imposizioni confinarie, ovvero il mancato rispetto di promesse di autonomia e di indipendenza.
Tutto ciò probabilmente è ancora ignoto a Marco Barone, (che in qualità di avvocato è sicuramente addentro alle discipline di legge ma forse non altrettanto a quelle storiche e letterarie) il quale periodicamente ripropone l’abolizione del toponimo “dei Legionari” dalla località di Ronchi (non sembra che né il Consiglio comunale né petizioni di residenti abbiano ancora supportato efficacemente questa che appare una rancorosa battaglia personale e ben poco sentita dalla comunità) e presenta un armamentario di argomentazioni fondate sulla definizione di Gabriele d’Annunzio precursore e “Giovanni Battista del fascismo” ormai obsoleta e sorpassata dalla storiografia scientificamente acclarata, e dalla critica letteraria ufficiale, da quella marxiana sino alla più recente, attenta invece a definire il rapporto dialettico e man mano sempre più conflittuale tra Vate e Duce, sino a giungere all’isolamento definitivo del primo.
Stupisce che il nuovo Ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia, da poco insediato al posto del prof. Damir Grubiša, dimostratosi, da uomo colto qual è, sensibile e attento nell’affrontare le questioni del confine orientale italiano durante il suo mandato, abbia così poco diplomaticamente dato ascolto a siffatte lagnanze, che giungono a chiedere che si facciano pressioni affinché non avvenga la consueta commemorazione annuale del 12 settembre che ricorda l’avvio della spedizione di d’Annunzio e dei suoi disertori del Regio Esercito.
Nessuno oggi osa discutere l’appartenenza di Fiume/Rijeka alla Croazia, ma tante associazioni patriottiche, d’arma e di esuli istriani, fiumani e dalmati intendono soltanto ricordare il periodo in cui, grazie all’opera di Gabriele d’Annunzio (nell’occasione poeta guerriero,non guerrafondaio che tutt’altro significa, ma anche autore teatrale, raffinato poeta e romanziere di fama europea) il capoluogo quarnerino intraprese il complesso iter di politica internazionale che avrebbe condotto all’appartenenza all’Italia in maniera internazionalmente riconosciuta dal 1924 al 1947.
Donatella Schürzel, Vice Presidente ANVGD, 30 settembre 2017