L’Istria, interessante zona di cinema

Scritto da Francesco Cenetiempo, «La Voce del Popolo», 28/01/11

TRIESTE – Alla 22.esima edizione del Trieste Film Festival decine di pellicole, registi, attori e attrici hanno colloquiato con il pubblico e con i giornalisti presenti su temi vecchi e nuovi che attraversano la parte orientale dell’Europa. Sono temi universali che parlano di amore, diritti negati, emarginazione, solitudini di uomini e donne o di interi paesi, nuove e vecchie passioni, nostalgie di tempi in cui si era poveri ma felici (o perlomeno così sembrava) e quant’altro la celluloide riesce a carpire e fermare dei pensieri umani. Elencarli tutti sarebbe cosa impossibile. Mi fermo su alcuni giovani che mi hanno fatto riflettere su temi che ritengo importanti portare a conoscenza.

Inizio con la storia di un prete operaio, nativo di Momiano, che il giovane regista Ivan Bormann ha portato su pellicola con il titolo di “Sconfinato. Storia di Emilio” (Italia, 2010, DV, col.) in concorso nella sezione di “Zone di cinema”. Emilio, italiano dell’Istria, viene a studiare presso il seminario vescovile di Trieste negli anni in cui si dibatte su dove dovrà passare il nuovo confine tra Italia e Jugoslavia. Le porte ben presto si chiudono alle sue spalle e il giovane seminarista pensa che al di sopra delle esigenze degli uomini valga la priorità divina e diventa prete.
Un prete diverso dai tanti che vestono la toga in quegli anni, un prete che decide sin dall’inizio quale sarà la sua croce. Chi negli anni Settanta aveva la fortuna di incrociarlo, vestito coi panni di un operaio, con un basco calato sulla testa e dei mustacchi che gli coniavano un’aria bonaria e rassicurante, aveva dinnanzi un uomo che aveva fretta, fretta di aiutare chi si trovava in stato di bisogno. Caricava su una vecchia Fiat 600 tutto quello che riteneva che un essere umano avesse bisogno: vestiti, cibo, libri.

Emilio Coslovi, nato a Momiano d’Istria nel 1938 si era caricato sulle spalle un fardello di dimensioni gigantesche, troppo pesante per un giovane di campagna che aveva abbracciato la fede cristiana alla lettera e voleva condividerla con gli umili. Sopportava e condivideva le fatiche dell’operaio con convinzione ma anche in solitudine. La solitudine la avvertiva soprattutto dalla gerarchia ecclesiastica che riteneva, in quegli anni di contestazione giovanile, pericoloso appoggiare un prete “ribelle”, un uomo di chiesa che in una notte di Natale di molti anni fa aveva tenuto una funzione religiosa in una fabbrica occupata, lì senza i paramenti sacramentali e in mezzo a padri di famiglia che difendevano alla meglio il loro posto di lavoro, aveva spezzato il pane e bevuto il vino in memoria di Gesù Cristo.

Questo prete, che si faceva gioco delle buone maniere del prelato andava punito ed emarginato, posto fuori dalla parrocchia e soprattutto lontano dagli stessi parrocchiani. Ma Emilio è testardo come lo sono tutti i contadini del mondo, a testa bassa resiste alle molte umiliazioni che ormai provengono da varie direzioni. Alcune di queste hanno dimora nella sua testa, sono un rovello che lentamente prende forma. Le sembianze si fanno figure ed Emilio ne ha paura, teme un complotto alla sua persona, si isola e spesso si barrica in casa. Alla porta di questa casa, un mattino dei pugni pesanti battono con violenza, Emilio apre e subito alcune braccia lo afferrano e lo trascinano con forza verso il basso. Emilio urla i suoi diritti di uomo, poi il respiro si fa affannoso e subentra il disordine.
Sarà una struttura di igiene mentale a prendersi cura di lui. Ormai l’epilogo di questo fragile uomo dalla forte fede è segnato. I complotti, a suo dire, si concretizzano in minacce e con segni indiscutibili fanno presagire il peggio, che arriva all’alba di un freddo gennaio quando il suo appartamento prende fuoco divorando ogni cosa. Emilio Coslovi, ordinato sacerdote nella chiesa del Monte Grisa nel 1967 dal vescovo Antonio Santin, lasciò questa vita all’alba del 13 gennaio 2002 in via Vasari 7, a Trieste, nell’incendio dell’appartamento, dove viveva da solo.

Un passato ancora non metabolizzato
Altro film inserito nello stesso comparto e con un forte aggancio al territorio è “Magna Istria” (Italia, 2010, HD, col.) di Cristina Mantis (vedi anche il sito www.magnaistria.it, com tanto di ricette). Il terzo film, intitolato “Piran – Pirano”(Slovenia, 2010, 35 mm, col.), dello scrittore sloveno e ora regista Goran Vojnovi?, è un film anch’esso calato nella memoria di un passato non ancora metabolizzato. Racconta la storia di tre persone i cui destini sono straordinariamente intrecciati. Un italiano, Antonio (Francesco Borchi), un bosniaco, Veljko (Mustafa Nadarevi?), e una ragazza slovena, Anica (Nina Ivanišin), in balia delle miserie della guerra, sino a diventarne delle vittime. Mezzo secolo più tardi le loro strade si incrociano di nuovo, questa volta perché Antonio è tornato a Pirano per vedere il suo luogo di nascita, ancora una volta prima di morire. Due uomini che un tempo erano accomunati perché innamorati della stessa ragazza, Anica, rivedono il loro passato in un conflitto che non è ancora finito. La casa che ha visto nascere Antonio e successivamente abitata da Veljko è un palcoscenico irreale per ricordare e cercare di capire che non sempre si può liberamente scegliere da che parte stare.

Goran Vojnovi? nel 2009 con il suo romanzo ?efurji raus! (Terroni fuori!) divenne un caso editoriale e un successo personale per il neo scrittore sloveno. La storia, ambientata in un quartiere di Lubiana ad alta percentuale di immigrati. Il protagonista, Marko, è un diciassettenne, giocatore di basket e che prova sulla sua pelle l’intolleranza della società in cui vive. Il putiferio che il libro scatenò, pochi giorni dopo la sua uscita nelle librerie, giunse addirittura al Parlamento di Lubiana, dove alimentò il dibattito su un tema attualissimo sulla libertà dell’arte e sull’eventualità di porre delle regole alla sua diffusione.