Si è svolta nel pomeriggio dell’8 aprile alla Camera di Commercio della Venezia Giulia a Trieste la seconda delle quattro conferenze su Il Trattato di pace di Parigi settant’anni dopo.
Aspetti giuridici, politici e diplomatici di un diktat, organizzate dall’Unione degli Istriani e dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con l’Iniziativa Centro-Europea, con il patrocinio del Comune di Trieste e della CCIAA.
Il prof. Giuseppe de Vergottini, presidente di Coordinamento Adriatico, ha definito senz’altro punitivo il trattato, poiché derivante da una resa incondizionata che rendeva l’Italia un paese perdente, il quale aveva attenuato con la cobelligeranza e la resistenza «il tasso di cattiveria dei vincitori». «Da ciò – ha detto – la cessione dei quattro quinti della Venezia Giulia e del naviglio militare, oltre che il pagamento dei danni di guerra e la mancata partecipazione delle province di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara alle elezioni per l’Assemblea Costituente e dei suoi deputati alla stesura della Costituzione. Qui infatti non c’è stato il 25 Aprile e gli italiani non avevano nulla da festeggiare». «Già il Trattato di Rapallo – ha rilevato de Vergottini – aveva previsto il meccanismo delle opzioni, ma solo per i cittadini ex asburgici della Dalmazia, che avrebbero potuto scegliere se acquisire la cittadinanza jugoslava o italiana, rimanendo comunque sul posto. L’art. 19 del Trattato di Parigi prevedeva invece per chi risiedeva prima del 1940 nei territori ceduti la possibilità di scegliere entro un anno dall’entrata in vigore se mantenere la cittadinanza italiana, trasferendosi entro un anno in Italia, o acquisire automaticamente quella jugoslava. Furono poi concesse proroghe per le opzioni. Il trattato stabiliva che poteva optare solo chi aveva come lingua d’uso l’italiano. Le autorità esercitarono una fortissima discrezionalità nel decidere. All’inizio non ostacolarono le opzioni, ma quando l’esodo si fece molto consistente fecero ostruzionismo con disfunzioni amministrative o con la violenza. Fra il maggio 1945 e il settembre ’47 molti italiani se n’erano già andati alla spicciolata senza optare, perché la loro loro presenza era divenuta impossibile. Gli indennizzi per i beni sottratti furono concessi solo agli optanti. Il Ministero degli Interni croato rese noto nel ’91 che in tutto vi furono 100.000 domande di opzione accettate e 20.000 respinte. Dunque in tutto 120.000 nuclei familiari, il che proverebbe l’attendibilità dei 350.000 esuli. Certamente non fu una scelta volontaria, ma necessitata. L’alternativa, in caso di respingimento dell’opzione, era la fuga, magari di notte con una barca».
L’Arena di Pola, 5 maggio 2017