Scritto da Stefano Lusa
È stato presentato al festival del cinema di Sarajevo l’ultimo film di Damjan Kozole. Slovenian Girl (Slovenka) accende i riflettori sul mondo della prostituzione in Slovenia. La storia è quella di Aleksandra (Nina Ivašin), una giovane studentessa di inglese trasferitasi dal suo piccolo paesino a Lubiana per frequentare l’università della capitale. Figlia di genitori divorziati, con un rapporto conflittuale con la madre, conduce una vita apparentemente normale. A nessuno verrebbe in mente che si prostituisca. Lo fa con un metodo semplice, apparentemente asettico: mette degli annunci sul giornale con lo pseudonimo di Slovenka. I suoi clienti sono soprattutto stranieri che capitano di passaggio a Lubiana. «Vado da loro in albergo, me la sbrigo in fretta e guadagno parecchi soldi. Nessuno sa cosa faccio. Ho un obiettivo e quando l’avrò raggiunto farò una vita normale». Questo il ragionamento apparentemente banale che fa la ragazza. Il tutto è perfettamente in linea con una certa aridità morale che serpeggia nelle società in transizione. Nell’est Europa, infatti, soldi e beni materiali hanno rapidamente sostituito i “valori” della società socialista.
Il fine della ragazza è quello di acquistare un appartamento e di pagare il mutuo prostituendosi. Tutto sembra filare via liscio, finché, durante il semestre di presidenza slovena dell’Unione europea, non arriva a Lubiana un politico straniero. Aleksandra è in una camera d’albergo con lui quando l’uomo muore d’infarto. Sui giornali comincia a trapelare la notizia. D’un tratto Aleksandra si trova ad essere braccata dalla polizia, dai protettori, dalla banca che reclama i soldi del mutuo e con l’acqua alla gola per gli esami da fare all’università. La sua paura più grande, comunque è che suo padre venga a scoprire quello che fa. «Slovenian Girl – dice il regista – è il ritratto di una giovane persona perduta, per metà adulta e per metà bambina, che perde il senso della realtà ed il rapporto con il suo corpo, perché – dice lei – vuole avere qualcosa dalla vita».
Damjan Kozole, con fredda determinazione, da anni mette a nudo lo stato delle cose in Slovenia. Non è la prima volta che con un suo film indaga sul mercato del sesso. Lo aveva fatto già nel 2000 con “Porno film”. La storia era quella di un ragazzo braccato dagli strozzini che cercava di girare il primo film pornografico sloveno. Il regista, comunque, è più noto sulla scena internazionale per un altro lavoro, Pezzi di ricambio (Rezervni deli), che nel 2003 è stato selezionato in concorso al festival del cinema di Berlino ed è stato premiato ai festival di Sarajevo, Trieste e Montpellier. Il film è stato distribuito in ben 12 paesi europei. Un vero e proprio successo per la cinematografia slovena. La vicenda narra con crudezza il passaggio dei clandestini attraverso la Slovenia e l’insensibilità degli organizzatori di quei traffici.
Da quell’esperienza si prospettava un altro grande film, che avrebbe dovuto coinvolgere anche produttori stranieri, ma non sono arrivati i soldi che la Slovenia impiega per supportare la cinematografia nazionale. Accantonata l’idea di raccontare la storia di una prostituta ucraina, bulgara o bosniaca i finanziamenti sono arrivati quando Kozole ha proposto la nuova sceneggiatura. Secondo il regista, infatti, uno degli appunti che gli erano stati mossi era quello che la storia precedentemente proposta fosse troppo poco slovena. Evidentemente i funzionari chiamati a giudicare avranno pensato che il film appena prodotto rientrasse meglio nel quadro degli “interessi nazionali”.
Il film, comunque, apre il sipario sul mercato del sesso nel paese. La prostituzione in Slovenia all’apparenza sembra non esistere. Anche in questo campo, infatti, sembra regnare l’ordine più assoluto. Non ci sono prostitute ai bordi delle strade e non ci sono nemmeno dei bordelli veri e propri. In realtà si contano circa 3000 prostitute, tre quarti delle quali slovene. I frequentatori, invece, si aggirano su 40-60.000. Stando alle percentuali in rapporto con la popolazione Lubiana risulta rientrare perfettamente nei trend europei in materia.
A grandi linee ci sarebbero due diversi modi di esercitare. Il primo coinvolge le straniere. Si tratta di giovani ragazze provenienti da Moldavia, Ucraina o altri paesi dell’Europa dell’est che eserciterebbero nei night club. Tra le tante cameriere e ballerine straniere alcune, infatti, offrirebbero dei servizi extra ai clienti. Proprio questa forma di prostituzione sembra quella più soggetta allo sfruttamento ed è quella più legata alla criminalità organizzata ed al traffico di esseri umani.
Le slovene – come la protagonista del film – adescano invece i clienti tramite annunci sui giornali. È un modo questo per non farsi vedere e per guadagnare restando nell’ombra. Prostituirsi grazie ad un‘inserzione può, infatti, evitare di far incorrere nel giudizio morale di vicini o conoscenti e più in generale della società. Nel Salomonov oglasnik, il più diffuso giornale d’annunci del paese, in un solo numero, se ne possono contare anche 1000. Molte dicono di essere studentesse e lasciano ai loro potenziali clienti un numero di cellulare da chiamare. Perlopiù eserciterebbero lontano dal loro luogo di residenza, in appartamenti presi in affitto. Per mezz’ora di “lavoro” la tariffa sarebbe di una cinquantina di euro.
Nel paese comunque di tanto in tanto si riaccende timidamente il dibattito sull’opportunità di legalizzare la prostituzione. Da questo punto di vista la Slovenia, però, non sembra essere molto diversa rispetto a quanto accade nel resto dell’Europa meridionale. Per il momento, nel 2003, la prostituzione è stata, depenalizzata. Rimane invece reato il suo sfruttamento. Così sporadicamente rimbalzano sui giornali le notizie di retate della polizia che cerca di combattere la piaga della schiavitù sessuale, un fenomeno che va ben oltre i confini nazionali.
Fonte: Osservatorio Balcani, 20/08/09.