«Un generale russo fu il sosia di Tito»

Scritto da Mauro Manzin, «Il Piccolo», 02/11/14
domenica 02 novembre 2014

TRIESTE La figura di Josip Broz Tito continua, a 34 anni dalla sua morte, ad alimentare una sorta di leggenda attorno a sè. Prima i documenti della Nsa americana che gettavano un forte dubbio sul fatto che il Maresciallo sarebbe stato russo o polacco e avrebbe avuto un “sostituto” e il tutto in base a un’analisi dell’intelligence statunitense datata anni Settanta. Ora ad alimentare la “leggenda” ci pensano nuovi documenti declassificati ma stavolta dell’Fbi.

La documentazione relativa all’identità di Tito è costituita da un dossier di un migliaio di pagine. In esso spicca la testimonianza di Marijan John Markul rilasciata ad alcuni agenti dell’Fbi in Argentina nell’aprile del 1955. Ebbene Markul sostiene che la persona che oggi dice di essere Tito (siamo nel 1955) non è il vero Maresciallo bensì un agente russo che ha preso l’identità del padre-padrone della Jugoslavia. Il vero Tito sarebbe scomparso in Russia nel 1937. Il documento dell’Fbi contiene anche le informative attorno alla persona di Merkul. Questi è nato a Livno il 27 novembre del 1909 e naturalizzato cittadino americano il 14 marzo del 1944. Ha servito nell’Esercito degli Stati Uniti dal 9 ottobre del 1942 al 30 novembre 1944 quando è stato congedato con onore e con il grado di caporale. Emigrò negli Stati Uniti nel maggio del 1936 e sua moglie, cittadina americana, era impiegata come tecnico di laboratorio in un ospedale della contea di Los Angeles. Merkul gestiva un bar a Los Angeles.

«Non è possibile confermare – si legge nel dossier – quanto le sue affermazioni siano veritiere, ma egli sostiene di essere socialista e di voler dare informazioni importanti per la sicurezza degli Stati Uniti». Nel suo racconto Merkul spiega agli agenti americani di aver visitato la Jugoslavia nel 1953. Nell’occasione incontrò due volte Tito. La prima fu un’udienza pubblica quando notò che colui che si presentava come il Maresciallo aveva cinque dita per mano destra mentre il vero Tito era privo dell’indice e del medio della mano sinistra. Il Tito con cui si incontrò nel ’53 era, al contrario del vero Tito, molto ben istruito e sapeva suonare molto bene il pianoforte cosa assolutamente impensabile per il vero Maresciallo. L’uomo aveva un accento russo e parlava con voce dolce mentre il vero Tito aveva una parlata più profonda e rude. Inoltre il Tito che aveva di fronte era alto un metro e sessanta mentre il Tito che lui aveva conosciuto era alto un metro e ottanta centimetri. Markul racconta ancora di aver parlato con Tito nel 1928 in Jugolsavia e poi lo incontrò a Parigi nel 1935 e 1936 e quello era il vero Tito.

Le sue perplessità erano condivise anche dalla sorella Anna ma soprattutto dal padre John che aveva lavorato fianco a fianco di Tito in gioventù. La seconda volta che incontrò Tito fu a Zagabria. Era con la moglie Ingrid e il supposto Maresciallo li trattò con freddezza. Markul parlò dei suoi dubbi con Alexander Rankovic il capo della sicurezza jugoslava. Un colloquio durato tre ore alla fine del quale Rankovic lo invitò a lasciar perdere e di godersi la sua visita in Jugoslavia. Markul infine spiega che c’è un’altra autorevole fonte che sostiene la sua stessa versione. Si tratta di un certo Živko Topalvoch che vive in Francia. Anche lui è convinto che il Tito di oggi (anni Cinquanta ndr.) non è quello vero ma si tratta invece del generale russo Nikolai Lebkdev. Tito sarebbe stato ammalato di tubercolosi quando andò in Russia nel 1937. Lo strappo del Cominform del 1948 sarebbe stato, per Merkul, un abile gioco delle parti orchestrato da Mosca. Da notare che nel dossier, in un documento datato 2 dicembre 1948 si parla anche del poglavnik Ante Pavelic leader del regime ustascia. In base a quanto scritto, Pavelic sarebbe giunto in Argentina a bordo della nave “Sestriere” proveniente da Genova. Avrebbe viaggiato sotto mentite spoglie con una folta barba e baffi prontamente tagliati all’arrivo in Argentina. Pavelic sarebbe prima stato ospite a Castel Gandolfo a Roma e poi, con l’aiuto di padre Krunoslav Draganovic avrebbe raggiunto Genova per imbarcarsi sul “Sestriere”.