Scritto da Monica Baulino
Frugare tra mille faldoni e scoprire la firma autografa di Ettore Schimtz, alias Italo Svevo, su una delega per ritirare denaro dal conto corrente della ditta Veneziani. O trovarsi tra le mani il contratto di assunzione in qualità di «aspirante postale» del padre di monsignor Eugenio Ravignani, vescovo di Trieste, in forza alle poste ufficialmente dal 2 agosto del 1915. O ancora il testo in tedesco del giuramento, rivolto direttamente all’imperatore Francesco Giuseppe, di un neoimpiegato che si apprestava a servire il regno come postino.
C’è chi è capace di provare un’emozione sottile, un brivido appena accennato lungo la schiena, nel trovarsi di fronte a frammenti di esistenze – più o meno note – che appartengono al passato e che, però, a quel passato privo di colori dei libri di scuola, sono in grado di donare perlomeno tonalità pastello, se non le tinte vivaci del presente. Emozioni simili, immaginiamo, avranno provato i pazienti addetti della Cooperativa archivisti paleografi di Trieste nel rinvenire alcune di queste “chicche” durante l’operoso lavoro – durato oltre tre anni – di recupero e catalogazione dell’archivio storico delle Poste, ospitato nel palazzo di via Roma. Un’opera di riordino, realizzata anche grazie al sostegno della Regione Fvg, avviata in vista dell’apertura al pubblico dell’archivio – entro la fine dell’anno – e a quanti potranno essere interessati a consultare i suoi piccoli tesori, tracce lasciate da persone occupate alle Poste, frammenti di esistenze più o meno singolari, più o meno avventurose, ma pur sempre vissute. «Il primo intervento – spiega Chiara Simon, direttrice del Museo Postale – è stato di ordinamento alfabetico. Il secondo, invece, di digitalizzazione del patrimonio, in modo da renderlo consultabile al pubblico. Dai mille faldoni iniziali sono usciti quindi dieci mila fascicoli che abbracciano un secolo circa, dalla metà dell’Ottocento al 1950 circa, per lo più documenti amministrativi sugli impiegati del servizio postale triestino, sia durante il governo asburgico, sia durante il Regno d’Italia, ma anche durante la reggenza del Carnaro a Fiume».
Dietro l’apparente uniformità e indistinguibilità di documenti come fatture, contratti di lavoro, lettere varie, emerge uno spaccato della società triestina. Come muniti di una lente di ingrandimento, si guarda da vicino, inaspettatamente, il cambiamento della comunità cittadina, dei suoi costumi e delle sue abitudini, in momenti cruciali della storia. «Materialmente – continua Simon – possediamo i documenti che sono appartenuti a tutti i governi che si sono succeduti a Trieste: dall’impero austro-ungarico al Regno d’Italia, dall’occupazione nazista nel biennio ’43-45, ai quaranta giorni di occupazione titina, fino al ’54, quando la città smise di essere divisa in zona A e B. Non a caso, fino al secondo conflitto mondiale, una delle prime azioni messe in atto da un nuovo regime era proprio di assicurarsi il controllo del servizio postale, principale canale di comunicazione».
Nonostante le dimensioni ridotte, l’esposizione del museo di piazza Vittorio Veneto è ricca di curiosità, come la collezione filatelica tematica “L’uomo alla conquista dello spazio”, donata da Fulvia Costantinides e appartenuta al marito, visibile da inizio luglio, in concomitanza col quarantennale dello sbarco sulla Luna e con l’Anno internazionale dell’astronomia. Ci sono la sezione dedicata alla ricostruzione del mestiere dei guardafili – gli uomini che fino agli anni Settanta si inerpicavano sui pali del telefono per intervenire in caso di guasto – e l’angolo riservato, grazie alla preziosa donazione di Amedeo Claudio Morandini, alla Scuola per telegrafisti di Grado, una della più importanti d’Europa, che formava centinaia di telegrafisti che poi avrebbero lavorato sulle navi. «Una memoria che si sarebbe persa se non fossimo intervenuti in tempo, salvando dall’oblio il materiale affidatoci da Morandini», chiarisce Simon.
E perché no, nelle stanze del museo trova spazio anche una recentissima storia dei cellulari – Poste Spa si è lanciata da alcuni anni nel campo con Poste Mobile – con modelli ceduti in comodato d’uso dal violinista e appassionato collezionista di apparecchi Marco Zanettovich, a partire dai primi modelli di portatili da automobile del 1956, passando ai mitici apparecchi che nel ’90, in occasione dei mondiali di calcio, permisero a centinaia di giornalisti una comunicazione più tempestiva dell’evento. Come non notare, poi, un curioso arnese, un rastrello del 1769 utilizzato fino al 1850 per disinfettare le lettere provenienti dall’Oriente e impedire la diffusione di malattie infettive: nel Lazzaretto di Santa Teresa (abbattuto per lasciare spazio al palazzo sede dell’attuale Stazione Ferroviaria), migliaia di missive venivano incise e passate al fornello sotto vapori di cloro e aceto. Ne uscivano “profumate” e bollate dalla la scritta “netta di fuori e di dentro”.
Aperto dal 1997, il museo dal 2001 lavora in sinergia con la rete dei Civici Musei della città, grazie alla collaborazione avviata con l’assessore Massimo Greco e con il direttore Adriano Dugulin: organizza pertanto visite guidate per le scolaresche, divise per fasce d’eta (dall’asilo alle scuole medie) durante tutto l’anno scolastico, ciascuna della durata di due ore, condotte dalla stessa curatrice. «In genere – conclude Simon – i bambini si divertono molto a seguire il nostro percorso di scoperta dei reperti cui affianchiamo anche una proiezione video o, nel caso di bimbi dell’asilo infantile, una piccola caccia la tesoro. Gli stessi insegnanti si stupiscono credendo di visitare una raccolta filatelica e trovandosi al contrario di fronte a tutt’altro, una via alternativa per ripercorrere la nostra Storia recente». Un modo diverso, insomma, di raccontare la Storia, quella con la maiuscola, attraverso piccole storie di gente comune.
Fonte: «Il Piccolo», 15/08/09.