L’Istria nel Regno Italico

L’Istria nel Regno Italico del Sacro Romano Impero

Scritto da Liliana Martissa Mengoli

Con la sconfitta dei Longobardi del re Desiderio da parte dei Franchi, l’Istria venne a fare parte del Regno Italico nell’ambito del Sacro Romano Impero, fondato da Carlo Magno.

Fu allora che quella parziale autonomia derivante dall’ordinamento municipale romano, che era stato mantenuta anche in epoca bizantina dalle cittadine istriane si infranse sotto il duro dominio dei nuovi padroni. L’insofferenza verso il regime feudale appena instaurato è attestata da un eccezionale documento dell’anno 804, il Placito di Risano (Visualizza il Documento tratto da Pietro Kandler “Codice Diplomatico Istriano”), una cronaca della solenne assemblea (placitum) tenuta dai missi dominici di Carlo Magno e di suo figlio Pipino, re d’Italia (cui l’Istria apparteneva) presso il Risano, un fiume nei dintorni di Capodistria.

In essa, i 172 rappresentanti istriani delle città maggiori (civitates) e città minori (castella), in presenza del Patriarca di Grado Fortunato e dei vescovi dell’Istria, formulano accuse contro il duca franco Joannes, responsabile della soppressione delle cariche municipali (come quelle dei tribuni) e della imposizione di tutte quelle prestazioni proprie del regime feudale che mai essi avevano precedentemente conosciuto. Affermano che per tutte le angherie che devono subire e che li hanno ridotti in povertà, vengono derisi dai loro vicini, Veneti e Dalmati e anche dai Greci ( i Bizantini) sotto il cui dominio erano stati precedentemente. Per questo, dichiarano, se l’Imperatore Carlo verrà in soccorso, potranno salvarsi, altrimenti sarà meglio per loro morire che vivere (“melius est nobis mori quam vivere”).
Lamentano inoltre che il duca ha portato con sé (“per sua perdizione e nostra rovina”) Slavi pagani nelle campagne dell’Istria, nei territori appartenenti ai Comuni e alla Chiesa, e che per tre anni gli istriani hanno dovuto pagare ad essi quelle decime che si dovevano alla Chiesa.
Sugli Slavi il duca franco sentenzia “andiamo nei posti in cui risiedono e vediamo se possano starvi senza fare danno, vi stiano: se vi danneggiano nei campi o boschi o terre coltivate, cacciamoli fuori. Se decidete, mandiamoli in terre poco produttive dove possono rimanere senza vostro danno e si rendano utili allo stato, come ogni altro popolo”.
Riguardo alle altre querimonie il duca sembra cedere in parte alle richieste degli istriani, restituendo qualche diritto precedentemente goduto.

Che non fossero vane promesse, lo attesta un documento dell’anno 815 (Visualizza il Documento tratto da Pietro Kandler “Codice Diplomatico Istriano”) con il quale l’Imperatore Ludovico il Pio riconfermò ai Comuni istriani il diritto di eleggere i rectores e il gubernator, nonché il diritto di proporre i vescovi secundum legem antiquam.
Tuttavia le città non riconquistarono la giurisdizione sulle campagne che furono inglobate in Signorie laiche ed ecclesiastiche in cui venne instaurato il regime feudale franco.

I Franchi ereditarono dal Regno longobardo anche la guerra contro gli Avari e gli Slavi.
In una lettera dell’anno 791 alla moglie regina Fastrada (Visualizza il Documento tratto da Pietro Kandler “Codice Diplomatico Istriano”) , Carlo Magno fa riferimento alla campagna vittoriosa condotta dal figlio Pipino, insieme alle milizie d’Italia, contro gli Avari (che porterà alla formazione della marca orientale dell’Impero). Dichiarandosi lieto per la vittoria, il re dei Franchi e dei Longobardi (non ancora imperatore) rileva che anche il duca dell’ Istria vi ha partecipato e che, come gli è stato riferito, si è comportato bene con le sue truppe (“bene fecit con suis hominibus”).

Nel frattempo nella laguna veneta era sorto il ducato di Venezia (formalmente soggetto all’autorità bizantina) con cui il Regno Italico dei Franchi si trovò a confinare. Fra i due Stati ci furono diverse pattuizioni, in cui viene riportata la definizione della linea di demarcazione mediante l’elenco delle genti soggette rispettivamente all’una o all’altra sovranità. Fra i popoli del Regno Italico vengono sempre menzionati gli istriani (istrienses) unitamente ai friulani (forojulienses).
Contro gli Slavi in Adriatico ci fu una naturale alleanza, che fu sancita nell’anno 840 (Visualizza il Documento tratto da Pietro Kandler “Codice Diplomatico Istriano”) con il ducato veneziano dall’Imperatore Lotario che ribadisce il comune impegno nelle operazioni navali dirette contro i nemici (contra generationes Sclavorum Inimicos scilicet vestros).

Anno 843. Trattato di Verdun. Suddivisione dell'Impero dei Franchi in Francia, Lotaringia (Lorena, Borgogna, Regno Italico) e Germania.
Anno 843. Trattato di Verdun. Suddivisione dell'Impero dei Franchi in Francia, Lotaringia (Lorena, Borgogna, Regno Italico) e Germania.

Nel corso dei secoli IX e X, come si evince dalla onomastica che compare nei documenti, ci furono forti infiltrazioni germaniche, soprattutto di personaggi eminenti (nelle cariche pubbliche, civili ed ecclesiastiche).
E’ dell’anno 855 un’ interessante iscrizione su architrave in pietra calcarea (che si trova affissa sul muro esterno della cattedrale di S. Maria a Pola) in cui viene nominato Andegis, vescovo della città che fece erigere e consacrò un edificio al tempo dell’Imperatore Lodovico, Re d’Italia. La precisazione (“regnante in Italia”) è dovuta al fatto che Pola faceva parte appunto del Regno Italico.

AN(no) INCARNAT(ionis) D(omi)NI DCCCLVII
IND(ictionie) V REG(nan)TE LO(v)DOWICO IMP(eratore) AUG(usto)
IN ITALIA HANDEGIS HUIUS AECCLE(sie)
E(a) L(ege) E(rigendum) C(uravit) D(ie) PENTE(costes) CONS(acravit) EP(i)S(copi) SED(is) An(no) V"
Pola - Epigrafe del IX sec.
AN(no) INCARNAT(ionis) D(omi)NI DCCCLVII IND(ictionie) V REG(nan)TE LO(v)DOWICO IMP(eratore) AUG(usto) IN ITALIA HANDEGIS HUIUS AECCLE(sie) E(a) L(ege) E(rigendum) C(uravit) D(ie) PENTE(costes) CONS(acravit) EP(i)S(copi) SED(is) An(no) V" Pola - Epigrafe del IX sec.
Pisino - Castello dei Montecuccoli. Risale al IX-X secolo, ma fu più volte rimaneggiato.
Pisino - Castello dei Montecuccoli. Risale al IX-X secolo, ma fu più volte rimaneggiato.
Momiano - Rovine del Castello (sec XII).
Momiano - Rovine del Castello (sec XII).

Al Sacro Romano Impero franco, con Ottone I che nel 962 divenne Imperatore dopo aver cinto anche la corona ferrea dei Re d’Italia, successe il S.R.I. germanico.

Duomo di Monza - Corona ferrea.
Duomo di Monza - Corona ferrea.

L’Istria fu eretta a marchesato e fu infeudata direttamente (dal 952 al 1209) a dinasti tedeschi, ma anche in quei due secoli e mezzo continuò ad essere considerata provincia d’Italia.
Così la definisce Ottone che la offre in dono alla moglie Teofania nel documento dell’anno 972.
Nel documento del 1014, rogato a Parenzo (actum in civitate Parentina) appare la dizione “Hic in Italia”
.
Nel documento del 1177 (Visualizza il Documento tratto da Pietro Kandler “Codice Diplomatico Istriano”) in cui l’Imperatore Federico I conferma gli antichi patti fra il Regno d’Italia e il doge di Venezia, gli istriani appaiono inclusi nel consueto elenco dei popoli soggetti al Regno Italico, cioè “de nostro Italico Regno”.
Dal 1209, quando fu data in feudo ai Patriarchi di Aquileia (Principes Italiae) l’Istria divenne di nuovo dipendente formalmente dal Regno Italico.

Fu durante i secoli XII e XIII che anche in Istria come nel resto dell’Italia centro-settentrionale appartenente al S.R.I. si formarono i Comuni, con propri Statuti di derivazione romana che vollero sancire la libertas, l’autonomia politica cittadina che si doveva concretizzare nell’elezione di propri consoli o podestà, con poteri di governo, da parte dell’arengo.

Statuto di Pola
Statuto di Pola

Il movimento comunale procedeva parallelo alla disgregazione della società feudale e come negli altri Comuni italici l’anelito degli istriani alla libertà si scontrò con l’autorità imperiale e portò alle lotte per l’autonomia. Se i Comuni lombardi combatterono contro l’Imperatore Federico Barbarossa nella Lega Lombarda, in Istria ci fu una Lega di Comuni (Capodistria, Pola, Parenzo, Pirano), la Universitas Histrie, contro l’imperatore Federico II e il suo rappresentante, il Patriarca di Aquileia.

Quegli atti di appello del Comune di Pola rivolti all’arcivescovo di Ravenna (visualizza documento) anziché all’autorità imperiale vanno intesi come un estremo tentativo di autonomia dei polesi, tosto stroncato dal Privilegio di Ravenna dei 1232 con cui il Patriarca di Aquileia si faceva riconfermare tutte le sue prerogative contro le città istriane che “per insolentiam et abusum” contro i suoi diritti osavano “eligere per se Potestates, consules vel Rectores”. Ribadiva inoltre che, poiché la giurisdizione per tutta l’Istria spettava al Patriarca pro Imperio, al Patriarca stesso (e dal Patriarca alla Corte imperiale) dovevano andare gli appelli delle autorità locali dell’Istria.

La libertà significava anche sicurezza di navigazione in Adriatico, già da tempo problematica per le scorrerie dei pirati Saraceni e Slavi (Croati e Narentani, questi ultimi annidati alle foci della Narenta o Neretva).
Le coste dell’Istria erano state investite da terribili incursioni che il Regno Italico non era in grado di contrastare. Nell’anno 876 Croati e Narentani, guidati da loro comune Bano Domagoi avevano saccheggiato con grandi stragi Umago, Cittanova, Rovigno e Muggia ed erano stati sconfitti solo grazie all’intervento di una squadra navale del doge di Venezia. Era chiaro che solo la nascente potenza marittima della Serenissima poteva assicurare un intervento efficace contro la pirateria, per cui i Comuni istriani si videro costretti ad accettare una sorta di protettorato militare marittimo. Dopo il tributo di cento anfore di vino promesso da Giustinopoli (Capodistria) nel 932 e rinnovato nel 977, Pola e Capodistria per prime nel 1145 prestarono giuramento di fidelitas al doge, legandosi in un patto di vassallaggio con l’obbligo di armare una galea.
Nel 988 la fortunata spedizione (detta anche dell’anno Mille) del doge Pietro Orseolo II contro Croati e Narentani lungo le coste della Dalmazia (che ripulì dai pirati l’Adriatico) fu salutata con giubilo dagli abitanti di Pola e Parenzo, accorsi ad acclamare la flotta ducale.
Ma la protezione in Adriatico, pagata a prezzo della rinuncia alla piena libertà di commercio e di navigazione dai Comuni istriani, li poneva in conflitto con l’egemonia di Venezia. Ci furono varie sollevazioni e rivolte, ora di una città ora di un’ altra, subito sedate dalla Serenissima con l’invio della sua flotta.
Seguirono, a partire dal 1267, con la sottomissione di Parenzo, i veri e propri atti didedizione delle città costiere dell’Istria a Venezia, che sancirono la sua effettiva signoria sulla regione, anche se con la formula “salvis rationibus domini Patriarchi”, cioè lasciando impregiudicati i diritti marchionali del Patriarca di Aquileia. Ciò avvenne anche per sottrarsi all’ingerenza politico-militare del Conte di Gorizia che mirava ad espandere il suo dominio in Istria.
Nel 1278 Venezia accettò la dedizione di Montona, nel 1279 le si sottomise Giustinopoli (Capodistria) che dovette abbattere le mura e nel 1283 tutta la costa occidentale era sottomessa.
L’espansione veneziana proseguì con l’assoggettamento, nel biennio 1331-1332, dell’Istria meridionale (Pola, Valle, Dignano, etc.) e infine, dal 1411 al 1420, del resto della penisola istriana interna (Buie, Portole, Rozzo, Pinguente) e orientale (Albona, Fianona), oltre che di Muggia, il Comune della costa occidentale situato più a nord, a pochi chilometri da Trieste che si era data invece all’Austria nel 1382.
La Repubblica di San Marco si impegnava a rispettare l’autonomia delle cittadine istriane, rette con propri Statuti e da un Consiglio di patrizi locali, ma imponeva il suo controllo attraverso l’imposizione di un podestà scelto fra la nobiltà veneziana.
In tal modo gli istriani si trasformarono in sudditi della Serenissima, divenuta la Dominante.

cartina
LEGENDA1

I feudatari di origine straniera mantennero il loro carattere etnico soprattutto nell’Istria interna (Montona, Pietrapelosa, Momiano, Pisino, ecc.), mentre nelle cittadine costiere i nuovi arrivati si fusero presto con gli elementi latini autoctoni.
Vi furono anche infiltrazioni slave, ma di scarso rilievo e costituite da elementi rurali.