venerdì 13 marzo 2009
Estratto da Coordinamento Adriatico, L’Autoctonia Divisa – La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, a cura di Valeria Piergigli, Cedam, 2005, pagg.313 ss
La rappresentanza politica della comunità italiana in Slovenia e Croazia
Carlo Casonato
1. Introduzione
La rappresentanza politica è divenuta un oggetto tipico negli studi di diritto costituzionale comparato rivolti alle minoranze. Aldilà dei più tradizionali ambiti di tutela e promozione dei diritti civili e sociali, in un quadro che fa variamente riferimento al principio d’eguaglianza, si sono ormai imposti filoni di ricerca e di produzione normativa (a livello sia internazionale che nazionale, di fonte costituzionale e ordinaria, di statutory law o di judge-made law) centrati proprio sulla rappresentanza politica delle minoranze quale strumento importante di tutela e promozione delle stesse[1].
Una prima spiegazione di sistema di tale fenomeno può essere ricercata nella diffusa crisi in cui versano tanto il concetto di rappresentanza politica quanto quello di nazione, come tradizionalmente ed unitariamente intesi[2]. La rappresentanza politica delle minoranze, in questo quadro più generale, si basa su un sempre più esteso riconoscimento dell’opportunità di inserire direttamente all’interno dei luoghi tipici della decisione politica una pluralità d’interessi che possano o debbano far riferimento anche alla composizione etnica della popolazione[3]. Il riconoscimento giuridico del pluralismo giunge così a forzare, sul versante istituzionale, le dinamiche della democrazia consociativa nel senso di estendere alle componenti etniche della cittadinanza il ruolo di parti utili, e talvolta necessarie, del processo democratico rappresentativo. Su questa linea, può citarsi proprio l’art. 3 della recente legge costituzionale croata sui diritti delle minoranze nazionali (d’ora in poi CLNM) che recita:
«(1) I diritti e le libertà delle persone che appartengono alle minoranze nazionali (…), quali libertà e diritti umani fondamentali, sono parte indivisibile del sistema democratico della Repubblica di Croazia e godono del sostegno e della tutela necessari, incluse le misure positive a favore delle minoranze nazionali.
(2) La diversità etnica e multiculturale e lo spirito di comprensione, di rispetto e di tolleranza contribuiscono a promuovere lo sviluppo della Repubblica di Croazia»[4].
2. Criteri logico-storici per lo studio della rappresentanza politica delle minoranze
In termini generali, si può individuare un percorso che, attraverso tre fasi (tre generazioni), può variamente portare al riconoscimento giuridico ed alla promozione della rappresentanza politica delle minoranze.
Un primo momento, presupposto anche per i successivi sviluppi, è costituito dall’accesso alla cittadinanza da parte dei componenti della minoranza in condizioni di parità rispetto ad altri soggetti. Il poter essere o divenire cittadino dello Stato senza soffrire discriminazioni si pone, in questi termini, come contenuto della prima generazione di diritti nel percorso verso la rappresentanza.
Una seconda generazione di strumenti di tutela riguarda il diritto di voto ed in particolare la possibilità da parte degli appartenenti al gruppo minoritario di esserne titolari e di esercitarlo in condizioni di non discriminazione diretta o indiretta rispetto agli altri cittadini.
Una terza più complessa e critica tappa riguarda propriamente la rappresentanza politica delle minoranze e comprende, in particolare, tutte quelle misure di carattere anche derogatorio rivolte a tutelare, favorire o assicurare una rappresentanza specifica e propria alla minoranza (rappresentanza propria, adeguata, autentica o rappresentanza etnica)[5]. La problematicità di tale terza generazione emerge dal riscontro di una serie di sue caratteristiche specifiche che si pongono in contrasto con la rappresentanza politica di stampo liberale che pure costituisce il modello istituzionale cui s’ispira la maggior parte delle esperienze contemporanee di western legal tradition e cui, pur con alcune varianti di natura corporativa (si pensi alla composizione del Consiglio nazionale sloveno)[6], tendono anche gli ordinamenti oggetto della presente indagine.
Tale diritto di terza generazione ad essere adeguatamente rappresentati, in primo luogo, pare avere natura collettiva anziché individuale: si tratta, appunto di una rappresentanza della comunità, pure tendenzialmente intesa come «comunità diffusa», più che dei suoi componenti singolarmente considerati[7]. E tale spostamento di considerazione dal singolo al gruppo consente che, a determinate condizioni – come ad esempio per il doppio voto attribuito ai componenti della comunità italiana in Slovenia – il diritto ad un voto eguale possa trovare una compressione nella garanzia di rappresentanza della minoranza. L’aspetto rilevante, in una prospettiva che si avvicina al concetto di rappresentanza descrittiva, non consiste nell’assicurare le condizioni per un’eguale espressione del diritto di voto su base individuale, ma – si pensi alla riserva di quote che incontreremo tanto in Croazia quanto in Slovenia o ancora al doppio voto per la comunità italiana in Slovenia – nel garantire che il corpo rappresentativo rifletta, in termini anche più che proporzionali, gruppi che le spontanee dinamiche elettorali avrebbero escluso. E da questo punto di vista, il principio di eguaglianza pare riferirsi al gruppo unitariamente, seppur “diffusamente”, considerato più che ai singoli componenti, secondo un’ottica che richiama le dinamiche dello «Stato multinazionale paritario»[8].
La dimensione collettiva della rappresentanza etnica, inoltre, contribuisce a spiegare come talune misure di tutela (le quote o la garanzia di proporzionalità) privilegino il risultato delle elezioni, piuttosto che le relative procedure; e questo in contrasto con il concetto ordinario di rappresentanza politica che tipicamente non può essere pre-determinato ma si costruisce proprio in seguito all’espletamento delle procedure elettorali.
Terzo elemento distintivo della rappresentanza propria consiste nell’erosione del principio del divieto di mandato imperativo. Nonostante gli ordinamenti che sanciscono l’obbligo di una rappresentanza specifica di interessi minoritari siano assolutamente rari – ma in queste sede rilevanti visto che si tratta della Croazia – risulta coerente con l’impianto complessivo e con la stessa ragion d’essere della rappresentanza etnica che i deputati eletti dalla minoranza debbano privilegiare le esigenze specifiche del proprio gruppo anziché generali interessi nazionali[9].
In presenza di una serie multipla e contestuale di appartenenze cui l’individuo è in varie forme collegato (dimensione sociale, di genere, economica, religiosa, culturale, ecc.) il concetto di rappresentanza etnica tende infine a far emergere categorie concettuali in cui l’individuo è definito e rappresentato sulla base di una sola componente (quella etnica, appunto) anziché essere più realisticamente considerato portatore di un’insieme plurale e differenziato di concezioni e valori i quali trovano basi ben più ampie.
Per questi profili, il concetto di rappresentanza etnica (di terza generazione) presenta una dimensione del tutto specifica e problematica, la quale impone, fra l’altro, che le disposizioni che la prevedono godano di rango costituzionale. Come confermato da giurisprudenza costituzionale anche italiana, infatti, misure derogatorie quali quelle che attribuiscono un doppio voto (Slovenia) o che istituiscono una quota minima per i rappresentanti di determinate categorie svantaggiate (Slovenia e Croazia) possono considerarsi legittime solo se previste a livello costituzionale. Può quindi individuarsi una relazione di proporzionalità diretta fra grado di potenziale efficacia della misura impiegata e rango della relativa norma all’interno della gerarchia delle fonti[10].
Non va peraltro dimenticato, infine, che, come sempre, ogni strumento giuridico va valutato non solo per la sua struttura giuridica e la potenziale portata, ma anche in riferimento all’impiego che di esso viene fatto nella realtà. Oltre al testo che ne disciplina la struttura, insomma, è necessario porre attenzione al con-testo in cui ogni istituto si trova ad operare.
Svolte tali considerazioni preliminari, ci pare che la rappresentanza politica delle minoranze possa essere efficacemente studiata e pienamente compresa utilizzando le tre generazioni di diritti che abbiamo illustrato (cittadinanza, voto e rappresentanza etnica). Tali tre passaggi, oltre che costituire una delle trame logiche entro cui poter inquadrare il fenomeno in esame, sono evidenti nella storia costituzionale di alcuni paesi come gli Stati Uniti, e verranno utilizzati in questa sede per descrivere e tentare di meglio comprendere la situazione delle comunità italiane in Slovenia e Croazia.
3. La prima generazione: la disparità nell’accesso alla cittadinanza
Come illustrato, il primo dei passaggi affinché si possa giungere ad un riconoscimento su basi paritarie di una rappresentanza politica della minoranza è costituito dall’accesso alla cittadinanza inteso come condizione per l’esercizio del diritto di voto[11].
Al riguardo, va registrato come la vigente legge croata sulla cittadinanza, nella parte in cui regola la naturalizzazione, distingua tra stranieri di etnia croata («member[s] of the Croatian people») e stranieri di altre etnie svantaggiando questi ultimi[12]. Mentre per i primi è sufficiente un’autodichiarazione con la quale si considerano cittadini croati e garantiscono una condotta conforme al diritto, alle usanze ed alla cultura croata, per i secondi i requisiti si moltiplicano. Anche quanti erano già residenti o cittadini della Repubblica Socialista di Croazia, ad esempio, devono ora fornire, fra l’altro, la prova di quella cittadinanza e del periodo di residenza, condizione non richiesta a quanti appartengono all’etnia croata.
Anche sulla base di tale disparità di trattamento, le osservazioni conclusive del United Nations Committee on the Elimination of Racial Discrimination riportano come «many former long term residents of Croatia, particularly person of Serb origin and other minorities, have been unable to gain residency status despite their preconflict attachment to Croatia»[13].
Tale situazione, particolarmente grave per i rifugiati serbi ed i componenti della comunità rom, comporta serie difficoltà nell’accesso alla cittadinanza croata ed alla conseguente titolarità del diritto di voto, le quali possono coinvolgere anche componenti della comunità italiana[14].
Per quanto riguarda la Slovenia, non si segnalano norme di portata direttamente discriminatoria in materia di accesso alla cittadinanza. Va ricordato, tuttavia, come nel febbraio del 1992 siano stati cancellati dai registri ufficiali quanti non avessero ancora richiesto, per i motivi più vari, la cittadinanza del nuovo Stato. Se a quel punto qualche migliaio di persone lasciò la Slovenia, circa 18.000 individui rimasero in Slovenia come non-cittadini. Nel 1999, sotto pressione europea, la Slovenia adottò una legge che ne permetteva la regolarizzazione a patto di poter dimostrare di aver risieduto in quel territorio in modo permanente prima dell’acquisto dell’indipendenza. Ed un’ulteriore definitiva azione di regolarizzazione pare ancora all’ordine del giorno dei lavori parlamentari del dicembre del 2003[15].
Va detto, peraltro, che tale situazione, certamente ambigua, non pare aver colpito componenti della comunità italiana, ma soprattutto di quella serba e rom.
4. I diritti di seconda e terza generazione in Jugoslavia, fra differenza di trattamento e mancata applicazione
Ripercorrere storicamente, anche se per veloci tratti, le vicende legate alla tutela della minoranza italiana in termini di rappresentanza politica permette di spiegare la ragione di due delle caratteristiche che ancor oggi paiono connotare la relativa disciplina di riferimento: la differente tutela della comunità italiana residente in Slovenia rispetto a quella croata, ed il costante scarto esistente, soprattutto sul versante croato, fra la previsione giuridica e la prassi applicativa. Tale secondo elemento, in particolare, può essere ricondotto alla circostanza secondo la quale la tutela delle minoranze, anche in termini politico-rappresentativi, pare essere la conseguenza di pressioni esterne più che non di una autentica volontà politica interna[16].
Il tema relativo alla tutela della minoranza italiana sul territorio oggi corrispondente alla Slovenia ed alla Croazia – al pari delle altre minoranze residenti – trova un primo riconoscimento giuridico nel Trattato di Pace con l’Italia del 10 febbraio 1947. In quel documento, fra l’altro, si stabilisce che la Jugoslavia «dovrà assicurare, conformemente alle sue leggi fondamentali, a tutte le persone che si trovano nel territorio stesso, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà (…) di opzione politica e di pubblica riunione»[17]. Risultavano, quindi, tutelati, per lo meno a livello testuale, quelli che abbiamo definito posizioni della seconda generazione: la titolarità del diritto di voto da parte degli appartenenti al gruppo minoritario in condizioni di eguaglianza rispetto agli altri cittadini.
Il successivo Memorandum d’Intesa sul Territorio Libero di Trieste dell’ottobre 1954[18] poneva già le basi per una tutela della minoranza italiana differenziata a seconda del territorio (successivamente sloveno o croato) di insediamento. Nella ex zona B del Territorio Libero di Trieste ed in parte dell’ex comune di Rovino erano garantite la rappresentanza proporzionale delle minoranze negli organi di governo delle autonomie locali oltre che procedure di maggioranze e minoranze qualificate. Tali misure derogatorie, che fanno riferimento a quella che abbiamo sopra definito terza generazione di provvedimenti in materia di rappresentanza politica delle minoranze, saranno poi riprese dalla Costituzione slovena del 1974[19]. Sotto l’azione unificante del Partito Unico, peraltro, tali provvedimenti potevano scarsamente incidere sulla vita politica del Paese: a fronte di una rappresentanza propria prevista a livello testuale, non corrispondeva nei fatti una rappresentanza dotata di efficacia reale e concreta[20].
Nel resto del territorio coperto dal Memorandum d’Intesa erano disciplinate forme differenziate di tutela della minoranza italiana – tutela di natura prevalentemente linguistica – mentre nulla era previsto in termini di rappresentanza politica propria (della terza generazione).
La situazione così descritta venne confermata senza mutamenti di rilievo con il Trattato di Osimo del novembre 1975 il quale, sostituendosi al Memorandum del 1954, impegnò le Parti a mantenere la tutela dei membri dei gruppi etnici italiano e jugoslavo ai livelli precedenti[21].
All’indomani della dissoluzione della Jugoslavia, su questa linea, la formazione degli Stati di Slovenia e Croazia non fece che confermare ed acuire un quadro già esistente di differenziazione, su base territoriale, del trattamento rivolto alla minoranza italiana[22].
Le successive, più significative tappe nel rapidissimo percorso storico che stiamo ricostruendo in questa sede riguardano il Memorandum d’Intesa tra Croazia, Italia e Slovenia sulla tutela della minoranza italiana in Croazia e Slovenia, firmato nel gennaio 1992 dai Ministri degli esteri italiano e croato, ma non da quello sloveno[23], ed il relativo Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Croazia sui diritti delle minoranze, firmato nel novembre del 1996.
5. La terza generazione: la rappresentanza politica della minoranza italiana in Croazia prima della CLNM del 2002
La Costituzione croata del 1991 contiene una serie di norme tese al riconoscimento ed alla tutela delle minoranze e della rispettiva rappresentanza politica in termini di eguaglianza rispetto agli altri cittadini.
Già nel preambolo, dedicato ai Fondamenti originari (Historical Foundations), la Repubblica di Croazia è concepita in termini di
«stato nazionale del popolo croato e stato degli appartenenti alle minoranze nazionali autoctone: dei serbi, cechi, slovacchi, italiani, ungheresi, ebrei, tedeschi, austriaci, ucraini, ruteni ed altri, che sono suoi cittadini, ai quali si garantisce l’uguaglianza con i cittadini di nazionalità croata e l’esercizio dei loro diritti nazionali in conformità con le norme democratiche dell’ONU e dei Paesi del mondo libero».
La titolarità ed il godimento dei diritti, anche politici, vengono assicurati a tutti i cittadini senza distinzioni di «razza, colore [sic!], (…) lingua, religione, convinzioni politiche o d’altro genere, estrazione nazionale o sociale» (art. 14), mentre per i componenti delle minoranze, si prevede espressamente che (art. 15):
«Nella Repubblica di Croazia è garantita la parità di diritti agli appartenenti di tutte le minoranze nazionali. (…)
Agli appartenenti di tutte le minoranze nazionali si garantisce la libera espressione dell’appartenenza nazionale, il libero uso della proprie lingua e scrittura, nonché l’autonomia culturale».
Se la protezione dei diritti della seconda generazione pare quindi espressamente prevista, disposizioni di carattere derogatorio, che potremmo ricondurre a quella che abbiamo illustrato come tutela della terza generazione erano già inserite nella Legge sull’elezione dei deputati al Sabor (Parlamento) della Repubblica di Croazia del 1991, la quale, in linea con la Legge costituzionale sui diritti umani e le libertà delle comunità nazionali ed etniche dello stesso anno, previde alcune norme di favore nei confronti della rappresentanza politica minoritaria.
Tale regime prevedeva che le minoranze la cui consistenza raggiungesse l’8% della popolazione totale dovessero essere proporzionalmente rappresentate in Parlamento; un numero massimo di cinque seggi, inoltre, poteva essere riservato anche a minoranze più ridotte. Da notare come l’articolo 18 della stessa legge costituzionale sui diritti umani e le libertà delle comunità nazionali ed etniche disponesse, in deroga al divieto di mandato imperativo previsto all’articolo 74 della Costituzione, un obbligo costituzionale in capo ai rappresentanti delle minoranze di tutelare i relativi interessi[24]. Tali regole tuttavia – già scarsamente applicate anche perché adottate a seguito di pressioni esterne ed, in particolare, ai fini del riconoscimento della Croazia da parte della Comunità internazionale, più che di una genuina volontà politica interna – vennero selettivamente sospese a causa delle operazioni militari nel settembre 1995[25]. Ed anche dopo la ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e della Convenzione quadro per la tutela delle minoranze nazionali si è da più parti continuato a denunciare la distanza tra il quadro giuridico formalmente in vigore e la realtà[26].
Nell’ottobre 1999, la Legge sull’elezione dei deputati al Sabor della Repubblica di Croazia del 1991 venne modificata nel senso di prevedere che il totale di cinque rappresentanti per le minoranze di consistenza minore dell’8% fosse distribuito nel seguente modo: un rappresentante per ciascuna delle minoranze italiana, ungherese e serba; un rappresentante “in comune” per i gruppi cechi e slovacchi; ed un ultimo rappresentante per ucraini, ebrei, tedeschi, ruteni e austriaci. La norma che garantiva la rappresentanza proporzionale delle minoranze superiori all’8% della popolazione fu peraltro sospesa fino al censimento del 2001 e non trovò applicazione nelle elezioni generali del 2000[27].
Fra il maggio del 2000 ed il dicembre del 2002 vi fu una fitta corrispondenza, in materia di tutela minoritaria, fra il governo croato ed alcuni organismi internazionali – in particolare, la commissione di Venezia in ambito di Consiglio d’Europa e l’OSCE – la quale condusse all’adozione, nel dicembre del 2002, della legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali (CLNM)[28].
5.1. La rappresentanza politica “garantita ma flessibile” in Croazia ai sensi della CLNM del 2002
La CLNM rappresenta una sorta di legge-quadro costituzionale in materia di rappresentanza politica delle minoranze sia a livello nazionale che a livello regionale e locale. La strategia adottata, anche per ragioni di convenienza politica, consiste nel fissare un numero massimo ed uno minimo di seggi da assegnare ai vari gruppi, demandando l’individuazione esatta della quota alla legge elettorale, la quale, ai sensi dell’art. 82 della CLNM dovrà essere adottata a maggioranza assoluta di tutti i deputati[29]. Tale meccanismo, quindi, costituzionalizza il principio generale della quota garantita, e lo affianca ad una regola specifica che ne precisi il contenuto, la quale sia più facilmente modificabile perché inserita in una legge ordinaria. Si potrebbe al riguardo parlare di “rappresentanza politica garantita (nell’an) in termini flessibili (nel quantum)”.
5.2. La rappresentanza nel Parlamento nazionale
L’articolo 19 apre la parte della CLNM dedicata alla rappresentanza politica delle minoranze nazionali assicurando un «diritto alla rappresentanza nel Sabor croato». Sulla scorta della previsione dell’art. 15 della Costituzione, che prevede un «diritto particolare di eleggere i propri rappresentanti nel Sabor croato», si era inizialmente pensato ad un’ipotesi di doppio voto per i componenti delle minoranze, che si avvicinasse a quanto disposto in Slovenia. Ad un voto di carattere politico-nazionale, infatti, la Costituzione croata avrebbe certamente permesso di affiancare un voto di natura etnico-territoriale. Nella versione definitiva del disegno di legge costituzionale, peraltro, tale ipotesi non comparve e la CLNM si limitò a prevedere un numero minimo garantito di rappresentanti minoritari[30].
L’articolo 19 della legge costituzionale precisa il quadro fissando fra cinque e otto il numero minimo e massimo di rappresentanti minoritari all’interno del Sabor, da distribuirsi nel seguente modo: per i gruppi che rappresentino più dell’1,5% della popolazione totale (in pratica, solo i Serbi che contano il 4,5% della popolazione secondo il censimento del 2001) sono previsti da uno a tre seggi; le altre comunità minoritarie potranno avere una rappresentanza complessiva (“inversamente proporzionale” a quella serba, visto comunque la soglia massima di otto) di non meno di tre parlamentari. La legge elettorale, come modificata nell’aprile del 2003, precisa il numero dei rappresentanti delle minoranze fissando a tre i parlamentari di etnia serba e ad uno ciascuno i rappresentanti dei gruppi italiano ed ungherese. Prevede inoltre che i rimanenti tre parlamentari siano eletti, cumulativamente, uno dalla comunità austriaca, bulgara, tedesca, ebrea, rom, rutena, ucraina e vla; un altro da cechi e slovacchi; ed un ultimo dalle minoranze albanese, bosniaca, montenegrina, macedone e slovena.
Il Parlamento nazionale croato, inoltre, ha disposto la formazione di un Comitato per i diritti umani all’interno del quale opera una sezione per i diritti delle minoranze etniche. Tale organo, oltre a partecipare alle procedure di formazione legislativa in materia, è preposto alla verifica dell’implementazione delle politiche di difesa minoritaria anche in collegamento con la dimensione internazionale[31].
L’art. 22 della CLNM, inoltre, dispone che le minoranze nazionali debbano essere rappresentate anche all’interno dell’amministrazione centrale e degli organi giurisdizionali, per il cui accesso è prevista una priorità, a parità di condizioni, dei componenti dei gruppi minoritari.
5.3. La rappresentanza a livello regionale e locale
Il sistema di rappresentanza garantita previsto dall’articolo 20 della CLNM per i livelli regionale (territoriale) e locale (città e comuni)[32] varia lievemente da quanto previsto per il Parlamento nazionale fissando direttamente il numero di rappresentanti delle minoranze. Così, i gruppi che contano fra il 5 ed il 15% della popolazione totale a livello regionale o locale hanno diritto ad un seggio. E nel caso nessuno risulti eletto, il numero dei componenti dell’organo rappresentativo sarà aumentato di un seggio, il quale andrà di diritto al rappresentante del gruppo minoritario che ha ricevuto più voti. Se la componente minoritaria contasse più del 15%, invece, la stessa avrà diritto ad essere rappresentata in proporzione rispetto alla propria consistenza, aumentando, nel caso, il numero di seggi dell’organo rappresentativo.
Un elemento di flessibilità, anche a questo riguardo, è previsto per la possibilità da parte della legge elettorale di derogare alla rappresentanza proporzionale della minoranza a livello regionale e locale; quanto disposto dalla CLNM, infatti, verrà applicato «qualora con la legge che regola l’elezione dei membri degli organismi rappresentativi dell’unità dell’autogoverno locale non venga stabilito diversamente» (CLNM, artt. 20.3 e 20.4). L’art. 21 della stessa CLNM, invece, fissa “al rialzo” il margine di flessibilità (secondo una logica che potremmo definire di “clausola di flessibilità rinforzata”), disponendo che nelle unità di autogoverno a livello regionale e locale le comunità minoritarie possano essere rappresentate anche oltre la quota corrispondente alla loro consistenza proporzionale sul territorio.
Su queste basi, gli italiani d’Istria sono titolari, ai sensi della CLNM, del diritto ad un seggio garantito a livello regionale (di county), rappresentando, secondo i dati del censimento del 2001, il 6,9% della popolazione totale[33]. Nella regione dalmata, invece, la comunità italiana rappresenta solamente lo 0,02%, contando 114 individui su un totale di 463.676[34].
Il censimento del 2001 ha rilevato undici comuni (municipalities) in cui la comunità italiana costituisce più del 5%, con percentuali anche superiori al 50% (Grožnjan, 51,21) o al 20% (Brtonigla al 37,37%; Bale al 27,70%; Vodnjan al 20,05%)[35].
A livello di città (towns), gli italiani d’Istria costituiscono il 29,72% (1.587 unità) della popolazione di Buje, il 18,33% (2.365) di Umago, il 12,77% (511) di Novigrad e l’11,44% (1.628) di Rovino. La tutela della loro rappresentanza politica locale, quindi, dovrà seguire i meccanismi della rappresentanza garantita, pur in modo flessibile, dalla CLNM. In nessuna città della Dalmazia, invece, gli italiani raggiungono nemmeno l’unità percentuale.
Terminando sul punto, va ricordato come l’art. 22 della CLNM disponga che le minoranze che hanno diritto ad una rappresentanza politica proporzionale a livello regionale e locale (cioè quelle che nei rispettivi livelli superano il 15%) debbano essere presenti anche a livello di organo esecutivo.
Nonostante questo impianto costituzionale di favore e le norme di dettaglio precisate dalla Legge che regola l’elezione dei membri degli organismi rappresentativi delle unità dell’autogoverno locale, va ricordato come, ancora una volta, sia il versante applicativo a compromettere tradizionalmente una effettiva tutela della rappresentanza politica (anche) della minoranza italiana in Croazia. Secondo quanto registrato dalla Commissione di Venezia nel marzo 2002:
«A serious failing of this Law is that, while it provides, under Article 9, that the statutes of local and regional authorities shall determine the number of seats to be held by “Croatian citizens, members of ethnic and national communities or minorities, in accordance with the proportional share of their members in the total population of the unit”, there is a remarkable absence of clear provisions governing how such a composition of the relevant bodies is actually to be achieved»[36].
In tempi più recenti, peraltro, la distanza fra i numeri previsti per i rappresentanti delle minoranze e quelli effettivamente raggiunti pare essersi ravvicinata. Nell’arco del 2003, complessivamente, sessantadue città e quattro regioni hanno raggiunto il livello indicato nella CLNM, anche se, a motivo dei tempi strettissimi per la selezione delle candidature e per la mancanza d’informazioni e di supporto, le minoranze hanno potuto indicare meno della metà delle candidature a cui avrebbero avuto diritto[37].
Va inoltre registrato un generale quanto recente malcontento delle comunità minoritarie testimoniato dal bassissimo tasso di partecipazione al voto nelle recentissime elezioni locali e regionali del febbraio 2004[38].
6. La rappresentanza garantita della comunità nazionale autoctona degli italiani in Slovenia
6.1. La rappresentanza nell’Assemblea nazionale: il doppio voto
Fin dalla sua formazione come Stato indipendente, la Slovenia ha confermato l’adesione a tutti gli standard internazionali in materia di tutela e promozione minoritaria[39]. Nella sua Costituzione, inoltre, la protezione e la garanzia dei diritti della comunità nazionale autoctona degli italiani (agganciata a quella ungherese) fanno parte degli obiettivi dello Stato (art. 5). In materia rappresentativa, inoltre, l’art. 64.3 dispone che «Le due comunità nazionali saranno rappresentate direttamente negli organi rappresentativi dell’autogoverno locale e nell’Assemblea Nazionale» mentre l’art. 80.3 precisa che «un deputato della comunità nazionale italiana ed uno di quella ungherese saranno in ogni caso eletti nell’Assemblea Nazionale». Come si vede, tale forma di tutela della rappresentanza rientra fra quelle che abbiamo definito della terza generazione; come poi precisata dalla Legge sull’elezione dell’Assemblea nazionale, infatti, essa si articola secondo forme e modalità del tutto particolari e derogatorie rispetto al regime rappresentativo ordinario, combinando il sistema delle quote al doppio voto.
L’impianto giuridico alla base della rappresentanza della comunità nazionale autoctona degli italiani (e degli ungheresi) entro l’Assemblea nazionale si basa sulla titolarità da parte dei rispettivi componenti di un doppio voto: uno di carattere generalmente politico su base nazionale e territoriale, l’altro di natura etnica e su base comunitaria e personale. L’art. 8 della Legge sull’elezione dell’Assemblea nazionale, infatti, attribuisce ai componenti delle due comunità il diritto di voto attivo e passivo in quanto membri delle comunità stesse («the right to vote and to be elected as deputies of these national communities»).
Tale posizione qualificata si concretizza poi:
– nella costituzione di circoscrizioni elettorali specifiche (art. 20: «For the election of deputies of the Italian or Hungarian national communities, special constituencies shall be formed in those areas in which these communities reside»)[40];
– nella nomina di commissioni elettorali specifiche (art. 23: «For the election of deputies of the Italian and Hungarian national communities, electoral commissions for special constituencies shall be nominated» e art. 39: «Tasks from the preceding paragraph related to the election of deputies of the Italian and Hungarian national communities shall be performed by a special constituency electoral commission»);
– nella previsione di modalità derogatorie di presentazione delle candidature (art. 45: «A candidate for deputy of the Italian or Hungarian national communities shall be nominated by the signatures of at least thirty voters who are members of the Italian or Hungarian national communities»);
– nella predisposizione di una scheda elettorale ad hoc (art. 74 sul contenuto del «ballot paper for voting on candidates for deputy of the Italian or Hungarian national communities»);
– nella previsione di una speciale procedura di conteggio e di proclamazione dei vincitori (artt. 95: «The electoral commission of the special constituency for the election of deputies of the Italian or Hungarian national communities shall ascertain the number of voters enrolled in the electoral register, the number of voters who voted, the number of voters who voted by post, the number of invalid ballot papers, and the preferential order of candidates. Points shall be assigned to candidates according to orders of preference. For each first place the candidate shall receive as many points as there were candidates on the ballot paper, and for each successive place a point less. The points of each candidate shall be totaled» e 96: «The candidate who received the majority of votes in a constituency shall be elected as the deputy of the Italian or Hungarian national communities. If two or more candidates receive an equal number of votes, lots shall be drawn. The draw shall be performed by the special constituency electoral commission, in the presence of the candidates or their representatives. The election results from the preceding paragraph shall be determined by the special constituency electoral commission. It shall enter them and its work in the records, which shall be signed by the chairman and members of the commission. The records and other voting material shall be sent to the republic electoral commission»).
Come si vede, la rappresentanza politica della comunità italiana in Slovenia si disegna secondo una struttura del tutto specifica e derogatoria la cui legittimità, come riconosciuto da due sentenze della Corte costituzionale (12 febbraio 1998 e 28 gennaio 1999) poggia sulla ricordata previsione a livello costituzionale[41].
Se in questo modo è garantita una rappresentanza italiana all’interno dell’Assemblea nazionale, ci si può chiedere se esistano strumenti giuridici per riconoscere a tale presenza, fisiologicamente minoritaria, qualche efficacia. La presenza di un solo rappresentante italiano all’interno dell’Assemblea, infatti, non conduce certo di per sé ad un’efficace azione d’influenza a livello di indirizzo politico. Una speciale clausola d’efficacia della rappresentanza minoritaria è, allora, prevista dalla Costituzione slovena laddove si dispone che
«Laws, regulations and other general acts that concern the exercise of the constitutionally provided rights and the position of the national communities exclusively, may not be adopted without the consent of representatives of these national communities» (art. 64).
In questo modo si dispone che gli ordinari meccanismi di votazione debbano cedere di fronte all’esigenza di un necessario accordo da parte delle comunità direttamente interessate (meccanismo della “minoranza qualificata”).
Va tuttavia rilevato come tale clausola interessi «leggi, ovvero, norme particolari per le Comunità Nazionali, ma non [paia] esercitabile per singoli articoli ad esse riferite inseriti in altre leggi, oppure in altre norme, di carattere generale»[42].
6.2. La rappresentanza a livello locale e le Comunità autogestite della nazionalità italiana
La Legge sulle elezioni amministrative e sulle autonomie locali dispone che il 10% dei seggi dei Consigli delle autonomie locali in cui risiedono tradizionalmente le Comunità nazionali autoctone siano riservati a loro rappresentanti diretti. Si prevede anche a livello locale, quindi, il meccanismo della rappresentanza garantita.
Una seconda importante dimensione della rappresentanza italiana locale in Slovenia è invece collegata alle Comunità autogestite della nazionalità italiana (CAN): organismi di diritto pubblico formati in base all’articolo 64 della Costituzione slovena e alla Legge sulle comunità autogestite delle nazionalità . Costituiti a livello comunale, tali organismi di autogoverno consentono di tutelare gli interessi della comunità nazionale italiana a Capodistria, Isola e Pirano[43]. Il loro Consiglio è costituito da appartenenti alla comunità, eletti mediante elezioni dirette e segrete in base alla Legge sulle elezioni amministrative. Il diritto di voto attivo e passivo appartiene solo ad appartenenti alla Comunità, ed è esercitato sulla base di elenchi elettorali gestiti dalle stesse Comunità e controllati da organi delle Unità Amministrative comunali che fanno capo al Ministero degli Interni[44].
A seconda dei casi, le CAN possano esprimere pareri o veti su atti del Comune in materia minoritaria. Nel Comune di Capodistria, ad esempio, l’assenso deve essere ottenuto sulla denominazione degli abitati e delle vie nei territori nazionalmente misti, sugli atti di fondazione degli enti pubblici che attuano i diritti particolari della comunità nazionale italiana, sui relativi Statuti e sulla nomina dei Direttori, e sulla regolamentazione del bilinguismo visivo. Solo un parere della CAN, invece, deve essere ottenuto, fra l’altro, sullo Statuto e sui simboli del Comune, sul piano di sviluppo comunale di medio e lungo termine, sul bilancio di previsione, sui programmi di sviluppo nel campo della cultura e dell’istruzione[45].
I componenti delle CAN, inoltre, hanno diritto di eleggere un numero variabile di rappresentanti in seno al Consiglio comunale (due a Isola, tre a Pirano e a Capodistria).
7. La partecipazione al processo decisionale attraverso organi consultivi in Croazia
A seguito delle forti pressioni da parte della comunità internazionale, e della Commissione di Venezia in particolare, anche la Croazia ha introdotto alcune figure di partecipazione delle minoranze al processo decisionale a livello sia nazionale che regionale e locale. Si tratta di organi di natura consultiva e propositiva, la cui struttura e i cui compiti richiamano, pur in un contesto politico e sociale differente, alcune esperienze ungheresi[46].
7.1. La partecipazione a livello locale e regionale in Croazia: i Consigli delle minoranze nazionali
I consigli delle minoranze nazionali sono previsti dalla CLNM per ogni unità di autogoverno in cui la minoranza conti almeno l’1,5% rispetto al totale della popolazione, o, in alternativa, in ogni unità locale o regionale in cui risiedano più di – rispettivamente – duecento e cinquecento componenti del gruppo (art. 24). Oltre a fissare il numero dei consiglieri, la CLNM indica i fondamenti del modello elettorale (candidatura, elezione diretta e segreta, termine di quattro anni) e disciplina alcuni aspetti di dettaglio, come l’integrazione incrementale del censimento, la qualifica di persona giuridica non-profit, il finanziamento, la possibilità di indicare il nome del Consiglio anche nella lingua della minoranza, la presidenza e vice-presidenza, il sistema di votazione, ecc.
Come detto i compiti dei Consigli sono, a differenze delle Comunità autogestite slovene, solo consultivi e propositivi e, in una realtà come quella croata, scarsamente efficaci. Si tratta, in particolare, di: proporre agli organi di autogoverno misure che possano migliorare la posizione delle minoranze; proporre le candidature per alcuni organi di autogoverno e di natura amministrativa; essere informati rispetto alle iniziative in discussione presso gli organi di autogoverno; dare opinioni e formulare proposte in materia di trasmissioni radiotelevisive su programmi d’interesse minoritario (art. 31 CLNM). L’art. 32 della CLNM, in particolare, prevede che, nella formazione di ogni «general act» gli organi di autogoverno debbano chiedere un parere al Consiglio delle minoranze nazionali sulla sua costituzionalità e sulla sua conformità alle leggi in materia di tutela minoritaria.
La CLNM (stesso art. 32) dispone anche che il Consiglio delle minoranze nazionali possa attivare un controllo su tutti gli atti generali adottati da organi di autogoverno. Nel caso in cui un atto di tale genere sia ritenuto dal Consiglio incostituzionale o non conforme alle leggi speciali in materia di tutela minoritaria, lo stesso Consiglio investirà della questione il Ministro competente il quale dovrà, se verificata l’illegittimità dell’atto, sospenderne l’implementazione («terminate its implemetation»)[47] entro otto giorni. Sarà di seguito informato il Governo il quale potrà investire della questione di legittimità la Corte costituzionale; ma se non lo farà entro trenta giorni, lo stato di sospensione decadrà automaticamente.
Già dall’illustrazione dell’istituto, si rileva come lo strumento di controllo in oggetto sia contraddistinto da una serie di debolezze intrinseche. Dal punto di vista oggettivo, gli atti impugnabili sono solo quelli degli organi di autogoverno e non di quelli nazionali[48]. Nella sostanza, inoltre, gli arbitri della questione sono prima il Ministro competente e poi il Governo il quale ultimo potrà addirittura bloccare la procedura di controllo lasciando semplicemente scorrere i termini per adire la Corte (meccanismo del “silenzio-interruzione”)[49].
A parziale recupero di una certa efficacia degli strumenti a garanzia dei diritti dei componenti delle minoranze nazionali, va pure ricordato l’art. 38.3 della CLNM, in cui si prevede che:
«I Consigli delle minoranze nazionali ossia i rappresentanti delle minoranze nazionali e il Comitato consultivo per le minoranze nazionali hanno diritto, in conformità alle disposizioni della Legge costituzionale sulla Corte costituzionale della Repubblica di Croazia a sollevare questione di costituzionalità alla Corte costituzionale della Repubblica di Croazia, qualora valutassero, in prima persona o su iniziativa degli appartenenti alla minoranza nazionale, che sono stati violati i diritti e le libertà degli appartenenti alle minoranze nazionali prescritte dalla presente Legge costituzionale e da leggi speciali.»
Alla fine del 2003, si contano 209 Consigli, di cui 115 hanno completato la procedura di registrazione presso il Ministero della Giustizia, condizione necessaria per poter agire come persona giuridica[50].
7.2. La partecipazione a livello nazionale in Croazia: il Comitato consultivo per le minoranze nazionali
La CLNM prevede anche un Comitato che agisca a tutela delle minoranze a livello nazionale. Come i consigli locali e regionali, anch’esso è provvisto di poteri solo consultivi e propositivi (art. 35). La nomina dei suoi componenti, inoltre, è affidata al Governo croato che dovrà scegliere fra le persone indicate dai consigli delle minoranze nazionali (sette membri) e dalle associazioni ed organizzazione minoritarie anche di carattere religioso (cinque membri).
Oltre a quanto già visto in materia di debolezza, strutturale o contingente, degli strumenti di rappresentanza e di partecipazione della comunità minoritaria (anche) italiana va ricordato come in occasione delle ultime nomine governative al Comitato consultivo nazionale dell’aprile 2003, i consigli e le organizzazioni minoritarie abbiano avuto solo dodici giorni (dal 16 aprile, data della pubblicazione della richiesta delle nomine, al 28 aprile, data ultima di presentazione delle candidature) per selezionare i propri candidati. Limitazione che ne ha condizionato la capacità di “reclutamento” e di scelta[51].
Ancora una volta, il versante applicativo ha dimostrato un grado di debolezza tale da compromettere, perlomeno in parte, la portata garantista dell’assetto previsto.
8. Considerazioni conclusive
Per quanto riguarda l’accesso alla cittadinanza (prima generazione) gli ordinamenti oggetto dell’indagine presentano un quadro differenziato, nel senso che in Croazia vigono ancora disposizioni che pongono gli individui di etnia non croata in una posizione peggiorativa rispetto a quanti a quell’etnia appartengono. Tale situazione conduce ad un potenziale discriminatorio anche nell’accesso al voto (seconda generazione) a motivo dello stretto legame esistente tra cittadinanza e titolarità del diritto di voto. In Slovenia, al riguardo, non paiono residuare norme che pongano analoghi problemi.
In riferimento alla terza generazione di diritti, entrambi gli ordinamenti presentano forme di tutela della rappresentanza politica delle comunità italiane residenti nei rispettivi territori. Entrambi hanno predisposto istituti specifici che garantiscono, anche in via derogatoria, che un numero minimo di rappresentanti del gruppo minoritario sia presente nei luoghi della decisione politica tanto a livello nazionale quanto regionale e locale (rappresentanza etnica propria).
A livello di fonti della disciplina della rappresentanza politica minoritaria, entrambi gli ordinamenti hanno previsto un ancoraggio a livello costituzionale, assicurando quelle condizioni di legittimità necessarie a motivo della natura specifica e dell’impatto derogatorio degli strumenti utilizzati.
Le singole misure adottate, pure, differiscono in quanto a struttura, efficacia e implementazione.
La Croazia, al riguardo, prevede quote che, garantite nel numero minimo e massimo a livello costituzionale, potranno essere modulate dalla maggioranza assoluta del Sabor in sede di modifica della legge elettorale. Si è in tal modo adottata una rappresentanza garantita in termini flessibili la quale, a livello sia nazionale che regionale e locale, potrebbe permettere, in positivo, di adattarsi ad eventuali mutamenti negli equilibri demografici della popolazione, ma che potrebbe anche essere utilizzata, in negativo, per ridimensionare il grado di partecipazione delle minoranze alla discussione dell’indirizzo politico.
Aldilà della possibilità del ricorso diretto di costituzionalità di fronte alla Corte costituzionale da parte dei rappresentanti delle minoranze, dei Consigli delle minoranze nazionali o del Comitato consultivo per le minoranze nazionali (art. 38.3 CLNM), non è prevista alcuna misura specifica (del tipo di votazioni a minoranza qualificata) in grado di dotare i rappresentanti delle minoranze di un grado d’influenza politica che possa trascenderne il numero fisiologicamente assai limitato.
In Slovenia, il meccanismo della quota riservata di seggi è stato abbinato al doppio voto, secondo una strategia costituzionale di promozione degli interessi di minoranza fortemente derogatoria. Gli strumenti di efficacia previsti (il necessario consenso dei rappresentanti della minoranza per gli atti generali che riguardano esclusivamente la posizione delle minoranze nazionali: art. 64 Cost. slovena oltre al diritto di veto a livello comunale delle Comunità autogestite), inoltre, consentono che, aldilà del numero di per sé ininfluente dei rappresentanti minoritari, la posizione della minoranza italiana possa giocare un ruolo determinante nel momento in cui si tratta e si decide dei relativi interessi.
Il grado di efficacia degli strumenti predisposti dai due sistemi, quindi, pare non essere omogeneo, presentandosi la Slovenia generalmente più attenta ai meccanismi di concertazione, di parere obbligatorio, di veto o di voto a minoranza-qualificata. In Croazia, d’altro canto, i rappresentanti delle comunità minoritarie rischiano di rivestire un ruolo meramente simbolico, senza poter concretamente incidere sulla predisposizione dell’indirizzo politico nemmeno quanto si tratti di materie che coinvolgono le minoranze stesse.
Mentre la Slovenia pare essere riuscita a dare maggior concretezza alle disposizioni di favore previste per la comunità italiana, infine, il ritardo nell’applicazione delle misure di tutela della rappresentanza minoritaria in Croazia sembra pregiudicare, in alcuni casi, la portata garantista del dato testuale. Il riconoscimento e la promozione delle minoranze, in questo senso, pare derivare ancora dall’esigenza di ottenere un riconoscimento a livello di comunità internazionale più che essere il frutto di un’autentica “metabolizzazione” da parte della cultura maggioritaria del principio (pure) costituzionale secondo cui la cura degli interessi delle minoranze fa parte indivisibile dello sviluppo democratico del paese.
[1] Per l’Italia, per tutti, si veda già A. Pizzorusso, Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, 1967, e successivamente, fra gli altri, Idem, La “garanzia di rappresentanza” del gruppo linguistico ladino nel consiglio regionale e nel consiglio provinciale di Bolzano, in Le Regioni, 1973, 1119; R. Toniatti, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. Bonazzi, M. Dunne (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1993, 295; S. Bartole, Partecipazione politica e tutela delle minoranze nell’esperienza delle nuove democrazie dell’Europa centro-orientale, in F. Lanchester (a cura di) La legislazione elettorale degli Stati dell’Europa centro-orientale, Padova, 1995, 136. Alcuni ordinamenti stranieri, come quello statunitense, hanno da sempre dedicato grande attenzione alla rappresentanza politica delle minoranze per ragioni legate a caratteristiche proprie del relativo sistema giuridico-costituzionale. Al riguardo, ci si permetta di rinviare a C. Casonato, Minoranze etniche e rappresentanza politica: i modelli statunitense e canadese, Trento, 1998.
[2] «In un momento in cui lo Stato è percorso da linee di divisione interna che ne scompongono l’elemento soggettivo ed in cui le istituzioni elettive stentano a rendersi credibili ed efficaci interpreti unitarie dei vari interessi presenti nella società, il concetto stesso di rappresentanza nazionale entra in crisi ed emergono spontaneamente circuiti di rappresentanza di interessi (in senso lato neocorporativi) che tendono a sostituirsi a quelli istituzionali. Si assiste, quindi, ad un’opera di by-passing in cui i singoli interessi particolaristici, in funzione di supplenza rispetto agli strumenti istituzionali ordinari, tentano di porsi all’attenzione immediata del decisore politico. E in questa crisi generalizzata del processo rappresentativo, anche le minoranze etniche cercano un riconoscimento specifico che, non trovando nei rappresentanti nazionali, tentano di realizzare attraverso l’elezione di esponenti “propri”»: C. Casonato, Pluralismo etnico e rappresentanza politica: spunti per un’analisi comparata, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 1999, II, 610.
[3] In merito, cfr. R. Toniatti, Identità, uguaglianza e azioni positive: profili e limiti costituzionali della rappresentanza politica preferenziale, in S. Scarponi (a cura di), Le pari opportunità nella rappresentanza politica e nell’accesso al lavoro. I sistemi di “quote” al vaglio di legittimità, Trento, 1997, 73, secondo cui la rappresentanza propria «come fattore di rappresentanza descrittiva (…) contribuisce a comporre la rappresentatività degli organi presso i quali ha accesso». Cfr. anche infra.
[4] Si tratta della Legge Costituzionale sui Diritti delle Minoranze Nazionali adottata dal Parlamento croato sotto forte pressione della Comunità internazionale il 13 dicembre 2002. La versione italiana è tratta, con leggere modifiche, dalla raccolta a cura di Silvano Zilli su La tutela della comunità nazionale italiana in Croazia, Rovino, gennaio 2004. In generale, cercheremo di fare riferimento alle traduzioni in italiano che si rendono disponibili. In mancanza, utilizzeremo le versioni ufficiali o “quasi-ufficiali” inglesi.
[5] Cfr. R. Toniatti, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: I ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, in Le Regioni, 1995, 1271; C. Casonato, La Corte costituzionale alle prese con la “rappresentanza autentica di lista”, in Il Foro italiano, 1999, I, 1399. Un’ampia trattazione comparata in F. Palermo, J. Woelk, Rappresentanza e partecipazione politica delle minoranze. Principi e casi in prospettiva comparativa, in E. Pföstl (a cura di), Valorizzare le diversità: tutela delle minoranze ed Europa multiculturale, Roma, 2003, 105.
[6] Art. 96 della Costituzione slovena: «(1) The National Council is the representative body for social, economic, professional and local interests. The National Council has forty members. (2) It is composed of: four representatives of employers; four representatives of employees; four representatives of farmers, crafts and trades, and independent professions; six representatives of non-commercial fields; twenty-two representatives of local interests.»
[7] La formula citata è di A. Pizzorusso, Minoranze e maggioranze, Torino, 1993, 67 e già in Idem, voce Minoranze etnico-linguistiche, in Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976, 534. L’Autore ne tratta in termini di «collettività di persone sprovviste di qualunque possibilità di azione giuridica diretta, ma che l’ordinamento riconosce come centri di riferimento di un compendio di interessi giudicati meritevoli di tutela». Vedi G. de Vergottini, Verso una nuova definizione del concetto di minoranza, in Regione e governo locale, 1995, 9; V. Piergigli, La legge 15 dicembre 1999, n. 482 (“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”) ovvero dall’agnosticismo al riconoscimento, in Rassegna parlamentare, 2000, 623-657.
[8] Ci riferiamo alla modellistica proposta da R. Toniatti, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, cit., 286.
[9] E tale dato si collega strettamente ad una delle conseguenze centrali della rappresentanza delle minoranze etniche: il riconoscimento da parte del diritto dell’articolazione del concetto di nazione anche nei luoghi della rappresentanza. Al riguardo, cfr. S. Bartole, Un caso di insoddisfacente overruling in tema di tutela delle minoranze in materia elettorale, in Giurisprudenza costituiozionale, 1994, 4098. Anche gli ordinamenti che più si sono mossi verso il concetto di rappresentanza etnica, al riguardo, fanno salvo il principio classico del divieto di mandato imperativo: Cost. Belgio, art. 42; Statuto Trentino-Alto Adige art. 28.
[10] Tale relazione è spiegata dal fatto che più gli strumenti utilizzati sono destinati ad una tutela minoritaria specifica e concreta e maggiore sarà la portata derogatoria nei confronti del sistema, con la conseguente necessità di agire attraverso norme che tale deroga consentano. Se quindi le misure della rappresentanza cd. favorita possono essere previste anche a livello primario, quelle della rappresentanza garantita debbono assumere rango costituzionale. Cfr. R. Toniatti, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: I ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, cit., 1273; C. Casonato, Pluralismo etnico e rappresentanza politica: spunti per un’analisi comparata, cit., 624.
[11] Il riconoscimento del diritto di voto anche agli stranieri residenti rimane ancora un fenomeno circoscritto, ed è escluso dall’oggetto di questo studio.
[12] Il riferimento è agli articoli 16 ed 8 de The Law on Croatian Citizenship il cui testo è reperibile presso il sito del Consiglio d’Europa: www.coe.int.
[13] United Nations Committee on the Elimination of Racial Discrimination, Concluding Observations: Croatia, May 21 2002, par. 14.
[14] L’art. 8 della legge sulla cittadinanza, ad esempio, obbliga alla dimostrazione di un periodo di residenza ininterrotta per i cinque anni anteriori alla data della domanda, escludendo di fatto dall’acquisto della cittadinanza tutti i rifugiati. L’art. 26, inoltre, prevede una clausola aperta di esclusione per motivi d’interesse nazionale: «The Ministry of the Interior may deny a petition for the acquisition or termination of citizenship although all the prerequisites are met if it is of the opinion that there are reasons of interest for the Republic of Croatia because of which the petition for the acquisition or termination of the citizenship should be denied.» Cfr. Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, 2003, 16; I. Erceg, La posizione delle minoranze nazionali in Croazia, in Notizie Est – Balcani, 14 aprile 2001, in
http://www.notizie-est.com/article.php?art_id=472.
La mancata cittadinanza esclude il soggetto, oltre che dal diritto di voto, anche dall’assistenza sociale e sanitaria, dal sistema scolastico, dal regime pensionistico e dalla possibilità d’impiego nell’amministrazione statale.
[15] Cfr. quanto riportato dall’Osservatorio sui Balcani, in particolare: http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2599.
[16] Al riguardo, fra gli altri, cfr. Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, London, 2003, 19.
[17] Il testo è ripreso da M. Tremul, I diritti della comunità nazionale italiana in Slovenia, relazione presentata a Trieste, nel convegno sulla tutela delle minoranze, 29-30 marzo 2001, 4.
[18] Si tratta dello Statuto Speciale dell’ottobre 1954 annesso al “Memorandum d’intesa tra i Governi d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e di Jugoslavia, relativo al Territorio Libero di Trieste”, citato da M. Tremul, cit., 4. La versione integrale inglese e la traduzione italiana sono in M. UDINA, Gli Accordi di Osimo. Lineamenti introduttivi e testi annotati, Trieste, 1979, 132-143.
[19] Cfr. M. Tremul, cit., 4 che ricorda come successivamente, con la Costituzione slovena del 1974 «sono state costituite le Comunità d’Interesse Autogestite per l’Istruzione e la Cultura, trasformate poi in Comunità Nazionali Autogestite con gli emendamenti del 1981 alla Costituzione slovena, che su temi molto ristretti e precisi, quali le modifiche alla toponomastica, avevano il diritto al consenso.» Cfr. infra.
[20] Fra gli altri, M. Tremul, cit., 5; D. de Castro, Oltre Osimo, in Etnicità e stato, 1989, 185.
[21] Trattato di Osimo tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, Art. 8: «Al momento in cui cessa di avere effetto lo Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa di Londra del 5 ottobre 1954, ciascuna Parte dichiara che essa manterrà in vigore le misure interne già adottate in applicazione dello Statuto suddetto e che essa assicurerà nell’ambito del suo diritto interno il mantenimento del livello di protezione dei membri dei due gruppi etnici rispettivi previsto dalle norme dello Statuto Speciale decaduto».
[22] Tale differenziazione è sempre stata contrastata dall’Unione Italiana. Al riguardo, oltre a M. Tremul, cit., 7, cfr. i numerosi documenti dell’Archivio dell’Unione Italiana di Fiume.
[23] Nonostante la mancata firma da parte slovena, motivata dall’assenza di un corrispondente documento per la tutela della minoranza slovena residente in Italia, il Ministro degli Esteri sloveno si mostrò disposto a «rispettare ed applicare il Memorandum Trilaterale come se lo avesse firmato»: M. Tremul, cit., 8.
[24] Al riguardo, cfr. C. Casonato, Pluralismo etnico e rappresentanza politica: spunti per un’analisi comparata, cit., 619.
[25] Nella stessa data vennero anche sospese le norme che permettevano un regime di autogoverno per le comunità serbe che costituivano maggioranza a livello locale: cfr. Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, cit., 19.
[26] Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, cit., 20.
[27] A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, in corso di stampa, 14, nota 31.
[28] Per quanto riguarda la rappresentanza politica delle minoranze, giova ricordare come l’onorevole Furio Radin, rappresentante della minoranza italiana nel Parlamento croato e presidente del Comitato parlamentare per i diritti umani e i diritti delle minoranze nazionali, propose di rinforzare un altrimenti «diluito» testo di legge costituzionale proprio confermando una rappresentanza specifica per le minoranze e prevedendo una rappresentanza negli organi esecutivi ad ogni livello. Cfr. Minority Rights Group International, Minorities in Croatia,cit., 20.
[29] In questo modo si è cercata, e trovata, un’approvazione della legge costituzionale meno contrastata. I partiti dell’estrema destra, ad esempio, erano contrari all’attribuzione di 3 seggi alla comunità serba; motivo questo per cui furono contrari all’adozione della legge elettorale che ne precisò il numero: A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, cit., 14, nota 34.
[30] A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, cit., 14, nota 36.
[31] Cfr. Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, cit., 21.
[32] Il riferimento va alla legge sull’autogoverno locale e regionale del 2001.
[33] Il censimento ha rilevato 14.284 italiani residenti nella regione Istria, a fronte di un totale di 206.344 cittadini: cfr. il sito dell’Ufficio di statistica croato: http://www.dzs.hr/Eng/Census/Popis/E01_03_10/E01_03_10.html.
[34] Ci riferiamo ai dati della County Split-Dalmatia.
[35] Gli altri comuni superiori al 5% sono: Oprtalj al 18,76%; Vižinada al 10,20%; Motovun al 9,87%; Višnjan al 9,10; Kaštelir – Labinci al 7,35; Ližnjan al 6,08%; Fažana al 5,05%. Cfr. il sito dell’ufficio statistico croato: http://www.dzs.hr/Eng/Census/Popis/E01_02_02/E01_02_02_zup18.html. In questo caso, abbiamo mantenuto i nomi delle città e dei comuni come in originale nel sito.
[36] Cfr. la Consolidated Opinion on the Law on the Election of Members of Local and Regional Self- Government Units of Croatia, adottata dalla Commissione di Venezia al suo cinquantesimo Plenary Meeting a Venezia (8-9 March 2002), published on 12 March 2002, come riportata da A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, cit., 17, nota 41.
[37] Il report dell’OSCE sulla Croazia del 3 luglio 2003 riporta: «Sixteen national minorities managed to nominate lists for 220 of the 470 councils and 40 of the 140 individual representatives». Cfr. http://www.osce.org/documents/mc/2003/07/450_en.pdf.
[38] «The turnout at elections for councils and representatives of ethnic minorities in local self-government units by 1600 hours on Sunday was 4.82 per cent on the county, 6.82 per cent on the city and 13.41 per cent on the municipal level, the State Electoral Commission told a news conference. (…) Of 228,985 constituents who could vote for ethnic minorities’ councils and representatives in counties, cities and municipalities only 13,875 or 6.6 per cent did so by 1600» BBC Monitoring / HINA news agency, Zagreb, “Croatia: Turnout low at elections for ethnic minorities’ representatives” in http://www.csees.net/news_more.php3?nId=29415&cId=. Cfr. anche OSCE, Status Report on Croatia, NO. 13, December 2003, in http://www.osce.org/documents/mc/2003/12/1976_en.pdf.
[39] Si veda la ricostruzione offerta da M. Tremul, cit., 11 e s.
[40] La compilazione e la tenuta dell’elenco elettorale è affidato alla Comunità autogestita del rispettivo gruppo minoritario: M. Tremul, cit., 15.
[41] Si tratta della sentenza 12 febbario 1998 sulla conformità con la Costituzione della Legge sulle elezioni alla Camera di Stato, della Legge sulle elezioni amministrative, dell’articolo 22 della Legge sull’evidenza del diritto di voto, del quarto comma dell’articolo 53, dell’articolo 143 e del secondo comma dell’articolo 140 dello Statuto del Comune Città di Capodistria, sulla constatazione dell’anticostituzionalità del vuoto giurdico nella Legge sull’evidenza del diritto di voto nonchè sul parziale rigetto dell’iniziativa (in Uradni List Republike Slovenije, Anno VIII, N° 20, 1998, pp. 1308-1314) e della sentenza 28 gennaio 1999 sulla conformità del secondo comma dell’articolo 13, del terzo comma dell’articolo 14 e del secondo comma dell’articolo 21 della Legge sullo stemma, la bandiera e l’inno della Repubblica di Slovenia,nonché sulla bandiera nazionale slovena (in Uradni List Republike Slovenije, Anno IX, N° 14, 1999, pp. 1321-1323). Ci riferiamo a M. Tremul, cit., 19, note 91 e 92.
Sulla rilevanza della fonte di rango costituzionale al fine di “coprire” la legittimità di norme di impatto talmente derogatorio, cfr. A. Pizzorusso, La minoranza ladino-dolomitica come minoranza linguistica riconosciuta, in Giurisprudenza costituzionale, 1994, 3005; R. Toniatti, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, cit., 1271; S. Bartole, Un caso di insoddisfacente overruling in tema di tutela delle minoranze in materia elettorale, cit., 4095; P. Carrozza, L’inammissibilità per discrezionalità del legislatore. Spunti per un dibattito sui rischi di una “categoria a rischio”, in Le Regioni, 1994, 1703; C. Casonato, La Corte costituzionale alle prese con la “rappresentanza autentica di lista”, cit., 1399.
[42] M. Tremul, cit., 19.
[43] Nei comuni nazionalmente misti sono istituite anche le Commissioni per le questioni della nazionalità. Tale organismi sono «nominated by municipal councils, which comprise representatives of the majority population and of national communities. These commissions are the working bodies of the municipal council and regularly discuss all issues relating to the coexistence of the majority nation and the minority in the municipality, and also try to find solutions to the problems which arise before they appear in their extreme form.» Ci riferiamo al report presentato dalla stessa Slovenia al Consiglio d’Europa nel 200. Si veda il sito: www.coe.int.
[44] Le elezioni si svolgono di regola assieme alle amministrative delle autonomie locali. Le Comunità autogestite di Capodistria, Isola e Pirano, che si coordinano mediante la Comunità autogestita costiera del Litorale sloveno, sono entrate pienamente in funzione a partire dal 1995. Cfr. http://www.consolatocapodistria.si/txt/rappresentanza.htm e http://www.can-is.si/page4.html.
[45] Cfr. M. Tremul, cit., 18.
[46] A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, cit., 18.
[47] Si tratta in realtà di mera sospensione vista la facoltà del governo di ripristinare l’atto, facendo cessare lo stato di sospensione.
[48] E la situazione non pare paragonabile a quella svizzera in cui la mancanza di controllo sugli atti confederali era supplita da forme di democrazia diretta e semi-diretta inesistenti in Croazia.
[49] Anche la somiglianza con il sonnette d’alarme belga previsto all’art. 54 della Costituzione non è proponibile, vista la composizione linguisticamente paritaria (fra francofoni e fiamminghi) dell’esecutivo belga.
[50] Cfr. il report della OSCE del dicembre 2003, in http://www.osce.org/documents/mc/2003/12/1976_en.pdf.
[51] Minority Rights Group International, Minorities in Croatia, cit., 21.