Francesco Palermo – Tutela delle minoranze linguistiche e toponomastica in Croazia

Venerdì 13 marzo 2009
In corso di pubblicazione in: La Toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia – Vol I – IGM 2009

Tutela delle minoranze linguistiche e toponomastica in Croazia
Francesco Palermo*
Sommario: 1. Introduzione. La toponomastica come diritto minoritario elementare e la sua difficile attuazione in Croazia. – 1.1. Lo sviluppo della normativa croata in materia di tutela delle minoranze: le due fasi. – 1.2. Il diritto alla toponomastica in lingua minoritaria in Croazia: caratteristiche generali e relativi fattori endogeni ed esogeni. – 2. Diritti linguistici delle minoranze e toponomastica in lingua minoritaria. Dalla chiusura all’apertura. – 2.1. I diritti linguistici… – 2.2. …e il diritto alla toponomastica nella lingua delle minoranze. – 2.3. La toponomastica italiana nello statuto istriano e negli statuti comunali. – 3. La giurisprudenza costituzionale e il monitoraggio internazionale. – 4. Valutazioni conclusive.
1. Introduzione. La toponomastica come diritto minoritario elementare e la sua difficile attuazione in Croazia
La toponomastica è una materia ricca di sfaccettature, che interessa diverse discipline, per i numerosi intrecci che presenta tra profili linguistici, storici, etnografici e culturali. In chiave giuridica, più limitatamente, lo studio della toponomastica riguarda la disciplina dei nomi dei luoghi pubblici[1] o, secondo una lettura più estensiva, la “denominazione di qualsiasi specie di luogo”[2]. Il settore più delicato e complesso della dimensione giuridica della toponomastica riguarda i territori sui quali convivono più gruppi autoctoni[3], a causa dell’elevato potenziale politico-simbolico connesso all’utilizzo delle lingue minoritarie nella denominazione ufficiale delle località, espressione, in tutta evidenza, della “proprietà” (o della “comproprietà”) di un territorio in capo ad un gruppo. Al pari del diritto al nome per un individuo, il diritto alla denominazione di ambiti territoriali è per un gruppo un fattore essenziale e primario per l’affermazione della legittimazione del proprio insediamento sul territorio e, di conseguenza, per la propria stessa sopravvivenza come gruppo. Si tratta in definitiva di un diritto minoritario che si potrebbe definire “esistenziale”, in quanto funzionale al riconoscimento ed alla stessa esistenza del gruppo minoritario in quanto tale, almeno di quelli con carattere nazionale o etnico-linguistico[4].
In questo contesto, la situazione della Repubblica di Croazia appare particolarmente significativa, sia per la complessità delle questioni sottese (sotto il profilo storico prima ancora che giuridico), sia per la rapida evoluzione che i diritti delle minoranze in generale, e la garanzia del diritto alla toponomastica in lingua minoritaria in particolare, hanno recentemente vissuto in tale ordinamento.
La presente analisi illustra la disciplina giuridica della toponomastica in lingua minoritaria in Croazia, con particolare riferimento a quella in lingua italiana, nel contesto generale della tutela delle minoranze nazionali come venuta evolvendosi nella ancor breve storia della Croazia post-jugoslava. Proprio la dinamica temporale costituirà il filo conduttore e lo sfondo dell’indagine, in quanto fattore imprescindibile per la comprensione della disciplina attuale e delle sue origini (1.1. e 1.2.). Inoltre, il diritto alla toponomastica in lingua minoritaria (e segnatamente italiana) richiede di essere esaminato nel contesto dei diritti linguistici delle minoranze previsti nell’ordinamento croato e della loro effettiva garanzia (2.). In tale prospettiva è altresì necessario tenere conto sia del contributo della giurisprudenza costituzionale nel definire la portata, le garanzie e i limiti del diritto delle minoranze nazionali alla toponomastica nella propria lingua, sia del ruolo fondamentale della “condizionalità internazionale” per lo sviluppo della “costituzione delle minoranze”[5] nell’ordinamento croato (3.), per infine trarre dai dati esaminati alcune considerazioni di sistema (4.).
1.1. Lo sviluppo della normativa croata in materia di tutela delle minoranze: le due fasi
Fin dalla sua adozione nel 1990, la Costituzione croata ha dedicato ampia attenzione al trattamento delle minoranze nazionali. Possono tuttavia distinguersi due grandi fasi nell’evoluzione costituzionale della Croazia indipendente. La prima coincide con l’era del primo Presidente Franjo Tudjman (1990-1999), che ha guidato la Croazia con pugno di ferro e insofferenza al pluralismo etnico-linguistico, portando avanti una politica nazionalistica e repressiva, in cui le minoranze erano considerate un fattore di disturbo della identificazione tra Stato e nazione proclamato nel preambolo della Costituzione, che nella versione originaria definiva la Croazia «lo Stato nazionale del popolo croato e lo Stato dei membri di altre nazioni e minoranze che sono suoi cittadini: serbi, musulmani, sloveni, cechi, slovacchi, italiani, ungheresi, ebrei ed altri»[6]. In questa fase, nonostante la previsione in Costituzione di ampi diritti in capo alle minoranze nazionali e l’adozione di una legislazione costituzionale sul punto nel 1991, le previsioni rimasero sostanzialmente inattuate, presentandosi più come una dovuta risposta alle pressioni della comunità internazionale che come un impegno realmente sentito[7].
La seconda fase è iniziata con la morte di Tudjman e la democratizzazione del Paese (1999-2000) e continua tuttora. Parallelamente allo sviluppo della democrazia e alla lenta ma visibile affermazione dello Stato di diritto[8], anche i diritti delle minoranze nazionali sono stati potenziati e soprattutto resi gradualmente effettivi, attraverso un cambio di atteggiamento politico complessivo nei confronti delle disposizioni costituzionali relative alle minoranze e soprattutto attraverso l’approvazione della nuova legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali del 2002[9]. Come meglio si vedrà, la tutela effettiva dei diritti delle minoranze – incluso il diritto alla toponomastica nella propria lingua – ha registrato da allora uno sviluppo rapido e consistente[10], anche se permangono alcune zone d’ombra, che riguardano, tra il resto, proprio la piena effettività del diritto alla toponomastica nella lingua delle minoranze nazionali.
La Costituzione, emendata in parti significative relative ai diritti delle minoranze nel 1997 e nel 2001, contiene oggi diverse previsioni in materia. Va segnalato innanzitutto che il preambolo contiene ancora la definizione in senso nazionalistico della Croazia come «Stato nazionale del popolo croato», ma, oltre all’aumento del numero delle minoranze nazionali espressamente riconosciute (alla lista già riportata si sono aggiunti nel 1997 «tedeschi, austriaci, ucraini e ruteni»), anche la sua lettura politica è profondamente mutata. Tra le disposizioni più rilevanti ai fini del presente studio vanno menzionati l’art. 3, che prevede tra i «valori della Repubblica» l’eguaglianza anche «nazionale», nel senso dell’uguaglianza tra i gruppi nazionali che vivono in Croazia; l’art. 12, che stabilisce l’ufficialità della lingua croata e dell’alfabeto latino su tutto il territorio nazionale (1° comma), garantendo tuttavia, dietro riserva di legge, che in determinate località «altre lingue e la scrittura cirillica o altri alfabeti possono divenire co-ufficiali» (2° comma); il fondamentale art. 15, che garantisce parità di diritti agli appartenenti a tutte le minoranze nazionali (1° comma) e conferisce loro una rappresentanza politica preferenziale e garantita (3° comma), oltre che diritti linguistici e l’autonomia culturale (4° comma), il tutto, però, con riserva di legge costituzionale (2° comma); l’art. 82, che prevede che le leggi organiche che disciplinano i diritti delle minoranze nazionali richiedono una maggioranza qualificata dei 2/3 dei parlamentari[11].
Nel quadro così delineato dalla Costituzione, risulta evidente che nel concreto la fonte principale in tema di diritti delle minoranze nazionali in Croazia è la legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali prevista dall’art. 15, 2° comma, della Costituzione. L’attuale legge costituzionale sul punto risale al 13 dicembre 2002[12]. Si tratta di una legge molto moderna[13] che tutela in modo ampio e garantito le minoranze nazionali riconosciute, anche se, come meglio si vedrà in seguito, la sua attuazione non può ancora dirsi completa per le difficoltà di ordine politico, sociale ed anche economico che si sono frapposte alla sua definitiva e compiuta applicazione. L’adozione della legge costituzionale del 2002 dà seguito ad un impegno assunto dalla Croazia in occasione della sua ammissione al Consiglio d’Europa (1996) ad emendare profondamente la controversa legislazione precedente, adottata nel 1992 subito dopo l’indipendenza, modificata e sospesa più volte, e funzionale nei fatti al regime nazionalista di Tudjman.
Il vero problema che stava a monte della prima legislazione sulle minoranze era la considerevole consistenza numerica della popolazione serba[14], che costituiva tra l’altro la maggioranza nella regione sud-orientale della Krajina. A seguito dell’indipendenza croata, nel clima bellico che infiammava i Balcani, i serbi diedero vita alla autoproclamata Repubblica serba di Krajina, occupando militarmente circa 1/3 del Paese fino al 1995, quando le armate croate conquistarono definitivamente il territorio conteso, con conseguente espulsione di una parte consistente di popolazione serba[15]. In questo contesto, sia la legge generale di tutela delle minoranze nazionali[16], sia quella specifica dedicata alla minoranza serba[17], risultavano di fatto inapplicate, specie in considerazione dell’indipendenza di fatto della zona della Krajina. Nel 1995, con la riannessione della Krajina e il ristabilimento delle condizioni per poter applicare la legislazione sulle minoranze, il Parlamento decise di sospendere l’applicazione delle leggi per motivi legati al conflitto appena svolto.
A seguito delle forti pressioni del Consiglio d’Europa volte a reintrodurre la legislazione sospesa ed a migliorarla sostanzialmente[18], solo nel maggio 2000 (pochi mesi dopo la morte di Tudjman) il Parlamento croato reintrodusse in parte la legislazione sospesa e la emendò al fine di consentire una rappresentanza politica proporzionale della popolazione serba, mentre non reintrodusse la parte relativa all’autogoverno delle minoranze[19]. Questo timido passo in avanti non era comunque affatto sufficiente a garantire la piena attuazione della Costituzione in tema di diritti delle minoranze nazionali, e, dietro nuove pressioni della comunità internazionale, furono presentate delle proposte di legge per l’ulteriore modifica della legislazione precedente, proposte che risultavano tuttavia ancora troppo timide, incontrando aspre critiche da parte degli organismi internazionali[20]. La progressiva apertura del clima politico consentì in seguito di approdare ad una legislazione interamente nuova, sostitutiva della precedente, che fu approvata nel dicembre del 2002.
1.2. Il diritto alla toponomastica in lingua minoritaria in Croazia: caratteristiche generali e relativi fattori endogeni ed esogeni
La legge costituzionale del 2002 è, come detto, estremamente ampia nei contenuti, e particolarmente significativa per ciò che riguarda alcuni spunti innovativi, in linea con la più moderna legislazione in materia. È ampia, perché vuole caratterizzarsi come vera costituzione delle minoranze in Croazia, quasi come un testo unico che copra l’intera disciplina dei diritti delle minoranze (dall’istruzione all’uso della lingua, dalla rappresentanza politica all’autogoverno, dai media alle procedure di consultazione), pur non riuscendoci completamente a causa di alcuni necessari rinvii a normative connesse[21], rinvii che, come si vedrà, rendono frammentario il quadro normativo relativo all’ambito toponomastico. È moderna, perché prova a definire una minoranza nazionale[22], prevede diritti minoritari “di ultima generazione” come la collaborazione transfrontaliera, dedica ampio spazio a settori come i media e, in generale, risente profondamente della più recente evoluzione internazionale in materia, soprattutto della Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa del 1995[23] su cui è in buona parte ricalcata[24].
Nel contesto della legge costituzionale del 2002 e delle altre normative collegate, emergono le due coordinate fondamentali per l’analisi che qui interessa. Da un lato, la tutela delle minoranze si dispiega in Croazia su due piani, quello locale (diritti linguistici, diritti all’educazione, ecc.) e quello nazionale (rappresentanza politica, autogoverno dei gruppi e loro organismi rappresentativi e consultivi); dall’altro, il diritto alla toponomastica nelle lingue delle minoranze rientra nella dimensione esclusivamente locale della tutela minoritaria, essendo riconosciuto solo nelle zone di insediamento delle minoranze e soprattutto essendo rimesso, per la sua concreta attuazione, alla normazione substatale (regionale e comunale). Come si vedrà, il rinvio della tutela concreta della toponomastica in lingua minoritaria alla normativa regolamentare locale è causa di diversi problemi tuttora persistenti nella garanzia effettiva. Infine, in via generale, non può mancare di sottolinearsi come anche in Croazia – al pari di quanto diffusamente avviene pressoché ovunque – la pur corposa e penetrante normativa a tutela delle minoranze relega il tema della toponomastica su un piano “secondario”, contribuendo a farne un diritto “sottostimato” rispetto all’importanza strutturale che esso invece ricopre[25].
Prima di passare all’analisi dettagliata della disciplina in tema di toponomastica, si rende necessaria un’ultima considerazione di fondo. Come si è appena visto, lo sviluppo della normativa costituzionale e legislativa relativa ai diritti delle minoranze in Croazia è dovuto in gran parte all’influenza esercitata dalla comunità internazionale. Tuttavia, la scarsa considerazione della toponomastica nella (ipotetica) “scala gerarchica” dei diritti delle minoranze è un fattore ben presente anche al diritto internazionale, che non sembra avere ancora elaborato compiutamente l’importanza del diritto alla toponomastica in lingua minoritaria, se si considera che pochi sono i documenti che prestano attenzione al problema, e che quelli che lo fanno si limitano spesso a statuizioni generiche e compromissorie[26]. Se ne può pertanto ricavare, in via di prima approssimazione, che la garanzia della toponomastica in lingua minoritaria in Croazia ha beneficiato di un “effetto-trascinamento” da parte delle normative internazionali a tutela delle minoranze, ma in quanto tale risulta prevalentemente ancorata nella disciplina interna, di fonte costituzionale, legislativa e regolamentare.
2. Diritti linguistici delle minoranze e toponomastica in lingua minoritaria. Dalla chiusura all’apertura
La ricostruzione dell’impianto normativo a garanzia dei diritti linguistici in generale, e di quello alla toponomastica in lingua minoritaria in particolare, deve passare attraverso l’analisi di più testi, talvolta tra loro confliggenti. Il panorama risulta complesso, ma pare opportuno soffermarvisi anche in chiave diacronica per cogliere il recente passaggio da un sistema di forte chiusura ad un regime di apertura linguistica nei confronti delle minoranze nazionali.
2.1. I diritti linguistici…
In tema di diritti linguistici della minoranza italiana, viene in primo luogo in riferimento la Costituzione, il cui preambolo contiene il riconoscimento della comunità italiana come minoranza nazionale, in combinato disposto con il trattato bilaterale italo-croato del 1996[27]. Come già ricordato, inoltre, l’art. 12, 2° comma, della Costituzione enuncia il principio della delimitazione territoriale dei diritti linguistici delle minoranze (tra cui quello alla toponomastica), in un quadro di co-ufficialità con il croato «nelle singole unità locali», ossia, in via di principio, a livello comunale[28].
In via generale, oltre alla limitazione territoriale, opera anche una limitazione numerica. Ai sensi della vecchia legge costituzionale del 1992 sui diritti le e libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità o minoranze etniche e nazionali (emendata nel 2000 e poi assorbita dalla legge costituzionale del 2002), l’introduzione dell’uso co-ufficiale della lingua minoritaria (e dunque della toponomastica bilingue) è condizionato dalla consistenza numerica della minoranza nazionale, che deve risultare maggioritaria nel territorio comunale affinché possa introdursi la co-ufficialità. Il regime di co-ufficialità, inoltre, non scatta automaticamente in presenza di una maggioranza di appartenenti al gruppo minoritario, ma in presenza di tale condizione può essere deliberato dalle autorità comunali[29].
Questi limiti molto rigidi sono stati successivamente affievoliti con l’ingresso della Croazia in quella che abbiamo definito la “seconda fase” della sua politica nei confronti della minoranze. Nel 2000, la legge sull’uso della lingua e dell’alfabeto delle minoranze nazionali nella Repubblica di Croazia, nell’escludere alcuni ambiti dal regime di co-ufficialità (art. 3)[30], fa comunque salvi i diritti riconosciuti da norme internazionali (per il caso della minoranza italiana, che qui interessa, viene dunque operato un rinvio al trattato bilaterale del 1996 in quanto contenente norme più favorevoli, oltre che, in quanto applicabili, al memorandum del 1954 e al trattato di Osimo del 1975)[31]. Questo intreccio normativo ha un corollario fondamentale: per le minoranze i cui diritti sono garantiti da trattati internazionali, la co-ufficialità linguistica può prescindere dal requisito-capestro valido in generale (la necessità che gli appartenenti alla minoranza rappresentino la maggioranza in ambito comunale) se la co-ufficialità della lingua minoritaria sia comunque prevista dallo statuto del comune o della regione. La competenza all’introduzione della co-ufficialità cessa così di essere una prerogativa solo comunale, potendo essere esercitata anche dalla regione; l’ambito di applicazione rimane comunque sempre e solo comunale[32] o, persino, sub-comunale[33].
La svolta non poteva essere più radicale. Per ciò che riguarda i diritti linguistici (inclusa la toponomastica), si passa in definitiva da un criterio numerico nei fatti estremamente difficile da soddisfare ad un criterio politico: sono ora gli statuti regionali e comunali a decidere l’introduzione della co-ufficialità della lingua minoritaria e dunque della toponomastica nella lingua delle minoranze. Sotto il profilo tecnico-giuridico questa nuova previsione rimane un’eccezione (lo è per la legge del 2000 e anche per la successiva legge costituzionale generale del 2002, che ribadisce in via generale l’ambito di applicazione solo comunale)[34], anche se la sua portata pratica risulta nei fatti rivoluzionaria, segnando il passaggio da un diffuso monolinguismo ufficiale ad una consistente applicazione di diritti linguistici (inclusa la toponomastica) per (alcune) minoranze. La legge costituzionale del 2002 si incarica in seguito di “chiudere il cerchio”, mantenendo in via generale il requisito numerico per la possibile introduzione della co-ufficialità linguistica a livello comunale da parte degli statuti regionali o comunali, ma abbassandolo sensibilmente: non più la maggioranza, come previsto in precedenza, ma un terzo degli abitanti dell’ente locale interessato deve appartenere alla minoranza nazionale la cui lingua si intende ufficializzare.
In sintesi, il complesso intreccio di norme e la loro successione nel tempo indica il sofferto passaggio da un regime linguistico formalmente promozionale[35] ma di fatto estremamente limitativo dei diritti linguistici delle minoranze nazionali (ambito solo comunale, competenza solo comunale e requisito della maggioranza degli abitanti) ad una disciplina assai più aperta, che, pur mantenendo un ambito di applicazione soltanto comunale per i diritti linguistici, ne consente l’attivazione da parte degli statuti sia comunali che regionali, opera un generalizzato richiamo alla normativa internazionale (bilaterale e multilaterale), ed abbassa ad 1/3 la soglia minima di appartenenti alla minoranza in un comune perché possa essere introdotta l’equiparazione delle lingue.
2.2. …e il diritto alla toponomastica nella lingua delle minoranze
Con specifico riferimento alla toponomastica, l’art. 10 della legge sulla lingua e l’alfabeto delle minoranze del 2000 stabilisce che «nei comuni e nelle città in cui una lingua e alfabeto minoritari sono in uso co-ufficiale, può essere scritto in forma bilingue o multilingue, e con la stessa dimensione, quanto segue: segnaletiche stradali ed altre scritte di traffico, nomi di strade e piazze, nomi di luoghi e siti geografici». Inoltre, «i membri delle minoranze nazionali hanno il diritto di usare liberamente la loro lingua e alfabeto, in privato e in pubblico, incluso il diritto di predisporre simboli, iscrizioni e altre informazioni nella loro lingua e alfabeto, in conformità con la legge». Il diritto alla toponomastica in lingua minoritaria non viene espressamente menzionato: la norma prevede il diritto ad indicare «iscrizioni» o «informazioni» nella lingua della minoranza, il che, funzionalmente, è lo stesso, anche se indubbiamente la definizione legislativa adotta una concezione restrittiva e burocratica della toponomastica[36].
Proseguendo nel rapporto di integrazione tra la legge del 2000 e quella del 2002, è la seconda a farsi carico dell’espressa menzione del diritto alla toponomastica nelle lingue minoritarie. L’art. 13 prevede infatti che «la legge che regola l’uso della lingua e l’alfabeto minoritari e/o gli statuti dell’unità di autogoverno locale devono determinare le misure atte a preservare i nomi e le insegne tradizionali, ad attribuire denominazioni tradizionali ai luoghi, strade e piazze e assegnare nomi di persone e eventi significativi per la storia e la cultura delle minoranze nazionali in Croazia, nelle aree tradizionalmente e maggiormente abitate da membri delle minoranze nazionali».
La competenza così definita è riservata in via generale allo Stato attraverso le leggi specifiche in tema di minoranze, in particolare, per quanto qui di interesse, quella sulle lingue del 2000 e quella “generale” del 2002. Tali leggi, tuttavia, ne trasferiscono l’esercizio al livello comunale, attraverso le disposizioni degli statuti comunali o regionali. Nel concreto, le attività che i comuni possono svolgere in quest’ambito sono l’adozione di «misure atte a proteggere i nomi e le insegne tradizionali», «l’attribuzione dei nomi tradizionali a luoghi, strade e piazze» e, nel caso in cui tali denominazioni originarie siano inesistenti o irreperibili, l’attribuzione di denominazioni che riguardano personaggi ed eventi storici che hanno contribuito all’evoluzione della storia e cultura della minoranza nazionale (art. 13 l. cost. 2002).
La concreta attuazione di queste misure, come detto, è demandata agli statuti comunali. Per ciò che attiene alla minoranza italiana, assume tuttavia una fondamentale importanza anche lo statuto della regione di insediamento di tale minoranza, l’Istria croata[37].
2.3. La toponomastica italiana nello statuto istriano e negli statuti comunali
La vicenda dello statuto istriano è lunga e complessa[38]. In estrema sintesi, va ricordato che il primo statuto della regione fu approvato il 30 marzo del 1994. Il 14 aprile dello stesso anno il Governo centrale propose ricorso davanti alla Corte costituzionale in riferimento a ben trentacinque articoli dello stesso, ritenuti in contrasto con la Costituzione e con la (allora vigente) legge costituzionale sui diritti e le libertà dell’uomo sui diritti delle comunità etniche e nazionali o minoranze del 1992. La Corte costituzionale accolse in gran parte le osservazioni del Governo, annullando diciotto disposizioni dello statuto istriano, nove delle quali riguardavano la tutela della comunità nazionale italiana[39].
La più volte menzionata svolta politica nei confronti delle minoranze seguita alla morte di Tudjman non tardò a farsi sentire anche in Istria[40]. Nell’aprile del 2001 l’assemblea regionale approvò il nuovo statuto, spinta dal nuovo quadro legislativo, non solo più attento, in via generale, alla questione minoritaria, ma soprattutto, come si è visto, finalmente autorizzativo di una competenza regionale in materia di co-ufficialità linguistica, che prima mancava.
Lo Statuto istriano del 2001 intendeva realizzare la piena equivalenza della lingua croata con quella italiana. L’art. 6, nella sua versione originaria, stabiliva in particolare l’equiparazione delle due lingue nell’intera regione. Il Governo propose nuovamente impugnazione nel maggio del 2001[41], in particolare avverso le norme maggiormente caratterizzanti la tutela della minoranza italiana, ma nelle more del procedimento decise di ritirare il ricorso, a seguito di un accordo politico tra l’assemblea regionale e il Ministero della giustizia, che ha portato ad alcune modifiche dello Statuto, definitivamente approvato nel novembre del 2001[42].
L’attuale art. 6 dello statuto prevede dunque il riconoscimento della co-ufficialità dell’italiano, riportandolo tuttavia nell’ambito dell’autogoverno locale[43] e rinunciando così all’ambizione iniziale di voler estendere il bilinguismo a tutti gli organi ed uffici pubblici nel territorio della regione[44].
La toponomastica è disciplinata sia in chiave di tutela che di promozione. La prima dimensione emerge all’art. 14, che prevede le competenze della regione, tra cui «la tutela del patrimonio storico, culturale e nazionale, dei prodotti istriani tipici e dei toponimi» (punto 3), secondo una concezione del toponimo come bene culturale. La dimensione promozionale si ricava invece dall’art. 21 dello statuto, secondo cui «la regione istriana promuove le caratteristiche sociali, territoriali, naturali, etniche, culturali, nonché le altre particolarità dell’Istria» (1° comma) e «promuove le usanze popolari istriane, la celebrazione delle festività popolari, la tutela dei toponimi originali, e delle parlate locali» (2° comma), specie attraverso l’educazione («insegnamento dell’ambiente sociale») e l’istruzione. Infine, l’art. 25, 1° comma, punto 2 garantisce la parità tipografica delle indicazioni toponomastiche[45], e l’art. 26 ribadisce quanto già previsto dalla legislazione nazionale in riferimento alla dimensione comunale o subcomunale dell’applicazione dei diritti linguistici[46].
Come si è visto, tuttavia, la disciplina croata in tema di toponomastica in lingua minoritaria (e più in generale di diritti linguistici delle minoranze) è un sistema a cascata, che trasferisce tutto il peso della tutela concreta sul livello comunale, affidando così ad un organismo amministrativo la garanzia di un diritto costituzionale. La disciplina croata sul punto è come una torta con moltissimi strati: la disciplina internazionale (direttamente applicabile per il primato del diritto internazionale previsto nella costituzione), la Costituzione, la legge costituzionale del 2002 e le varie leggi speciali applicabili (in particolare quella del 2000 sulla lingua e l’alfabeto delle minoranze), e, laddove di rilievo, come nel caso dell’Istria, lo statuto regionale. Tuttavia, l’unico strato commestibile della torta è quello più basso: lo statuto comunale. Questa declinazione meramente amministrativa di un diritto costituzionale causa, com’è evidente, alcuni problemi sia sotto il profilo sistemico, sia dal punto di vista delle garanzie, rimanendo affidata a dinamiche meramente locali[47].
Per quanto riguarda la minoranza italiana, tuttavia, dal punto di vista operativo la tutela comunale del diritto alla toponomastica risulta oggi piuttosto diffusa ed accettata. Molti sono gli statuti comunali che danno attuazione al principio della toponomastica bilingue in presenza delle condizioni numeriche previste dalla legge costituzionale del 2002[48].
Tra questi, a titolo esemplificativo dei contenuti e delle tecniche di garanzia del diritto in esame, può segnalarsi innanzitutto lo statuto della città di Pola (1994), che prevede che la città «espleta mansioni relative alla promozione della sua identità storica, artistica, culturale, linguistica, etnica ed ambientale rispettando in particolare la toponomastica originaria» (art. 14) e garantisce «agli appartenenti alle comunità etniche e nazionali o minoranze» «la libertà di espressione della loro appartenenza nazionale, il libero uso delle loro lingua e scrittura, l’autonomia culturale, la tutela della partecipazione paritaria agli affari pubblici, in conformità con la Costituzione, con la legge, con il presente Statuto e con gli atti generali ed individuali di organismi della città» (art. 97, 1° comma). Particolarmente significativa è la previsione secondo cui «agli appartenenti alla comunità nazionale italiana autoctona si assicura la piena affermazione della loro identità individuale e collettiva, a prescindere dalla loro incidenza sulla popolazione complessiva» (art. 97, 2° comma): una disposizione ora in linea con la possibile deroga al criterio numerico prevista in presenza di trattati internazionali dalla legge costituzionale del 2002, ma che prima di tale legge poteva ritenersi al più di carattere programmatico, perché non applicabile indipendentemente dalla clausola numerica. Si tratta insomma di una disposizione “coraggiosa” per l’epoca in cui è stata approvata, e dotata di un indubbio significato simbolico nella determinazione dell’identità plurilingue e pluriculturale dell’Istria e della città di Pola in particolare[49]. Conformemente alle regole appena enunciate, con specifico riguardo alla toponomastica si prevede che «le tabelle stradali con i nomi di luoghi, vie e piazze debbono essere in lingua croata e in lingua italiana» (art. 109).
Anche lo statuto della città di Rovigno (1993) stabilisce la co-ufficilità della lingua italiana (art. 7), in particolare con riferimento al «diritto all’iniziativa e all’attività culturale nonché [al] diritto di stampa, [al] rispetto dei toponimi, degli usi e delle tradizioni popolari» (art. 17, 1° comma), al fine di creare «le condizioni indispensabili a garantire che la completa vita pubblica ed ufficiale della città si svolga nella parità di tutte e due le lingue» (art. 17, 2° comma). Ancora più dettagliate le disposizioni dello statuto del comune di Cittanova (1993) che non solo riconosce la co-ufficialità (art. 8), ma garantisce in capo agli appartenenti alla comunità italiana «il diritto all’uso libero e paritario delle loro lingua e scrittura, a sviluppare la loro cultura, ad esporre la propria bandiera ed esercitare gli altri diritti sanciti dalla Costituzione, dalla legge, dal presente Statuto e da altre disposizioni» (art. 15). Con particolare riguardo alla toponomastica (in senso lato), si stabilisce che «sul territorio del Comune, tutte le disposizioni, le insegne pubbliche, gli avvisi affissi sulle tabelle degli organi statali, della magistratura, dei corpi dell’autonomia e dell’amministrazione locale, delle imprese, istituzioni e negozi debbono essere in lingua croata e in lingua italiana usando le medesime lettere», con una previsione dunque particolarmente pervasiva che si estende anche al settore privato. Una previsione analoga ed altrettanto ampia si ritrova in altri statuti, come ad es. quello del comune di Umago (1993) che, nel declinare il principio secondo cui «l’intera vita pubblica e sociale si svolg[e] nella totale parità di diritti di entrambe le lingue e scritture» (art. 13), prevede che «sul territorio del Comune tutte le disposizioni, le insegne pubbliche, gli avvisi e gli stampati di persone fisiche e giuridiche e in genere tutte le comunicazioni scritte e orali si svolgono in lingua croata e in lingua italiana» (art. 14).
3. La giurisprudenza costituzionale e il monitoraggio internazionale
Dalla ricostruzione del panorama normativo in tema di diritti linguistici (e specificamente toponomastici) delle minoranze in Croazia e della sua concreta attuazione nel governo locale si ricava dunque una politica linguistica complessivamente asimmetrica. Le delimitazioni territoriali e numeriche contenute nella legislazione nazionale ed il totale trasferimento dell’attuazione dei diritti al livello comunale portano nei fatti ad un trattamento piuttosto diversificato tra le varie minoranze nazionali e, nei confronti della stessa comunità minoritaria, a forme di tutela di diversa intensità a seconda dei comuni interessati. Pur nel quadro di questa asimmetria territoriale, la minoranza italiana risulta nel complesso assai più garantita e tutelata di altre, perché coperta dal trattato bilaterale e per l’impostazione generalmente promozionale dello statuto istriano e dei diversi statuti comunali.
L’atteggiamento della giurisprudenza interna e della soft jurisprudence degli organismi internazionali di monitoraggio[50] in riferimento a questa situazione mostra come, in questa materia, i giudici nazionali siano complessivamente deferenti verso le scelte del legislatore, accompagnandone sostanzialmente l’evoluzione[51], mentre gli organismi internazionali hanno svolto un ruolo primario nel condizionare il mutamento in senso favorevole ai diritti delle minoranze che la Croazia ha registrato a partire dalla conclusione dell’era Tudjman.
Quanto alla giurisprudenza interna, sono tre i casi significativi che dimostrano questa evoluzione. Il primo è la già brevemente menzionata sentenza della Corte costituzionale sull’impugnazione governativa del primo statuto istriano del 1994[52]. In questa pronuncia, l’argomento forte, che ha consentito alla Corte di dichiarare l’incostituzionalità di diverse disposizioni dello statuto, stava proprio nell’eccessiva frammentazione e “localizzazione” delle competenze. Nell’accogliere le osservazioni del Governo, la Corte conferma infatti che solo la Costituzione e la legge possono riconoscere o limitare le libertà e i diritti individuali nel rispetto del principio di uguaglianza tra tutti i cittadini della Repubblica, indipendentemente dal territorio regionale sul quale essi risiedono. La competenza ad intervenire sul principio di uguaglianza, per la Corte, non può che essere di spettanza esclusiva dello Stato. Ne consegue che solo lo Stato può disciplinare i diritti speciali delle minoranze, in quanto deroghe al principio di uguaglianza. Resta tuttavia una contraddizione di fondo in questa argomentazione, perché se lo Stato disciplina i diritti delle minoranze trasferendone di fatto l’attuazione al livello locale, la responsabilità della imperfetta attuazione non può ricadere in blocco sul livello locale. Vero è che la Corte ritiene che il contenuto del primo statuto istriano eccedesse sul punto i limiti di competenza, ma dall’argomentazione emerge con una certa chiarezza una contraddittorietà di fondo di un sistema che finisce per trasferire al solo ambito locale l’attuazione dei diritti, riservandosi tuttavia ampi margini di discrezionalità nell’allargare o restringere il margine di interpretazione lasciato ai governi locali. Come è stato opportunamente rilevato, quindi, la sentenza della Corte costituzionale e l’intera vicenda del primo statuto istriano mostrano come, almeno nella prima fase successiva all’indipendenza, la politica linguistica applicata non è stata affatto coerente con quella declamata[53].
Il secondo caso origina da un ricorso amministrativo della regione istriana contro un ordine imposto dal ministero della pubblica amministrazione di rimuovere le targhe e i cartelli bilingui affissi nelle sedi degli organi e uffici regionali nella città di Pisino (Pazin)[54]. La vicenda è intricata e presenta per la maggior parte un rilievo essenzialmente amministrativo. Ciò che conta ai fini della presente indagine è come, al termine di un articolato ragionamento, la Corte sia bensì pervenuta al rigetto del ricorso della regione istriana, ma essenzialmente solo sulla base del principio tempus regit actum: per la Corte, infatti, la situazione normativa del 1998 consentiva alle autorità centrali di rimuovere i cartelli bilingui, mentre la successiva evoluzione della legislazione ha almeno parzialmente cambiato il quadro. Questa sentenza è emblematica della fase di passaggio dal regime restrittivo in tema di minoranze precedente la svolta dell’anno 2000, a quello promozionale successivo a tale data.
La terza decisione della Corte costituzionale non riguarda direttamente un problema toponomastico, ma più in generale la questione di fondo di come interpretare i diritti delle minoranze in riferimento al principio di uguaglianza. Se nella citata pronuncia sul primo statuto istriano, adottata in piena “era Tudjman”, la Corte aveva ritenuto che il principio di uguaglianza fosse declinabile solo dal legislatore nazionale e che i diritti delle minoranze fossero da considerarsi delle eccezioni di stretta interpretazione al principio di uguaglianza formale, in una successiva pronuncia, caratteristica della “seconda fase”, la Corte legge invece i diritti delle minoranze come attuazione e non più come deroga del principio di uguaglianza, basandosi in particolare sugli sviluppi internazionali in materia. Nel ricorso di costituzionalità presentato nei confronti della legge costituzionale sulla rappresentanza delle minoranze negli organi politici (che conteneva azioni positive per la rappresentanza politica delle minoranze nazionali), la Corte dà diretta applicazione all’art. 4, 3° comma, della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che stabilisce che «full and effective equality between persons belonging to a national minority and those belonging to the majority in all areas of economic, social, political and cultural life» «shall not be considered to be an act of discrimination». Per la Corte[55], quindi, l’attribuzione di diritti elettorali speciali alle minoranze nazionali non è da considerare una deroga al principio di uguaglianza, ma una diretta applicazione degli standard internazionali sul punto[56].
In definitiva, da questi esempi si ricava come l’interpretazione che la Corte costituzionale è venuta dando alla portata dei diritti minoritari in generale (e di quello alla toponomastica in particolare) sia andata di pari passo con l’evoluzione della legislazione e, più ancora, del “clima” politico complessivo nei confronti delle minoranze.
I “progressi” compiuti dalla Croazia sul punto sono stati ampiamente riconosciuti anche dagli organismi internazionali di monitoraggio. Estremamente indicativo, in tal senso, risulta il confronto tra i due State reports presentati finora dalla Croazia al Consiglio d’Europa nell’ambito della Convenzione-quadro per la protezione della minoranze nazionali. Nel primo di essi, del 1999[57], si leggono ancora toni spiccatamente nazionalistici, solo in parte stemperati nel linguaggio diplomatico[58][59], cambia radicalmente non solo il quadro normativo, ma anche il linguaggio, a dimostrazione del cambio di prospettiva tra le due legislazioni costituzionali, e della trasformazione della Croazia da Stato nazionalista che si difende a modello di ordinamento promozionale dei diritti delle minoranze[60].. Nel secondo, presentato dopo la legge costituzionale del 2002
Parimenti, assai diverse appaiono le valutazioni del Comitato consultivo previsto dall’art. 25 della Convenzione quadro per la tutela delle minoranze nazionali e dello stesso Comitato dei ministri tra il primo e il secondo ciclo di monitoraggio sull’attuazione della medesima convenzione. In particolare, il primo parere, e persino la prima raccomandazione del Comitato dei ministri, rileva l’eccessiva lentezza nell’attuazione della legislazione a tutela delle minoranze (all’epoca la legge costituzionale del 1992), soprattutto in ambito locale[61], che è, come già ricordato, il livello territoriale nel quale è ancorata la garanzia della toponomastica bilingue.
4. Valutazioni conclusive
Da quanto si è visto, si possono trarre le due fondamentali coordinate lungo le quali si articola la tutela delle minoranze nell’ordinamento croato, con particolare riferimento al diritto alla toponomastica in lingua minoritaria: da un lato, la configurazione estremamente asimmetrica dei diritti linguistici delle minoranze (e segnatamente del diritto alla toponomastica nelle lingue minoritarie); dall’altro, la rapidità con cui la Croazia ha saputo trasformarsi da ordinamento a vocazione nazionalistica, repressiva delle identità minoritarie, in un sistema estremamente avanzato quanto agli strumenti giuridici posti a presidio dei diritti delle minoranze nazionali.
Quanto al primo profilo, attraverso un intricato e non sempre lineare complesso di norme di diverso rango e di diversa portata, dalle fonti internazionali fino agli statuti dei comuni interessati, i punti salienti dell’attuale disciplina relativa al diritto alla toponomastica nelle lingue minoritarie (e in particolare in italiano) possono sintetizzarsi come segue. La comunità nazionale italiana è considerata minoranza nazionale autoctona[62], precondizione necessaria per l’attivazione dei diritti connessi a tale status, in particolare dell’uso della lingua in ambito privato e pubblico e a livello ufficiale[63]. La minoranza italiana gode inoltre del diritto al libero utilizzo in ambito privato e pubblico della propria lingua, incluso il conseguente diritto ad affiggere iscrizioni e informazioni in lingua minoritaria[64]. Presupposto per l’utilizzo della lingua minoritaria nel settore toponomastico è il riconoscimento della co-ufficialità della lingua minoritaria[65], possibile a livello comunale quando almeno un terzo degli abitanti del relativo territorio sia appartenente alla minoranza nazionale o quando – anche a prescindere dalla consistenza numerica – ciò sia comunque previsto da accordi internazionali da cui la Croazia è vincolata (come nel caso della minoranza italiana)[66]. La co-ufficialità della lingua minoritaria può essere disposta anche dalla regione, ma con riferimento non a tutto il suo territorio, bensì solo ai propri organi che operano in comuni e città per fini di autogoverno[67]. In questo quadro, i diritti ascrivibili alla dimensione toponomastica riguardano i nomi di luoghi e siti geografici, i nomi di strade e piazze, i segnali stradali e in qualche caso, quando ciò sia previsto dai rispettivi statuti comunali, anche le insegne di attività commerciali e di esercizi pubblici. Le denominazioni nella lingua minoritaria devono avere il medesimo rilievo tipografico rispetto a quelli in croato[68].
Sono dunque città e comuni che, attraverso i rispettivi statuti, dichiarano o meno la co-ufficialità della lingua minoritaria nei rispettivi territori o in parti di essi[69], determinano le denominazioni toponomastiche e odonomastiche da utilizzare, adottano le misure atte a preservare i nomi e le insegne tradizionali e attribuiscono a luoghi, strade e piazze i nomi tradizionali o i nomi di persone ed eventi significativi per la storia e la cultura della minoranza[70]. Per quanto la regione istriana sia riuscita a “conquistarsi” un limitato margine di intervento in materia[71], i terminali dei diritti linguistici delle minoranze (e in particolare alla toponomastica in lingua italiana) restano esclusivamente i comuni. Ciò comporta una tutela a macchia di leopardo, con intensità e livelli di garanzia assai diversi tra località e località. In un quadro tanto frammentato, è tuttavia da segnalare il ruolo della giurisprudenza costituzionale, che ha gradualmente abbandonato l’iniziale impostazione secondo cui i diritti delle minoranze dovevano considerarsi delle deroghe al principio di uguaglianza tra i cittadini, soggette quindi ad uno scrutinio particolarmente stretto, a favore di una generalizzata ricomprensione degli stessi all’interno del medesimo principio di uguaglianza, in linea peraltro con l’evoluzione legislativa e, prima ancora, politica dell’ordinamento croato in materia.
Il secondo profilo, relativo al rapido sviluppo della “costituzione delle minoranze” in Croazia, emerge dagli elementi che precedono ed ha carattere più generale. Nel configurare in chiave giuridica (e politica) i propri rapporti con le minoranze, la Croazia ha seguito un percorso assai comune ai Paesi dell’Europa centro-orientale[72]: la conquista dell’indipendenza come Stato nazionale si è accompagnata ad una legislazione (e, ancor più, ad una prassi) funzionali all’affermazione del carattere mono-nazionale dello Stato appena costituito, sotto la guida di un leader carismatico e ultra-nazionalista. Nel contempo, però, l’atteggiamento nazionalistico si è confrontato fin da subito con crescenti pressioni internazionali verso l’affievolimento dei caratteri più estremi della legislazione, dando vita ad un crescente contrasto tra l’indirizzo politico-costituzionale interno, volto ad affermare il predominio della maggioranza, e le condizioni poste dalla comunità internazionale per la piena accettazione del nuovo Stato, che dell’inclusione a pieno titolo nel nuovo contesto internazionale aveva ed ha assoluto bisogno. Ci è voluto il primo cambio di generazione politica (segnato in Croazia dalla morte del Presidente Tudjman) perché il conflitto tra queste posizioni si risolvesse in favore del quadro di tutela delle minoranze imposto dalla comunità internazionale. Se, come detto, questo percorso è comune a numerosi altri Paesi dell’Europa centro-orientale (dall’Estonia alla Slovacchia, dalla Lettonia alla Serbia), l’esperienza croata è tuttavia la più rapida e la più marcata. In un arco di tempo assai ridotto la Croazia ha accettato un cambio di rotta radicale e, apparentemente, senza incertezze.
In particolare, la legge costituzionale del 2002 risulta sotto questo profilo molto avanzata nel panorama comparato e incredibilmente ricca di diritti minoritari, se confrontata non solo con la situazione croata precedente, ma anche con quella di molti altri Paesi, anche occidentali. È chiaro, tuttavia, che un sistema di diritti “a cascata” come quello previsto dall’intricata legislazione croata in tema di minoranze non può riuscire a giungere fino all’ultimo anello della catena dalla sera alla mattina. Per questo, alcune disposizioni chiave per una effettiva ed efficace tutela delle minoranze restano ancora inattuate[73].
Ciò vale in parte anche per la toponomastica. A fronte di una normativa piuttosto generosa, l’attuazione pratica presenta ancora delle lacune, dovute alla sua configurazione asimmetrica. Tuttavia, se in una prospettiva sincronica, fotografando la situazione attuale, si possono notare ancora alcuni punti oscuri, in un’ottica diacronica, osservando la rapida ed estremamente incisiva evoluzione dei diritti delle minoranze in Croazia nell’ultimo lustro, dopo la scomparsa di Tudjman e l’avvento di una democrazia compiuta, il giudizio cambia radicalmente. La Croazia ha certamente fatto della tutela delle minoranze uno dei suoi punti di forza per l’accreditamento di fronte alla comunità internazionale, e in buona parte ci è riuscita. Può darsi, naturalmente, che il processo sia iniziato per induzione esterna attraverso il ben noto fenomeno della condizionalità (che ha consentito alla Croazia di entrare relativamente in fretta nel Consiglio d’Europa, ma non ancora nell’Unione europea)[74], e tuttavia, qualunque ne sia la causa, pare innegabile che il Paese abbia negli ultimi anni bruciato le tappe verso la costruzione di un sistema pluralistico anche sotto il profilo etnico-linguistico, configurandosi davvero, dopo anni di nazionalismo estremo, come un ordinamento compiutamente promozionale nei confronti delle proprie minoranze nazionali.
Bibliografia
Appicciafuoco L., Integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione europea e principio di condizionalità, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2007-II.
Bartole S., La Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali, in Rivista italiana di diritto e di procedura penale, 2/1997.
Casonato C., La rappresentanza politica della comunità italiana in Slovenia e Croazia, in Piergigli V. (a cura di), L’autoctonia divisa. La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, Padova, 2005.
Council of Europe, Framework Convention for the Protection of National Minorities. Collected Texts, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 3rd ed., 2005.
Croatian Helsinki Committee, Report on the implementation of the Framework Convention of Council of Europe on the Protection of Minorities in Republic of Croatia, 1999, in: http://www.minelres.lv/reports/croatia/NGO/croatia_NGO.htm
De Ciuceis M., L’uso della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’amministrazione della giustizia, in Piergigli V. (a cura di), L’autoctonia divisa,cit.
de Vergottini G., Profili giuridici della toponomastica nella provincia di Bolzano, in Dir. soc., 1986.
Di Carlo I., La questione delle minoranze nelle procedure di aggiornamento degli accordi di Osimo, in La comunità internazionale, V. LI n. 2/1996.
European Commission for Democracy through Law, Opinion on the Croatian Constitutional Law Amending the Constitutional Law of 1991, 16-6-2000, CDL-INF (2000).
European Commission, Final report «Reinforcement of the Rule of Law. Division of competencies and interrelations between courts, prosecutors, the police, the executive and legislative powers in the Western Balkans Countries (strategic studies in CARDS 2003)», in: http://www.kfunigraz.ac.at/suedosteuropa/media/Finalreport.pdf.
Mancini M., La tutela della minoranza italiana in Slovenia e Croazia: lo stato dei rapporti internazionali, in Piergigli V. (a cura di), L’autoctonia divisa, cit.
Marko J., Die rechtliche Stellung der Minderheiten in Kroatien, in Frowein J. Abr., Hofmann R., Oeter S. (Hrsg.), Das Minderheitenrecht europäischer Staaten, vol. 2, Berlin et al., Springer, 1994.
Marko J., Kregar J., Il sistema politico croato. Alcuni problemi di consolidamento della democrazia, in Bartole S., Grilli di Cortona P. (a cura di), Transizione e consolidamento democratico nell’Europa centro-orientale. Elites, istituzioni e partiti, Torino, 1998.
OSCE/Council of Europe, National Minority Standards. A compilation of OSCE and Council of Europe texts, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 2007.
Osservatorio sui Balcani, Istria: tra Croazia ed Europa, http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/140 (2001)
Packer J., Situating the Framework Convention in a wider context: achievements and challenges, in Council of Europe (ed.), Filling the Frame. Five years of monitoring the Framework Convention for the Protection of National Minorities, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2004.
Palermo F., Woelk J., Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, Padova, 2008.
Pallottino M., Toponomastica, in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992.
Pan C., Die Minderheitenrechte in Kroatien, in Pan C., Pfeil B.S. (Hrsg.), Minderheitenrechte in Europa. Handbuch der europäischen Volksgruppen, vol. 2, Springer, Wien et al., 2006.
Petri?uši? A., Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, in European Yearbook of Minority Issues, vol. 2, 2002/2003, Leiden/Boston, 2004.
Pföstl E. (a cura di), Valorizzare le Diversità: Tutela delle Minoranze ed Europa Multiculturale, Roma, Istituto di Studi Politci “S. Pio V”, 2003.
Piergigli V. (a cura di), L’autoctonia divisa. La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, Padova, 2005.
Piergigli V., Lo statuto Istriano e il bilinguismo al vaglio delle autorità croate, in Quaderni costituzionali, 2001.
Poggeschi G., Le minoranze nazionali nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, in Pföstl E. (a cura di), Valorizzare le diversità, cit.
Toniatti R., La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza «assicurata» e «garantita», nota a Corte cost. n. 261/1995, in Le Regioni, 1995.
Toniatti R., Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in Bonazzi T., Dunne M. (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994.
Verstichel A., Alen A., de Witte B., Lemmens P. (eds.), The Framework Convention for the Protection of National Minorities: A Useful Pan-European Instrument?, Antwerp, Intersentia 2008.
Verstichel A., Representation and Identity. The Right of Persons Belonging to National Minorities to Effective Participation in Public Affairs. Content, Justification and Limits, PhD, EUI, Firenze 2007.
Woelk J., La tutela giuridica delle minoranze: modelli, strumenti e prospettive, in E. Pföstl (a cura di), Valorizzare le diversità, cit.
Abstract
The paper focuses on the legal regulation of place names in minority languages in Croatia. Due consideration is paid to the historical developments over the last two decades as well as to constitutional adjudication on this matter.
It is argued that minority protection in Croatia, including the right to display street and place names in minority languages, can be divided into two main periods. The first one is the Tudjman era (1991-1999), marked by nationalistic policies and aimed at limiting minority rights to the less possible extent. The second, much more benign phase, begun after Tudjman’s death and is symbolised by the adoption of the constitutional law on the rights of national minorities in 2002. That law provides for a broad range of minority rights, including the right to toponymy in minority languages. Other laws also contain relevant provisions for the enjoyment of the right by minorities to toponymy in their languages, such as the law on language and script of national minorities.
Due to the territorial approach to some minority rights in Croatia, however, the statutes of the municipalities are in practice the most relevant source of the right of minorities to use their language in place names, alongside with Croatian. Whereas some minority rights, including self-government and political representation, have a national dimension, linguistic rights, and particularly the right to officially name places in minority languages, are protected only at local level. This is both a chance and a challenge: it is a chance, because municipalities inhabited by persons belonging to national minorities traditionally or in substantial numbers can broadly implement this right, as it has been the case in several places in Istria. It is a challenge, because the implementation of this type of minority rights practically varies from one village to another, living rise to some concerns as to the absence of uniformity in the protection of minority rights.

* Professore associato di Diritto pubblico comparato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Verona e direttore dell’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’Accademia europea di Bolzano; componente dell’Advisory Committee on the Protection of National Minorities del Consiglio d’Europa.
[1] Cfr. per tutti M. Pallottino, voce Toponomastica, in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992, p. 739 ss. e G. de Vergottini, Profili giuridici della toponomastica nella provincia di Bolzano, in Dir. soc., 1986, p. 651 ss. Cfr. anche il contributo di V. Piergigli in questo stesso volume.
[2] Così la Corte cost. italiana, sent. 28/1964 (in Foro it., 1964 I, p. 875).
[3] Dunque quelli generati «in seguito a processi di formazione degli stati o a causa di cambiamenti territoriali e non come risultato di un’immigrazione» (J. Woelk, La tutela giuridica delle minoranze: modelli, strumenti e prospettive, in E. Pföstl (a cura di), Valorizzare le diversità: tutela delle minoranze ed Europa multiculturale, Roma, 2003, p. 59), così escludendo altri tipi di comunità pur residenti sullo stesso luogo, come quelle di immigrati o nomadi, che infatti non si vedono riconosciuto il diritto alla toponomastica nelle proprie lingue.
[4] Cfr. anche F. Palermo, J. Woelk, Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, Padova, 2007, p. 172 ss.
[5] L’espressione «costituzione delle minoranze» è usata da R. Toniatti, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza «assicurata» e «garantita», nota a Corte cost. n. 261/1995, in Le Regioni 1995, p. 1271 ss.
[6] Cfr. I. Di Carlo, La questione delle minoranze nelle procedure di aggiornamento degli accordi di Osimo, in La comunità internazionale, n. 2/1996, p. 317 ss.
[7] Cfr. J. Marko, J. Kregar, Il sistema politico croato. Alcuni problemi di consolidamento della democrazia, in S. Bartole, P. Grilli di Cortona (a cura di), Transizione e consolidamento democratico nell’Europa centro-orientale. Elites, istituzioni e partiti, Torino, 1998, p. 145 ss.
[8] Cfr. Per maggiori dettagli la valutazione della Commissione europea, Final report «Reinforcement of the Rule of Law. Division of competencies and interrelations between courts, prosecutors, the police, the executive and legislative powers in the Western Balkans countries (strategic studies in CARDS 2003)», pubblicato per esteso in: http://www.kfunigraz.ac.at/suedosteuropa/media/Finalreport.pdf.
[9] Su cui v. diffusamente A. Petri?uši?, Constitutional Law on the Rights of National Minorities in the Republic of Croatia, in European Yearbook of Minority Issues, vol. 2, 2002/2003, Leiden/Boston, 2004, pp. 607 ss. In lingua italiana v. altresì, con particolare riferimento alla disciplina della rappresentanza politica contenuta nella legge, C. Casonato, La rappresentanza politica della comunità italiana in Slovenia e Croazia, in V. Piergigli (a cura di), L’autoctonia divisa. La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, Padova, 2005, p. 313 ss.
[10] Come riconosciuto peraltro anche dalla comunità internazionale. Si veda per tutti la seconda opinione sulla Croazia adottata il 1-10-2004 dal Comitato consultivo per la protezione delle minoranze nazionali istituito dalla Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa, ACFC/INF/OP/II(2004)002.
[11] La costituzione prevede inoltre che tutti i diritti civili, politici, sociali e culturali sono garantiti indipendentemente dall’appartenenza etnica, e che tutti possono liberamente associarsi per proteggere o promuovere i propri obiettivi sociali, economici, politici, nazionali e culturali (art. 44). Inoltre, tutti hanno accesso alle cariche e ai servizi pubblici (art. 12) ed è garantita la libertà religiosa (art. 41). Cfr. J. Marko, Die rechtliche Stellung der Minderheiten in Kroatien, in J.Abr. Frowein, R. Hofmann, S. Oeter (Hrsg.), Das Minderheitenrecht europäischer Staaten, vol. 2, Berlin et al., 1994, p. 88 ss.
[12] Ustavni zakon o pravima nacionalnih manjina, in Gazzetta ufficiale (Narodne Novine) 155/2002. V. supra, nota (8).
[13] Scritta tra l’altro con il fondamentale contributo della Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d’Europa (c.d. Commissione di Venezia).
[14] Circa il 12%, contro lo 0,5%, ad es., di italiani. Nessun’altra minoranza raggiungeva l’1% della popolazione.
[15] Confrontando i censimenti del 1991 e del 2001 si ricava in particolare come a livello nazionale il gruppo croato fosse del 72% nel 1991 e del 90% un decennio dopo, mentre la popolazione della minoranza serba è passata dal 12% del censimento del 1991 al 7,4% nel 2001. Stime attuali indicano che i serbi rappresentano oggi non più del 4,5% del totale della popolazione croata. Tra i due censimenti i serbi sono diminuiti del 65%, ma in generale sono calate tutte le altre minoranze (montenegrini -49%, sloveni -41%, macedoni -32%, ruteni -28%, ungheresi -25%, ucraini -20%, slovacchi -15%, italiani -7%, bosgnacchi/musulmani -7%), con la sola eccezione dei Rom, degli albanesi e dei tedeschi. Cfr. ufficio croato di statistica www.dzs.hr/.
[16] Legge costituzionale sui diritti umani e le libertà e sui diritti della comunità o minoranze etniche e nazionali nella Repubblica di Croazia, in Gazzetta ufficiale 65/1991 e successive modifiche (e sospensioni).
[17] Carta dei diritti dei serbi e di altre nazionalità nella Repubblica di Croazia, in Gazzetta ufficiale 31/1991.
[18] V. risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa n. 1185/1999.
[19] Cfr. C. Casonato, La rappresentanza politica, cit., supra, nota ( 8).
[20] Ad esempio, nella sua opinione del 2000, la Commissione di Venezia ebbe ad affermare che le proposte di modifica della legge costituzionale del 1991 «non sembrano offrire risposte adeguate ai bisogni politici della minoranze in Croazia». Così la Commissione di Venezia, Opinion on the Croatian Constitutional Law Amending the Constitutional Law of 1991, 16-6-2000, CDL-INF (2000) 10.
[21] Ad es. la legislazione in materia di liberà di associazione, di telecomunicazioni, di elezioni, ecc. Tra le norme principali a tutela delle minoranze nell’ordinamento croato si possono segnalare, in particolare, la legge sui nomi propri del 1992, la legge sulla radiotelevisione del 1992 (e successive modificazioni nel 1998, nel 2001 e nel 2003) e soprattutto la legge sull’educazione nelle lingue delle minoranze nazionali del 2000 (zakon o odgoju i obrazovanju na jeziku i pismu nacionalnih manjina, in Gazz. uff. 51/2000), su cui si tornerà.
[22] La definizione contenuta all’art. 5 si basa tuttavia sulla classica elaborazione di Capotorti risalente agli anni ’70, e stabilisce che è una minoranza nazionale «un gruppo di cittadini croati i cui membri sono tradizionalmente insediati nel territorio della Repubblica di Croazia, che hanno caratteristiche etniche, linguistiche, culturali e/o religiose differenti da quelle di altri cittadini e che desiderano preservare tali caratteristiche». L’introduzione di questo criterio definitorio crea tuttavia, almeno sotto il profilo formale, una contraddizione rispetto al preambolo della costituzione: il preambolo contiene infatti un elenco di minoranze riconosciute (ora esteso dopo le riforme del 1997 e del 2001, ma comunque sempre potenzialmente “chiuso”), mentre la legge costituzionale del 2000 contiene un criterio procedurale e dunque introduce il principio del catalogo “aperto” delle minoranze nazionali riconosciute o riconoscibili nell’ordinamento croato. Diffusamente sul punto A. Petri?uši?, op. cit., p. 612.
[23] In vigore dal 1998 (ETS 157), su cui per tutti, in lingua italiana, S. Bartole, La Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/1997, p. 567 ss.
[24] La Croazia ha ratificato la Convenzione nel 1997. Cfr. M. Mancini, La tutela della minoranza italiana in Slovenia e Croazia: lo stato dei rapporti internazionali, in V. Piergigli (a cura di), L’autoctonia divisa, cit., p. 263 ss.
[25] Per queste considerazioni cfr. in via generale il contributo di V. Piergigli in questo stesso volume.
[26] L’esempio più emblematico è rappresentato dall’art. 11, 3° comma, della Convenzione-quadro per la Protezione delle Minoranze Nazionali del Consiglio d’Europa del 1995, che recita: «In areas traditionally inhabited by substantial numbers of persons belonging to a national minority, the Parties shall endeavour, in the framework of their legal system, including, where appropriate, agreements with other States, and taking into account their specific conditions, to display traditional local names, street names and other topographical indications intended for the public also in the minority language when there is a sufficient demand for such indications» (evidenziazioni aggiunte). Lo stesso rapporto esplicativo “ufficiale” della Convenzione ribadisce che «this provision does not imply any official recognition of local names in the minority languages» (cfr. Council of Europe, Framework Convention for the Protection of National Minorities. Collected Texts, Strasbourg, 3rd ed., 2005, p. 29). Analogo ma più diretto il punto 3 delle Raccomandazioni di Oslo dell’Alto Commissario OSCE delle minoranze nazionali sui diritti linguistici delle minoranze (1998): «In areas inhabited by significant numbers of persons belonging to a national minority and when there is sufficient demand, public authorities shall make provision for the display, also in the minority language, of local names, street names and other topographical indications intended for the public» (evidenziazioni aggiunte). Tutti questi documenti sono ora rinvenibili in: OSCE/Council of Europe, National Minority Standards. A compilation of OSCE and Council of Europe texts, Strasbourg, 2007.
[27] Su cui, con ulteriori riferimenti, M. Mancini, La tutela della minoranza italiana in Slovenia e Croazia, cit., p. 268.
[28] Ai sensi dell’art. 3 della legge sull’autogoverno locale e regionale del 2001 per «unità locali» devono infatti intendersi comuni e città.
[29] Ricorda I. Di Carlo, op. cit., che proprio sul punto si sono avuti conflitti, a causa del riconoscimento della co-ufficialità dell’italiano in alcuni comuni in cui il gruppo italiano non risultava in maggioranza.
[30] La lingua e l’alfabeto minoritari non possono essere utilizzati ad es. nei confronti degli organi centrali dell’amministrazione statale, delle corti commerciali, del tribunale amministrativo, della Corte Suprema, della Corte costituzionale.
[31] Lo stesso vale nei confronti di altri trattati internazionali ratificati dalla Croazia. Più diffusamente sul punto M. De Ciuceis, L’uso della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’amministrazione della giustizia, in V. Piergigli (a cura di), L’autoctonia divisa, cit., spec. p. 342.
[32] Per quanto riguarda la dimensione regionale, infatti, la couffcialità di una lingua minoritaria, stabilita nello statuto regionale, riguarda solamente gli organismi regionali «che svolgono attività nell’interesse dell’autogoverno» (art. 8). Più in dettaglio, la legge del 2000 stabilisce che nei comuni, nelle città e nelle regioni, dove è in uso ufficiale paritetico la lingua e la scrittura della minoranza nazionale, l’attività dei consigli comunali e cittadini, delle giunte comunali, nonché delle assemblee e delle giunte regionali viene svolta in lingua croata ed in caratteri latini, oltre che nella lingua e nella scrittura degli appartenenti alla minoranza nazionale. L’art. 9 prevede che i comuni, le città e le regioni in cui vige l’uso ufficiale paritetico della lingua e della scrittura della minoranza nazionale garantiscono ai cittadini il diritto ai documenti pubblici bilingui o plurilingui e la stampa bilingue o plurilingue dei moduli ad uso ufficiale. L’art. 13 stabilisce che nei comuni, città e regioni dove vige l’uso ufficiale paritetico anche della lingua e della scrittura della minoranza nazionale, il primo atto scritto del procedimento viene inviato alla parte in lingua croata e carattere latini e in lingua e scrittura in uso ufficiale e paritetico della minoranza nazionale. Ancora, l’art. 24 prevede che se il comune, la città e la regione non deliberano con lo statuto l’uso della lingua e della scrittura della minoranza nazionale o se decidono in contrasto alle disposizioni della legge in parola, il dirigente dell’organismo centrale dell’amministrazione statale sospende l’attuazione dello statuto, o di sue singole disposizioni, dispone l’applicazione diretta della legge e presenta al Governo una proposta di apertura del procedimento di valutazione della costituzionalità e legalità dello statuto o di un altro atto generale del comune, della città, della regione.
[33] Ai sensi dell’art. 6 della legge del 2000, lo statuto del comune può prevedere l’equiparazione della lingua minoritaria al croato soltanto in alcuni quartieri. In tal caso, non tutta l’amministrazione sub-comunale può essere bilingue, ma lo diventano senz’altro la toponomastica e l’odonomastica.
[34] Il raccordo tra la legge costituzionale generale del 2002 e la legge sulla lingua e l’alfabeto delle minoranze del 2000 è costituito dall’art. 7 della legge costituzionale del 2002, che fa salvi i diritti contenuti in leggi speciali. La legge del 2000 viene dunque definita in rapporto di specialità (lex specialis) rispetto alla legge costituzionale del 2002.
[35] Per questa categoria concettuale v. R. Toniatti, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. Bonazzi, M. Dunne (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994, p. 273 ss.
[36] Cfr. C. Pan, Die Minderheitenrechte in Kroatien, in C. Pan, B.S. Pfeil (Hrsg.), Minderheitenrechte in Europa. Handbuch der europäischen Volksgruppen, vol. 2, Wien et al., 2006, p. 217.
[37] In base al censimento del 2001, la consistenza numerica degli italiani in Croazia è di 19.636 membri. La regione in cui è maggiormente presente la minoranza italiana è l’Istria con 14.284 membri. Segue quella di Primorje-Gorski Kotar con 3.539 membri e infine la regione di Požega-Slavonia che conta 788 membri. In particolare la maggioranza di italiani si trova nei comuni di Buie (5.528), Pola (5.375), Rovigno (2.169), Fiume (3.330) e Pakrac (869). L’espressione “Istria croata” intende riferirsi solo alla parte della regione geografica dell’Istria appartenente alla Repubblica di Croazia (e in questo senso si parla di “Istria” nel presente contributo). È infatti ben noto che l’Istria geografica è una regione divisa tra tre Stati: la Croazia, la Slovenia (comuni di Pirano, Isola e Capodistria) e l’Italia (il solo comune di Muggia).
[38] Per dettagliate ricostruzioni ed ulteriori riferimenti si vedano M. De Ciuceis, op. cit., spec. p. 344 ss. e G. Poggeschi, Le minoranze nazionali nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, in E. Pföstl (a cura di), Valorizzare le diversità, cit., spec. p. 232 ss.
[39] Cfr. sentenza U-II-433/1994. V. sulla vicenda anche V. Piergigli, Lo statuto istriano e il bilinguismo al vaglio delle autorità croate, in Quad. cost., 2001, p. 630. V. anche infra, § 3.
[40] Cfr. M. De Ciuceis, op. cit., p. 346.
[41] M. Seppi, op. cit., p. 400.
[42] V. Piergigli, op. ult. cit., p. 631.
[43] Recita infatti l’art. 6 dopo la modifica del novembre 2001: «Nella Regione istriana la lingua croata e quella italiana sono equiparate nell’uso ufficiale per quello che concerne il lavoro degli organi regionali nell’ambito dell’autogoverno locale».
[44] M. De Ciuceis, op. cit., p. 348.
[45] La disposizione citata prevede il bilinguismo «nello scrivere, con lettere della stessa grandezza, le tabelle degli organismi rappresentativi, esecutivi ed amministrativi della Regione, come pure delle persone giuridiche che hanno autorizzazioni pubbliche».
[46] Ai sensi dell’art. 26 «su parte o su tutto il territorio dei comuni e delle città della regione istriana nei quali risiedono gli appartenenti alla comunità nazionale italiana, conformemente ai loro statuti, le lingue croata e italiana sono equiparate nell’uso ufficiale». Come si vede, si tratta della riproposizione della legislazione nazionale, in particolare del criterio enunciato all’art. 6 della legge del 2000 sull’uso della lingua e dell’alfabeto delle minoranze.
[47] Ed è per questo talvolta criticata da osservatori indipendenti Cfr: ad es., sia pure in via generale, il rapporto del Croatian Helsinki Committee, Report on the implementation of the Framework Convention of Council of Europe on the Protection of Minorities in Republic of Croatia (sic!, così espressamente in inglese…) del 1999, reperibile all’indirizzo http://www.minelres.lv/reports/croatia/NGO/croatia_NGO.htm
[48] Per i testi degli statuti cfr: http://dev.eurac.edu:8085/mugs2/do/browse.
[49] Lo stesso preambolo dello statuto istriano si apre con il richiamo a «l’Istria, comunità plurietnica, pluriculturale e plurilingue»; cfr. G. Poggeschi, op. cit., p. 233. Il fatto che tale disposizione sia stata introdotta nel 1994, in un contesto normativo (e politico) che non l’avrebbe consentita, mostra il risvolto “positivo” della medaglia della frammentazione dei diritti linguistici affidati al solo ambito comunale, perché tale frammentazione finisce di fatto per allentare le maglie di una legislazione (allora) a vocazione repressiva.
[50] In particolare, i rapporti del Comitato consultivo istituito dalla Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali sono stati definiti «soft jurisprudence» da J. Packer, Situating the Framework Convention in a wider context: achievements and challenges, in Council of Europe (ed.), Filling the Frame. Five years of monitoring the Framework Convention for the Protection of National Minorities, Strasbourg, 2004, p. 45.
[51] Per più dettagliate analisi sul punto sia consentito il rinvio a F. Palermo, Domestic Enforcement and Direct Effect of the FCNM, in A. Alen, B. de Witte, P. Lemmens, A. Verstichel (eds.), The Framework Convention for the Protection of National Minorities: A Useful Pan-European Instrument?, Antwerp, Intersentia (in corso di stampa).
[52] Sentenza U-II-433/1994, su cui v. supra, punto 2.3. e nota 37. Per dettagliate ricostruzioni cfr., in lingua italiana, V. Piergigli, Lo Statuto istriano e il bilinguismo al vaglio delle autorità croate, cit., p. 631, G. Poggeschi, op. cit., p. 232, .M. De Ciuceis, op. cit., p. 348, M. Seppi, Lo Statuto istriano. Vecchie e nuove problematiche, in V. Piergigli (a cura di), L’autoctonia divisa, cit., p. 383 ss. e Osservatorio sui Balcani, Istria: tra Croazia ed Europa, http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/140 (2001).
[53] V. Piergigli, L’Europa centro-orientale e la tutela minoritaria: il “posto” della Slovenia e della Croazia, in V. Piergigli (a cura di), L’autoctonia divisa, cit., p. 487.
[54] Corte costituzionale, sent. U-III-322/1999 (decisa nel 2001).
[55] Corte costituzionale, sent. U-I-732/1998 (12 aprile 2001, Gazzetta ufficiale 36/2001).
[56] Cfr. in tal senso, con ancora maggiore decisione, la sentenza della Corte costituzionale del 17 settembre 2003, U-I/1681/2003. In questo caso si trattava di un ricorso presentato dall’unione italiana e dal consiglio nazionale serbo nei confronti della legislazione elettorale.
[57]http://www.coe.int/t/e/human_rights/minorities/2._framework_convention_(monitoring)/2._monitoring_ mechanism/3._state_reports_and_unmik_kosovo_report/1._first_cycle/1PDF_1st_SR_Croatia.pdf (ACFC/SR(1999)005 del 16.3.1999).
[58] Si legge ad esempio nel rapporto che i dati statistici relativi alle minoranze (allora risalenti al 1991) sono complessivamente poco indicativi della situazione reale in quanto nel frattempo vi è stata «the aggression on Croatia in 1991, the occupation of one quarter of its territory, genocide, ethnic cleansing of all the non-Serbian population, Croats as well as members of national minorities such as Hungarians, Slovaks, Czechs, Ruthenians, Ukrainians, Romanies, Germans, Austrians and others. Non-Serbian inhabitants were either killed or forcibly driven out from their centuriesold habitat» (p. 1). Questo linguaggio si protrae per tutto il rapporto, e tende in tutta evidenza a giustificare la non applicazione effettiva dei diritti allora previsti, in base alla duplice premessa dell’aggressione serba e della conseguente situazione di emergenza per l’unità della Croazia.
[59]http://www.coe.int/t/e/human_rights/minorities/2._framework_convention_(monitoring)/2._monitoring_ mechanism/3._state_reports_and_unmik_kosovo_report/2._second_cycle/1PDF_2nd_SR_Croatia.pdf (ACFC/SR/II (2004)002 del 13.4.2005).
[60] Con quella che appare quasi una esplicita smentita del primo rapporto, nel secondo si legge infatti: «since the First Report on the implementation of the Framework Convention, national minority rights have been greatly improved, especially in the legislative sphere and in exercising their right to their own culture and language» (p. 1).
[61] Il Comitato dei ministri afferma nella sua prima risoluzione sulla Croazia del 6 febbraio 2002 che «in particular at the local level, some authorities appear reluctant to implement measures to remedy the negative consequences of discriminatory practices and other minority-related problems that occurred in the past to ensure that such problems do not occur in today’s Croatia» (ResCMN(2002)1, sub 1).
[62] Ai sensi del Preambolo della Costituzione nella versione del 1997 e dell’art. 5 della legge costituzionale del 2002.
[63] Art. 7 della legge costituzionale del 2002.
[64] Art. 10 della legge costituzionale del 2002.
[65] Secondo il principio contenuto all’art. 12 della costituzione come specificato dall’art. 10 della legge sulle lingue e gli alfabeti delle minoranze del 2000.
[66] In particolare, per la minoranza italiana, il trattato bilaterale del 1996 e, in quanto applicabili, le disposizioni del trattato di Osimo del 1975 e del Memorandum del 1954.
[67] Art. 12 della legge costituzionale del 2002.
[68] Art. 10, 1° comma, della legge del 2000.
[69] Art. 10. 2° comma, della legge del 2000.
[70] Art. 13 della legge costituzionale del 2002.
[71] A parte il potere di indicare nel proprio statuto il regime di co-ufficialità, da attuarsi comunque in ambito comunale, l’attuale statuto consente alla regione istriana di promuovere la tutela dei toponimi originali, attraverso l’istruzione della conoscenza dell’ambiente sociale in cui la minoranza si è trovata (art. 21, 2° comma), di emanare prescrizioni atte a tutelare i toponimi (art. 14 punto 3) e prevedere il bilinguismo nelle tabelle degli organismi rappresentativi, esecutivi ed amministrativi della regione, come pure delle persone giuridiche che hanno autorizzazioni pubbliche (art. 25, 1° comma).
[72] Cfr. V. Piergigli, L’Europa centro-orientale, cit., p. 469 ss. e G. Poggeschi, op. cit.
[73] Tra queste, in particolare, il definitivo assestamento di un sistema compiutamente promozionale in tema di rappresentanza politica. Ad esempio, le azioni positive previste in materia elettorale in particolare dall’art. 15 della legge costituzionale del 2002 si scontrano ancora con la vecchia prassi che continua ad imporre il voto alternativo per le elezioni generali o per quelle dei rappresentanti delle minoranze. In questo modo, la partecipazione politica degli appartenenti alle minoranze, per quanto configurata in modo estremamente generoso nella legge costituzionale, con sistemi di quote e seggi riservati, risulta nei fatti fortemente limitata perché chi vota per i candidati delle minoranze è ancora escluso dal diritto di voto generale. Cfr. sul punto il secondo rapporto dell’Advisory Committee del Consiglio d’Europa (ACFC/SR/II (2004)002 del 13.4.2005), cit., p. 33.
[74] Diffusamente e con ampi riferimenti L. Appicciafuoco, Integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione europea e principio di condizionalità, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2007, p. 537 ss..