Scritto da Milka Tadic Mijovich, «Monitor» (Podgorica – Montenegro), 23/12/10
Come in un film poliziesco, [il 10 dicembre] l’ex primo ministro croato Ivo Sanader è stato arrestato in Austria su mandato di arresto emesso dal suo paese. Adesso aspetta la sua estradizione nella prigione di Salisburgo e si dice pronto a rispondere alle accuse di corruzione. Un paio di giorni prima del suo arresto, subito prima che il parlamento gli togliesse l’immunità, Sanader era fuggito dalla Croazia e pensava di “assistere” al suo processo dagli Stati Uniti. Ma il piano è fallito perché gli americani hanno annullato il suo visto e gli “amici” austriaci lo hanno arrestato. Eppure solo un anno fa Washington e Vienna ne parlavano in termini entusiastici. Il vincitore delle ultime elezioni in Kosovo, il premier Hashim Thaçi, non ha neanche avuto il tempo di festeggiare. Il giorno dopo il suo successo elettorale, il relatore del Consiglio d’Europa, Dick Marty, noto per aver indagato sulle prigioni segrete della Cia in Europa, ha pubblicato un rapporto in cui indica Thaçi come il capo di un’organizzazione mafiosa, responsabile di traffici d’armi e di droga e addirittura di traffico di organi.
Le accuse di Marty fanno seguito alle rivelazioni pubblicate da Carla Del Ponte, l’ex procuratore del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, nel suo libro La caccia. Negli anni novanta Thaçi, in qualità di capo del gruppo di Drenica [che riuniva alcuni responsabili dell’Uck, l’Esercito di liberazione del Kosovo], avrebbe organizzato dei rapimenti e inviato i prigionieri in Albania, dove sarebbero stati sottoposti all’espianto di organi. Nei Balcani la vita spesso è più terribile che in un film dell’orrore, come se i crimini e le guerre degli anni novanta non fossero bastati. Nella maggior parte dei paesi della regione si sono instaurati sistemi basati sulla cleptocrazia, sul crimine organizzato e su un sedicente patriottismo. Tra le rovine del vecchio stato unitario sono emerse strane élite, il cui posto avrebbe dovuto invece essere la prigione o il manicomio.
Il potere senza limiti di queste classi dirigenti si basa su una ricchezza spropositata. I dirigenti della regione, da Zagabria a Pristina, hanno messo nelle loro tasche e in quelle dei loro amici le risorse nazionali. Il loro enorme potere è stato rafforzato da un esercito di propagandisti molto attivi sui media e nelle facoltà di storia e di scienze politiche dell’università. Questi uomini hanno descritto i loro dirigenti nazionali come dei messia, e hanno definito criminali i loro oppositori e i testimoni dei loro misfatti. La popolazione impoverita non ha fatto altro che approvare con i suoi voti la menzogna secondo la quale i liberatori arrivati al potere erano gli unici protettori di questi stati esposti a innumerevoli minacce. Indubbiamente la comunità internazionale ha una grande responsabilità nel caos che regna oggi nei Balcani. «Ho riletto i documenti segreti degli analisti occidentali su Thaçi con orrore e vergogna», scrive Marty. L’occidente sapeva, ma aveva puntato tutto su Thaçi. Il suo rapporto mette in evidenza quello che i diplomatici ammettevano in privato: in Kosovo l’occidente ha favorito la stabilità a scapito della giustizia, scrive l’agenzia Reuters in un articolo. Come se fosse possibile la stabilità senza la giustizia! I diplomatici di Podgorica che hanno elogiato pubblicamente Milo Djukanovic [il primo ministro ed ex presidente montenegrino si è dimesso il 21 dicembre] ammettono in privato che il sistema politico del Montenegro è più simile a quello del Kosovo che della Croazia. Oggi Djukanovic sarebbe ben contento se il principale problema del suo governo fossero le accuse mosse a Sanader, cioè i rapporti illeciti con la società di marketing di una sua amica o i crediti accordati ai suoi amici dalla Hypo Alpe Adria [la banca austriaca sospettata di essere implicata in diversi casi di corruzione].
Vent’anni di ruberie
Ma torniamo all’analogia con Thaçi. Per fortuna in Montenegro non c’è stato traffico di organi, ma si eccelleva in tutti gli altri tipi di traffico. Si facevano letteralmente affari con il diavolo. Dopo il contrabbando di sigarette, il Montenegro infatti è diventato il crocevia del traffico dell’eroina e della cocaina. In venti anni di potere quasi ininterrotto il nostro primo ministro si è impadronito, con i suoi partner e la sua famiglia, delle risorse economiche del paese e si è lanciato in progetti molto dubbi, come la privatizzazione del Combinat di alluminio di Podgorica o della Prva Banka [di proprietà de Aco Djukanovic, il fratello del primo ministro]. In un paese normale il solo caso della Prva Banka, che ha provocato il crollo del sistema finanziario del Montenegro, sarebbe bastato a mettere in prigione il primo ministro, i suoi fratelli e i suoi padrini. Ma l’ocidente è stato clemente e ha continuato sostenere Djukanovic. Bisognerebbe rendersi conto che la maggiore minaccia per la stabilità dei Balcani non sono i conflitti etnici, ma il crimine organizzato. A quanto pare l’occidente sembra finalmente deciso ad avviare un cambiamento radicale. Lo testimoniano il caso Sanader in Croazia, il rapporto del Consiglio d’Europa sul Kosovo e la condizione posta dall’Ue per aprire i negoziati con il Montenegro, cioè una lotta decisa contro la corruzione ai più alti livelli [il 17 dicembre il paese ha ottenuto lo status di candidato all’adesione]. Le grandi pulizie cominciate a Zagabria si estenderanno molto probabilmente anche al Montenegro. I vertici del potere e i loro soci in affari rischiano di ritrovarsi ben presto davanti alla giustizia per aver saccheggiato le finanze dello stato. Per cominciare, il capo dovrebbe andarsene. (traduzione italiana a cura di Andrea De Ritis)