Scritto da Predrag Matvejevic
L’Europa e l’altra Europa non riescono ad avvicinarsi realmente l’una all’altra, e ancor meno a unificarsi. Si diffonde il timore che il futuro possa somigliare al passato, a un passato non tanto lontano, il peggiore, che ricordiamo con angoscia. Sul finire del primo decennio del terzo Millennio, l’Europa, l’America e gran parte del resto del mondo sono sorprese da eventi evidenti, che quasi nessuno poteva prevedere nei paesi detti dell’Est: una grande crisi ciclica si è allargata e banalizzata, una delle più gravi degli ultimi cent’anni continua a manifestarsi nella società e nell’ economia ad un tempo all’Est e all’Ovest, assediando la politica e la cultura, generando situazioni che non avevamo potuto immaginare: una invasione degli eventi che non riusciamo a controllare né, soprattutto, a bloccare. Chi poteva immaginare, solo una decina di anni addietro, che il cosiddetto capitalismo finanziario avrebbe messo in pericolo l’esistenza del capitalismo stesso? Che avrebbe snudato le sue contraddizioni, interne ed esterne, esponendolo allo sguardo critico fino al punto in cui siamo arrivati? Lo stesso vale per un neoliberalismo costretto a rinunciare a varie forme di liberalizzazione sulle quali fino a ieri giurava, e che gli erano servite come marche depositate; o per un sistema bancario che frena il funzionamento delle stesse banche; per una buona parte dell’Europa che soffre di euroscetticismo; una specie di capitalismo selvaggio oggi invade i paesi che fino a ieri erano considerati come anticapitalisti.
L’antidoto derivante dalla paura degli stessi consumatori blocca la febbre dei consumi. Il cosiddetto sviluppo sostenibile ha relativizzato fino agli estremi le proprie “sostenibilità” e cioè la sua natura o l’ autenticità. La crisi spinge i più poveri a sostenere i possessori delle ricchezze, siano essi di destra o addirittura di sinistra, pur di conservare il posto di lavoro in pericolo o di ottenerlo – per mantenere un livello di vita normale o quanto meno più adeguato, o almeno l’apparenza di un siffatto tenore di vita. Brecht scrisse che fondare una banca è un crimine più grave di quello che si commette svaligiandola. Oggi, invece, molti dei poveri hanno paura di quello che accadrebbe se una banca fallisse portando alla rovina i suoi azionisti-proprietari e alla perdita delle azioni che conserva. «Lavoro, lavoro!» – diventa quasi una litania. Siamo di fronte all’ inversione dei valori nei quali molti credevano e per i quali si sono sacrificati. Da lungo tempo, ormai, la politica ha perso alcune delle più rilevanti referenze culturali. Evita persino di stimolare la nascita di una qualche cultura politica positiva. Gli intellettuali sono dispersi, operano sparpagliati, quasi sempre rinchiusi in circoli ristretti, nei propri ambienti e nelle esclusive competenze. I singoli intellettuali non riescono ad unirsi ed operare insieme; i detentori del potere per lo più li ignorano o li costringono a dedicarsi a se stessi.
Fatte le solite eccezioni, la voce degli intellettuali si fa poco sentire nella società al momento del varo di decisioni; e troppo poco viene rispettata quando riesce a farsi sentire. Il “dissenso” di una volta, che osava rischiare tanto durante i regimi staliniani e post-stalinisti, non opera più. L’intellettuale critico è condannato alla solitudine. Le tecnologie e le loro svariate applicazioni, digitali ed altre, conservano l’ apparente capacità di sostituire la vecchia cultura e i suoi metodi superati, obsoleti: di essere di per sé cultura e non, invece, una sua derivazione. Le cause e le conseguenze finiscono così per invertirsi e non riescono a determinarsi le une rispetto alle altre. In tale contesto bisognerebbe determinare anche il ritmo degli stessi avvenimenti. Abbiamo già visto che la cosiddetta globalizzazione è andata avanti strisciando, serpeggiando lentamente, scontrandosi con tutta una serie di ostacoli e un intreccio di diffidenze. La crisi, invece, si è estesa rapidissimamente e in maniera diretta, coprendo in brevissimo tempo l’ intero pianeta. Potremo, mi chiedo, e in che modo controllare questo ritmo degli avvenimenti e indirizzarlo nella direzione favorevole all’ enorme maggioranza dell’ umanità? Ci chiediamo pure: che cosa succederà quando riusciremo finalmente ad uscire del tutto dalla crisi di cui stiamo parlando? Da dove, da quale punto partiremo e in che direzione ci muoveremo? Quale sarà il nostro primo passo? Come riconquisteremo la fiducia per poter andare avanti? Nell’ epoca che stiamo vivendo e con i problemi che ci assillano le domande sono molto più numerose delle risposte che ci vengono date. Le risposte che ascoltiamo e leggiamo ci soddisfano poco. In ogni caso raramente sono incoraggianti. Dopo tutto quello che ha sofferto la nostra civiltà siamo diventati meno ingenui, più critici o ironici, e questa è una delle rare conquiste positive nel nostro misero bilancio. E non solo all’ st. Ex oriente lux? Non scherziamo. L’ Occidente è stanco di se stesso. Fissa lo sguardo sulla sua sorte. Forse deve essere così. (Traduzione di Giacomo Scotti)
Fonte: «La Repubblica», 15/06/10.