Scritto da Ivone Cacciavillani
Non so se a qualcuno sia capitato d’andare in crisi a ricevere una rivista; a me capitò con l’ultimo numero di «Coordinamento Adriatico», trimestrale di cultura e informazione dell’altra sponda veneta, quella istriana. Riprendo alla lettera l’episodio: a Brdo, vicino a Lubiana, era indetta la riunione dei ministri degli Esteri di Italia e Slovenia per coordinare la politica culturale tra i due Paesi: alla cerimonia non venne ammesso il rappresentante dell’Unione Italiana, Radin, perché nativo di Pola. «In conseguenza della dissoluzione della Jugoslavia, poiché il confine di Stato tra Slovenia e Croazia avrebbe separato la Comunità italiana dell’Istria, nel 1992 venne redatto un Memorandum d’intesa fra Croazia, Slovenia e Italia sulla tutela della minoranza italiana, col riconoscimento dell’Unione Italiana come unica organizzazione che la rappresenta in entrambi gli Stati. Il Memorandum non è mai stato sottoscritto dalla Slovenia, la quale ha sempre opposto molta resistenza alla presenza dell’Unione Italiana, da ultimo con l’esclusione del signor Radin. L’episodio non può lasciare indifferenti noi Veneti, anche solo a guardare la carta geopolitica dell’Istria: Capodistria, Isola, Pirano in territorio sloveno; Rovigno e Pola in Croazia.
Città che sotto il profilo storico, culturale e architettonico sono almeno altrettanto venete di Monselice, Legnago o Agordo. Ecco la colpa e la crisi culturale: le abbiamo rimosse, un fatto altrui. Profughi e Foibe sono archiviati, cancellati come brutti ricordi. Una macchia per la cultura veneta. Basti scorrere i dieci monumentali volumi (oltre ottocento pagine cadauno) di Storia della Cultura Veneta pubblicati a Vicenza negli anni Ottanta, in cui s’è cimentata la crema degli storici veneti e non: invano si cercherebbe un cenno alla cultura veneto- istriana, che ci fu e fu imponente, come testimoniano — per non fare che un solo esempio, maè soltanto uno scampolo— i tre ponderosi volumi degli Atti del Convegno di Rovigno del 1972. Si fa un gran parlare di radici cristiane del Veneto, ma il Leone alato ruggisce proprio invano. Perché non si scoprono le radici venete dell’altro Veneto, quell’Istria che per secoli fu Venezia (basti ricordare che la base della flotta da guerra della Serenissima fu Pola). Nessuna rivendicazione territoriale ovviamente — sarebbe sciocco anche solo parlarne— ma comunione culturale fraterna; parlare e parlarci con i fratelli «di là»; un gemellaggio organico d’iniziative culturali; un programma concordato di celebrazioni e di rievocazioni. Un ricordarsi di loro. Tentare di entrare come Regione nell’Unione Italiana o almeno farcisi rappresentare organicamente dal nostro ministro degli Esteri; non tollerare che il signor Radin sia estromesso della cerimonia tra Italia e Slovenia solo perché polano. Tra tanti ministri che variamente sfilano in Laguna, qualcuno convochi Frattini a parlarci della nostra partecipazione alle vicende istriane. Potrebbe anche essere un suggestivo tema di programma elettorale per il prossimo governatore (sempre che usi ancora parlare di programmi).
Fonte: «Corriere della Sera-Veneto», 17/03/10.