Scritto da Marcello De Angelis, «Il Tempo», 11/02/14
martedì 11 febbraio 2014
Nel 1996 Galli della Loggia scrisse il saggio intitolato «La morte della Patria». Si trattava di un appello a liberarsi finalmente delle ipocrisie e delle menzogne che dalla fine della Guerra avevano tenuto gli italiani prigionieri di una narrazione di sé che non aveva alcun nesso con la realtà storica e un invito a tutti perché si desse alla Patria una nuova nascita.
La morte della Patria aveva una data specifica ed era l’otto settembre 1943, una data simbolo per il collasso morale e istituzionale della nostra nazione, per decenni innalzata invece a momento di grande valenza perché segnò secondo alcuni l’inizio della fine anche per il Fascismo. A posteriori e al di là delle letture più faziose, dell’otto settembre resta solo il ricordo di quello che Renzo De Felice definì uno «sciopero morale». Uno sciopero da cui, purtroppo, sembra che l’Italia non sia mai riuscita a riprendersi. Lo sciopero dell’otto settembre iniziò infatti dagli alti ranghi, dagli ufficiali e dai rappresentanti delle istituzioni e da lì sbrodolò giù giù fino ad affogare la dignità e l’orgoglio di quelli che da quella «classe dirigente» si aspettavano l’esempio e la guida etica. Difficile dire che in Italia da allora qualcosa sia cambiato. Basta leggere la cronaca. Senza patriottismo non c’è lotta all’evasione, né responsabilità sociale, né solidarietà.
Quando non c’è la Patria non c’è l’orgoglio nazionale, anzi, come in quel non lontano otto settembre, si tifa per la sconfitta del proprio esercito, della propria economia o persino della propria squadra. Si consegnano i propri soldati in mani ostili senza garanzie e senza difesa. E si negano le grandi tragedie che da sempre unificano nel ricordo della sofferenza e dell’ingiustizia subìta tutti gli appartenenti ad un popolo e ne tengono vivo l’amore per la propria nazione, nata dal sacrificio e dal sangue dei martiri.
Ieri, giorno del ricordo per i martiri delle Foibe, il GrRai ha scelto di far raccontare l’evento dalla portavoce di quei partigiani che settant’anni fa preferirono mettersi agli ordini di Tito. Come se nel giorno della memoria a qualcuno venisse in mente di farsi raccontare la Shoa dal presidente dei reduci delle Ss. La signora interpellata ha assicurato agli ascoltatori che i numeri ufficiali sono esagerati e che si è fatto un gran clamore per nulla, che i problemi odierni dell’Italia sono altri e non si dovrebbe perdere tempo con queste storie. Il tutto, senza contraddittorio, sulla radio del servizio pubblico. Intanto, vediamo scorrere da giorni le immagini di due soldati che i nostri governi hanno consegnato in mani ostili e da due anni aspettano di sapere se dovranno o meno essere impiccati da un boia indiano per aver difeso una nave italiana indossando l’uniforme della marina italiana. Forse la Patria non è morta, ma senza dubbio va liberata.