Scritto da Andrea Marsanich
A 21 anni dalla chiusura del penitenziario dell’Isola Calva (Goli otok in croato), nulla è ancora dato sapere sul riutilizzo delle strutture che dal 1949 al 1956 costituirono il peggiore degli incubi per gli oppositori del regime jugoslavo di titina memoria. Da lager tristemente famoso, con decine e decine di dissidenti scomparsi e di cui non si seppe mai più nulla, l’Isola Calva fu trasformata nel ‘56 in un istituto penale e di rieducazione per detenuti comuni, che finalmente venne chiuso nel 1988, per la gran soddisfazione dell’opinione pubblica e delle emergenti forze democratiche nell’allora Jugoslavia. In tutti questi anni, sono nati e successivamente tramontati diversi progetti di valorizzazione di questa specifica e rocciosa isoletta nordadriatica, posizionata tra Arbe e la terraferma, spazzata sovente dall’ ululante bora del Velebit (Alpi Bebie) e disabitata. Dopo avere ospitato per decenni tantissimi prigionieri, per i quali l’idea dell’evasione era solo una mortale tentazione (proibitive, date le correnti marine, le condizioni per raggiungere a nuoto la salvezza), l’Isola Calva è continuata ad essere un luogo dannato, in cui nulla di positivo sembra poter attecchire. Tempo fa si era parlato di trasformare l’isolotto in un’area per discipline «no limits», con gli appassionati a cimentarsi in mountain bike, free climbing e sport acquatici. Il progetto degli sport estremi era apparso molto suggestivo, qualcuno aveva mosso i primi passi, ma poi il piano si è arenato per motivi finanziari, finendo nel dimenticatoio.
Qualche anno fa, era spuntata l’iniziativa di fare dell’isola (superficie 4,7 chilometri quadrati) una zona venatoria, trapiantandovi logicamente specie alloctone, come cinghiali e daini. Un progetto fallito sul nascere, per l’opposizione degli stessi cacciatori arbesani e degli allevatori di ovini di Lopar, il comune di Arbe che amministra l’Isola Calva. Infatti, da più di 15 anni, pecore e agnelli sono tornati a pascolare sull’isola, ma le greggi non rappresentano ancora un’importante fonte economica per gli abitanti di Lopar, che posseggono, o meglio dire possedevano gran parte di questo enorme blocco di roccia, quasi privo di vegetazione e bagnato dalle acque quarnerine. Un paio d’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, i loparani dovettero cedere giocoforza i loro terreni allo stato jugoslavo, che li confiscò onde permettere la costruzione del campo di prigionia. «Molti di questi ex proprietari – così Alen Andreskic, sindaco della municipalità di Lopar – hanno denunciato lo stato croato, chiedendo di tornare in possesso dei loro beni. In seno all’amministrazione municipale, si è fatta largo l’idea di trasformare parte dell’isola Calva, ossia la zona chiamata Vela draga, in area della memoria, per ricordare le tantissime vittime, morte per torture, sfinimento o per non avercela fatta a scappare via mare. Il resto dell’isola dovrebbe essere adibito a scopi turistici. Si sa che date le condizioni ambientali e climatiche, non si possono progettare lunghe permanenze sull’isola Calva, che invece potrebbe rispondere bene al turismo ”mordi e fuggi”, l’escursione di un giorno, con visita guidata. Purtroppo – ha concluso Andreskic – le strutture dell’ex lager e i due porticcioli sono parecchio devastati e ci sarebbe dunque bisogno di congrui investimenti, che in questo momento non si vedono però all’orizzonte».
Fonte: «Il Piccolo», 13/07/09.