Liliana Martissa – Kirsanov

Scritto da Liliana Martissa
martedì 10 giugno 2014

Racconta Sergio Romano in risposta a una lettera sul Corriere della Sera del 11 ottobre 2009 di una sua esperienza in Russia quando, ricercando i resti di militari italiani dispersi durante la seconda guerra mondiale, di imbatté casualmente in un cimitero militare italiano a Kirsanov, una cittadina della Russia sud occidentale a 95 chilometri dal capoluogo Tambov. Leggendo i nomi sulle tombe, si accorse poi, con stupore, che si trattava di soldati trentini della Grande Guerra!
Questa località ormai dimenticata è stata in realtà un importante punto di riferimento nella drammatica odissea dei soldati italiani delle province austro-ungariche, il Trentino e la Venezia Giulia, mandati a combattere per l’Imperatore Francesco Giuseppe in Galizia e sui Carpazi, fatti prigionieri (molti in seguito a diserzione) e detenuti in numerosi campi di concentramento dell’enorme impero zarista, nelle condizioni di vita più disparate.
Fame, freddo, tifo e altre malattie falcidiarono le loro file nell’apparentemente insensato pellegrinaggio da una località all’altra, in carri bestiame non riscaldati, talora anche all’addiaccio con temperature rigide (fino a 30 o 40 gradi sotto zero) che provocavano mutilazioni o morte per assideramento.
Si trattava per lo più di contadini e popolani poco acculturati che, pur sentendosi italiani, non manifestavano sentimenti irredentisti, solo una istintiva avversione verso i tedeschi. Erano soldati di leva che erano stati inquadrati in reggimenti, si potrebbe dire “regionali”, a seconda della loro provenienza, e che parlavano fra loro in dialetto (trentino, friulano, veneto).
Gli irredentisti veri e propri avevano già fatto la scelta di combattere contro l’Austria, arruolandosi volontari nei vari corpi del Regio esercito italiano, con il rischio di essere impiccati come disertori, se catturati (come accadde a Battisti, Filzi, Chiesa, Sauro), e con la preoccupazione delle rappresaglie della polizia asburgica nei confronti dei familiari, molti dei quali internati in varie province dell’Impero d’Austria.
Istriani e triestini che militavano invece nell’esercito austroungarico facevano parte per lo più di quel reggimento di fanteria n. 97 che, allo scoppio della guerra, era stato fatto passare per Trieste, forse per accendere un sentimento di patriottismo nella popolazione che in effetti li festeggiò quando sfilarono coperti di fiori (ma una signora, secondo la testimonianza dello scrittore Silvio Benco “fattasi bianca dal suo lugubre presentimento, esclamò: -Portano già i fiori dei morti; non li vedremo più”).
Al primo impatto con la tremenda realtà del fronte galiziano sembra che quel primo contingente di giuliani si dissolse nel nulla per le numerose diserzioni ed anche in seguito, nonostante alcuni soldati avessero dimostrato fedeltà all’Impero, il reggimento ebbe fama di scarsa affidabilità. Venne infatti soprannominato “Damoghela” (diamogliela), dalla strofa di una loro canzone in cui damoghéla faceva rima con gaméla ( gamella), e che intonavano indisturbati perché gli ufficiali tedeschi non ne comprendevano il significato e quelli italiani, che invece lo capivano, lasciavano correre.
Fu a Kirsanov che, dopo l’intervento del Regno d’Italia a fianco di Francia, Inghilterra e Russia, una Missione Militare italiana si curò di fare confluire dai 45 governatorati dell’impero zarista i prigionieri italiani austroungarici, ponendosi il problema sia del miglioramento delle loro precarie condizioni di vita, sia del “rimpatrio” in Italia per quanti lo richiedessero, accettando la cittadinanza italiana. Si trattava di una scelta talora drammatica perché famiglia e interessi si trovavano in territorio austriaco. Nel corso del 1916 circa 4000 “irredenti”, come furono tosto appellati, furono imbarcati ad Arcangelo sul Mar Bianco, ghiacciato per molti mesi dell’anno, per giungere in Italia attraverso il Mare del Nord, l’Inghilterra e la Francia. Alcuni di loro si arruolarono nell’esercito italiano e combatterono per la nuova patria.
Quando, nel 1917, la rivoluzione scoppiata in Russia sbarrò ogni strada verso occidente, fu Il maggiore dei Carabinieri Cosma Manera coadiuvato da due volontari irredenti, il trentino Gaetano Bazzani e il fiumano Licinio Baccich, ad intraprendere la via dell’oriente, organizzando in condizioni proibitive, in pieno inverno e in mezzo all’anarchia imperante, il trasporto degli italiani a piccoli gruppi da Kirsanov attraverso la Siberia e la Manciuria, fino alle coste della Cina, dove essi trovarono rifugio nella legazione italiana di Tientsin o in altre località cinesi.
Per gli ex internati di Kirsanov a questo punto si trattava di raggiungere l’Europa attraverso il Pacifico e il continente americano; per una minoranza di loro si aprì anche un’altra prospettiva, quella di arruolarsi nelle file dell’esercito italiano a Tientsin. Era accaduto infatti che le Potenze occidentali avessero disposto l’invio di contingenti militari per sostenere i russi “bianchi”, antibolscevichi e che a Tientsin sbarcasse il Corpo di spedizione italiano inviato in Estremo Oriente per appoggiare l’esercito del generale Kol?ak che in Siberia aveva proclamato una repubblica indipendente. A fianco dei soldati giunti dall’Italia, un certo numero di irredenti trentini e giuliani, per quanto provati dalla durissima permanenza in terra russa, combatterono da volontari in Siberia inquadrati nei “Battaglioni Neri”, così chiamati dal colore delle mostrine sulla uniforme italiana.
Nel 1919, quando ormai si profilava il fallimento dell’avventura siberiana dell’esercito “bianco” di Kol?ak, i volontari irredenti iniziarono finalmente ad essere congedati per tornare in patria. La loro odissea si concluse nel 1920.
In occasione della commemorazione del centenario della Grande Guerra, è giusto che venga riportata alla memoria anche questa pagina sulle vicende romanzesche di parte della gioventù italiana delle province austriache “irredente”.

Le foto sono tratte da “Friulani in Russia e in Siberia”, a cura di Camillo Medeot, Pelican Editore, Gorizia, 1978.

Foto 1

Foto 2

Tientsin, settembre del 1918. Ufficiali irredenti dei Battaglioni Neri