Scritto da Lucio Toth
martedì 10 giugno 2014
L’Italia – si sa – è il paese delle autocensure, delle mezze o doppie verità, dei sottofondi oscuri e melmosi, come le povere trincee della Prima guerra mondiale.
Il tartufismo ipocrita dei media e della storiografia ufficiale ha trovato un altro terreno di applicazione del politically correct. Parola d’ordine di qualche Minculpop segreto e ossequiosamente osservato è: mai parlare della Venezia Giulia quando si affronta il tema della Grande Guerra 1915-1918.
Per noi, italiani dell’impero austro-ungarico, quella guerra ebbe inizio nell’agosto del 1914, con la mobilitazione generale; la partenza dei nostri coscritti e richiamati per i vari fronti di allora (Serbia e Carpazi); gli espatri dei “regnicoli” – che nelle città di lingua italiana erano tanti – e degli irredentisti nostrani; l’internamento degli istriani, fiumani e dalmati di nazionalità italiana sospettati di “intelligenza” con il possibile nemico, all’incirca 60.000 persone, campo più campo meno, di ogni sesso ed età, tra la Stiria, la Boemia, l’Ungheria. Quando si dice il privilegio di essere “mittel-europei” !
Ma di tutto questo sulla stampa e in TV non si deve parlare. Del Friuli sì. Tanto ben pochi italiani sanno dove cominci e dove finisca questa regione. Del Trentino anche, perché oggi appartiene ancora alla nostra Repubblica, però senza specificare bene la sua estensione. Il Trattato di pace del 1947 ce lo ha lasciato, insieme all’Alto Adige. Altro tema da non toccare, dato che i sud-tirolesi sono in gran parte tedeschi e non attendevano nessuna “Redenzione”. Anzi da quasi cent’anni custodiscono nel cuore la perduta patria austriaca, con la sua bandiera a bande bianche e rosse appesa orgogliosamente a ogni albergo e ad ogni chiesa nei dì di festa. Già perché – a dirla tutta sinceramente – dal punto di vista linguistico, etnico, storico e del principio di autodeterminazione, abbiamo mantenuto ciò che non ci spettava e perduto ciò che ci apparteneva.
C’è anche a Trieste, a Gorizia e a Trento qualcuno che quella bandiera rimpiange, alla luce del “dopo” che alla Finis Austriae è seguito (vent’anni di fascismo, una guerra mal cominciata e peggio finita, due occupazioni, questa volta veramente “straniere”, la tragedia delle Foibe e dell’Esodo di 350.000 cittadini).
Ed è in quest’ultimo recesso di storia nazionale che si annida la “ratio” del tabù “Venezia Giulia” quando si parla della prima guerra mondiale.
Perché infatti, narrando di trincee e reticolati, di bombarde e di gas all’iprite, si ricordano il fronte trentino, gli altipiani delle Prealpi venete, il Carso di sfuggita, ma mai e poi mai si nomina l’Istria, Fiume, la stessa Trieste, per non parlare della Dalmazia, condannata alla “damnatio memoriae” ad ogni ricorrenza della storia nazionale.
E’ probabile che si parlerà delle undici “disastrose” battaglie dell’Isonzo (“O Gorizia, tu sia maledetta…”), dovute alla follia omicida dello Stato Maggiore italiano. Si parlerà di Kobarid-Caporetto e delle fucilazioni degli sbandati. Anzi si appalterà direttamente agli studiosi sloveni la storia di quel fronte. Tanto ne sanno più di noi, perché l’Alta Valle dell’Isonzo, conquistata dall’esercito italiano nel 1915-16, era abitata da popolazione slovena, che forniva all’Austria i soldati più fedeli, insieme ai croati e ai tirolesi.
Se si parlerà dell’Istria e della Dalmazia sarà solo per condannare la megalomania imperialista degli interventisti e del Patto di Londra dell’aprile 1915, mercede offerta all’Italia dall’Intesa per il suo tradimento della Triplice.
La motivazione più o meno recondita di questo atteggiamento culturale è di natura psicologica. Poiché questi territori (Istria, Fiume e Zara), acquisiti legittimamente nel 1920, furono perduti dallo Stato italiano nel 1947, di questa mutilazione non si deve parlare perché offusca il mito della Liberazione.
E se non si può parlare di mutilazioni territoriali e di esodi di massa di italiani è meglio tacere anche del fatto che essi siano mai esistiti e vivessero in quei territori da secoli, come popolazione autoctona, maggioritaria lungo la costa, che – loro sì – desideravano e attendevano la “Redenzione” per essere riuniti all’Italia, come le altre terre venete dopo la III guerra d’indipendenza.
Quindi non si deve parlare dei loro volontari nell’esercito e nella marina italiani: Nazario Sauro, Fabio Filzi i fratelli Stuparich, Scipio Slataper, Francesco Rismondo, già strumentalizzati dalla propaganda nazionalista, e di altre migliaia di italiani che disertarono dalle forze armate austro-ungariche con il rischio, qualora catturati, di essere impiccati come traditori. Sentenze inoppugnabili sul piano giuridico in quanto un suddito imperiale non poteva passare dalla parte del nemico.
Tutto questo verrà coperto da un velo di ipocrisia silenziosa, anche per non mettere in difficoltà i nostri vicini, sloveni e croati, cui quelle terre, ancorché abitate da italiani, furono consegnate nel 1947, in quanto vincitori della seconda guerra mondiale. Come se nascondere una parte della verità fosse un segno di rispetto nei loro stessi confronti.
Omissione anche disonesta perché offende la memoria di quei 600.000 italiani che nella Grande Guerra persero la vita.
Si ripete quindi quell’atteggiamento di censura che aveva coperto per sessanta anni le vicende delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata. E’ imbarazzante infatti dover parlare di loro a proposito di quella guerra di cent’anni fa. Meglio ignorarli. Tanto “Trento e Trieste” – formula magica ammannita ai combattenti italiani, molti dei quali finirono per credere le due città unite da un ponte – sono rimaste all’Italia. Del resto ci si può anche dimenticare. Entité négligeable.