lunedì 08 marzo 2010
L’OMBRA DELL’IMPERO OTTOMANO
Atanas Vangeli*
Quando si cerca di definire l’eredità ottomana nella composizione dell’identità contemporanea delle nostre nazioni, i nostri intellettuali tendono a passare sotto silenzio alcuni aspetti essenziali. Quasi tutti i popoli balcanici minimizzano questa influenza, anche se è onnipresente. La bulgara Maria Todorova, autrice del libro Imagining the Balkans (Oxford Press Libri, 1997) ha sollevato molte polemiche quando ha accusato storici e sociologi balcanici di mascherare la verità sul loro passato ottomano e sull’eredità di questo periodo, visto con sdegno o del tutto negato [in Bulgaria per definire questo periodo la storiografia ufficiale accetta solo l’espressione «giogo turco»]. Ma Todorova si spinge ancora oltre: secondo lei non bisogna studiare «l’eredità ottomana nei Balcani», ma «i Balcani come eredità ottomana». E come punto di inizio propone l’origine dello stesso nome balkan, che in turco vuol dire montagna boscosa. Questa eredità è evidente a tutti i livelli della vita sociale. Nella vita politica, per esempio, si traduce nella ricerca di una soluzione extra-istituzionale a tutti i problemi (pazarlik, «contrattazione»). Anche l’assenza di un’élite culturale autoctona è da ricondursi a essa: in tutte le regioni dell’impero ottomano, le élites erano composte per lo più da intellettuali formati all’estero, una situazione che non è molto cambiata dopo l’indipendenza. L’assenza di una borghesia e di un’aristocrazia locale, accanto all’industrializzazione mancata dell’epoca ottomana, sono una delle ragioni della debolezza economica dei Paesi balcanici.
Dolci e imprecazioni
Il periodo ottomano ha lasciato profonde tracce anche nei costumi e nei gesti quotidiani, elementi caratteristici del nostro codice culturale. Oltre alle parole di origine turca di cui sono infarcite le nostre lingue, il discorso non verbale di tutti i «post-ottomani» continua a stupire gli occidentali. Alcuni gesti bruschi ben definiti, il fatto di sputare per mostrare la propria delusione o indignazione (accompagnato dall’interiezione yazik! – «sventura») o di appoggiarsi sul ginocchio per mostrare la propria serietà, sono gesti comunicativi molto più comprensibili per un orientale che per un occidentale. La cucina è un altro settore della vita quotidiana che non manca di influenze turche: la sarma (foglia di vite o di cavolo farcita), la moussakà, la turlitava (ratatouille) sono specialità orientali. Beviamo caffè turco e siamo tutti molto golosi di baklava, tulumbas e boza, tipici dolci orientali. Senza dimenticare la kafeana (kahvehan), l’istituzione dove si forma l’opinione pubblica tanto in città che in campagna, e che per quanto simile ai bar e ristoranti, non ha un corrispettivo esatto nel mondo occidentale. Un’introspezione più approfondita ci può fornire altri esempi: il patriarcato, la corruzione e la dipendenza dalla giustizia dai politici e dalle persone influenti sono elementi indissociabili della cultura ottomana. I cinque secoli e mezzo di dominio turco hanno lasciato radici profonde nelle nostre culture. Ed è la ragione principale per cui, in un’epoca in cui tutti utilizziamo internet e consideriamo l’inglese la nostra seconda lingua, i dibattiti ruotano sempre intorno all’opportunità di costruire nuove chiese o nuove moschee. (adr)
* Ricercatore presso il New Media Center e il Center of Research and Policy Making di Skopje, in Macedonia, collabora come editorialista per «Okno», «Globus-Skopje» e «Vreme».
Fonte: ‹www.presseurop.eu›, 08/02/10. Cfr, Id., L’eredità ottomana sopravvive nei balcani, trad. it. di A. De Ritis, in «Internazionale», 05-11/03/10.