Mario Vesnaver – Il saccheggio di Pola del 1380: una pagina di storia istriana a Genova

venerdì 09 ottobre 2009

IL SACCHEGGIO DI POLA DEL 1380: UNA PAGINA DI STORIA ISTRIANA A GENOVA
Mario Vesnaver

Scorrevo giorni fa alcune note di viaggio su una mia trasferta in Liguria effettuata in occasione di una mostra sugli antichi velieri allestita nei magazzini del cotone nell’area del Porto Antico di Ge­nova. Una mostra interessante ri­guardante la grande avventura sui mari della Serenissima Repubbli­ca Marinara genovese, la “Super­ba”, antagonista nel corso dei se­coli di quella veneziana di San Marco.
Esaurita la visita alla mostra mi ero addentrato nei vicoli del Porto Antico e, oltrepassata la monu­mentale Porta Siberia, mi ero tro­vato per caso nei pressi di un’anti­ca chiesa in via del Molo ed ave­vo notato sul fianco sinistro dell’edificio una lapide murata con bassorilievo raffigurante il Leone di San Marco. Sotto l’em­blema marciano una iscrizione la­tina spiegava la presenza di quell’ emblema veneziano nell’area portuale di Genova: «Iste lapis in quo est figura sancti Marci delatus fuit a Civitate Polae capta a nostris MCCCLXXX die XIIII Januarii» («Questa lapide nella quale è raffigurato il simbo­lo di San Marco fu trasferita dalla città di Pola presa dai nostri il giorno 14 gennaio 1380»). Incuriosito, ero entrato nel tempio alla ricerca di ulterio­ri notizie su quell’avveni­mento storico che accomuna­va l’Istria alla Liguria.

Dalla scarsa documenta­zione esistente in loco e da ulteriori ricerche ho potuto apprendere che quel Leone marciano era originariamente collocato sulla Porta Marina di Pola e venne sottratto dalle milizie genovesi comandate dal capitano Gaspare Spinola che nella seconda metà del milletrecento misero a ferro e fuoco tutte le città costiere della penisola istriana.

I genovesi infatti erano pe­netrati con la loro flotta nell’alto Adriatico con l’in­tento di colpire al cuore la ri­vale Venezia. Nel 1379 la flotta genove­se, composta da 47 galere, al comando dell’ammiraglio Pietro Doria, aveva raggiunto la Laguna. Una ardita e tem­pestiva manovra della flotta veneziana, comandata dall’ammi­raglio Vettor Pisani, accorso dall’Oriente, intrappolò gli assali­tori che furono stretti a loro volta d’assedio.
Una seconda flotta venne pron­tamente inviata da Genova agli ordini del Comandante Matteo Baruffo, che invano tentò di rom­pere il blocco navale. Non poten­do ingaggiare battaglia in mare aperto la flotta si diede a scorrerie nel golfo col proposito di aggredi­re le città costiere dell’Istria fedeli a Venezia (tra cui Capodistria), appoggiata dalle truppe del Pa­triarca di Aquileia. Nell’ambito di queste operazioni piratesche si svolse nel gennaio del 1380 l’ag­gressione al porto e alla città di Pola con il conseguente saccheg­gio.
Da oltre sei secoli quel Leone, avulso dalla sua sede originaria, ricorda dall’alto della chiesa di San Marco al Molo in Genova quei drammatici avvenimenti. La guerra tra veneziani e genovesi ebbe termine l’anno successivo con la cosiddetta Pace di Torino, siglata nel capoluogo piemontese il 24 agosto 1381.

Nel corso del XX secolo la città di Pola, annessa alla Madrepatria Italia dopo la conclusione vitto­riosa della prima guerra mondiale del 1915-1918, invano chiese all’amministrazio­ne comunale di Genova la restituzione di quel cime­lio storico. Venne allora realizzata una copia fede­le dello stesso e collocata sulla Porta Marina del ca­poluogo istriano da cui era stato avulso. Purtrop­po, con l’occupazione sla­va della città ed a seguito dell’iniquo trattato di pa­ce di Parigi del 10 febbra­io 1947, anche la copia del Leone dovette cercare la strada dell’esilio per evitare una sua temuta dissacrante distruzione. Attualmente (almeno così mi è stato riferito) la co­pia si trova al Museo Na­vale di Venezia per ricor­dare ai posteri la storia movimentata di questo simbolo marciano, uno dei pochi (se non l’unico) con il muso rivolto a destra anziché a sinistra, come l’abbiamo ammira­to negli innumerevoli esemplari esistenti in tutta l’area che fu do­minio della Serenissima per oltre un millennio.

Recentemente, su mia richiesta, l’attuale parroco di San Marco al Molo, don Carzino, mi ha fornito ulteriori notizie storiche sul no­stro Leone precisandomi che sot­to l’insegna c’è un’altra iscrizione latina, consumata da secolari in­temperie e quindi di non facile

lettura: «MCCCLXXXIII .DIE. PRIMA. FEBB. FM. ANG. LO. IS. TO s.o. QAD. ThOME O. LPS. ISTO. DMNI. OEDE. SIT. MNO. MCCCXCII DIE IIII MAR QU. ET. hEREDUM. SUOR.» («L’anno 1383, il giorno primo febbraio FM, ANG, LO, IS, TO, fu Tomaso hanno disposto che la lapide sia dono votivo in questa dimora di Dio – Affissa nel 1392 il giorno 4 marzo secondo l’intenzione di quelli e dei loro eredi»).

Per inciso ricordo che, nel corso della suddetta guerra tra genovesi e veneziani, il 1° luglio 1380, venne aggredita anche Capodistria. «L’eroica difesa dei capodistriani – scrive il concittadino Ricciotti Giollo nel suo libro “San Naza-rio Protovescovo e Patrono di Capodi­stria”, edito a Trieste nel 1969 -valse a ben poco e solo il Castel Leone non poté venire espugnato, ma il resto della città fu saccheg­giato. Molti furono i morti e cad­de prigioniero lo stesso podestà Marco Giustiniani. In quella oc­casione i genovesi asportarono da Capodistria le reliquie dei Santi Nazario e Alessandro che erano custodite nella cattedrale ed og­getto di grande venerazione». Per fortuna le reliquie ebbero miglior sorte del Leone. Infatti, narra più avanti nello stesso libro il nostro Giollo, esse, a seguito di laboriose trattative con l’Arcivescovo di Genova, vennero restituite alla città di Capodistria nel mese di giugno del 1422, quasi mezzo se­colo dopo il loro trafugamento bellico.

NOTA. Il Comune di Pola dopo la prima guerra mondiale chiese la restituzione del Leone, negata dall ‘amministrazione genovese, che inviò però in compenso una copia dello stesso, ora al Museo Storico Navale di Venezia, salvata dai residenti in fuga nel 1947pri­ma dell’occupazione jugoslava della città capoluogo dell’Istria. Originale e copia si trovano quin­di in Italia. Al Leone manca total­mente la zampa posteriore in pri­mo piano, mentre lacune di minor conto si riscontrano sulla coda e sull’ala. Per il resto la scultura è in buone condizioni se si esclude qualche piccola abrasione. (P. V.)

Nota di redazione. Lo scontro navale, a base del racconto fatto­ci da Vesnaver, non fu l’unico occorso tra le gloriose Repubbli­che Marinare di Venezia e Geno­va. La loro lunga guerra per il dominio del Mare Nostrum era iniziata molti anni prima ed è costellata da molti episodi; un altro, in particolare, occorse nel­le acque della nostra Istria, nei pressi di Salvore, nel 1177. Nella circostanza, presso la punta più occidentale della no­stra penisola avvenne, infatti, una cruenta battaglia navale tra 40 galere veneziane, allestite an­che grazie all’aiuto delle cittadi­ne istriane e sostenute da papa Alessandro III, e ben 75 genove­si e pisane schieratesi dalla parte dell’imperatore Federico Barbarossa. La flotta comandata dal doge Sebastiano Ziani e Nicolò Contarini, nascosta nel vallone di Pirano, colse di sorpresa gli avversari, catturò 45 navi, ne af­fondò altre e fece prigioniero lo stesso comandante, il futuro Ot­tone IV, figlio del Barbarossa. La vittoria ebbe vasta eco tanto che a Venezia, nella sala del Gran Consiglio, fu esposta una grande tela dell’evento dipinta da Dome­nico Tintoretto.

Peraltro, non è solo questo quadro che ai giorni nostri ricor­da l’evento; ad esso, infatti, è anche legata la Festa della Sensa che si celebra annualmente in Canal Grande nel giorno dell’Ascensione, nota anche sot­to la dizione di Sposalizio del Mare. La suggestiva cerimonia che simboleggia il dominio ma­rittimo di Venezia venne istituita intorno all’anno 1000 per com­memorare la conquista della Dalmazia da parte del doge Pie­tro II Orseolo e aveva originaria­mente un carattere propiziatorio con il mare. Si svolgeva con una solenne processione di imbarca­zioni, guidata dalla nave del do­ge (dal 1253 il Bucintoro, andato poi distrutto nel 1797 in occasio­ne della conquista di Venezia da parte di Napoleone); nelle acque antistanti alla chiesa di San Ni­colò, patrono dei naviganti, veni­va recitata una preghiera affin­ché «per noi e per tutti i naviga­tori il mare possa essere calmo e tranquillo»; successivamente il doge e gli altri venivano solenne­mente aspersi con l’acqua santa, il resto della quale veniva poi versato in mare mentre i sacer­doti intonavano Asperges me hyssopo, et mundabor. Nel 1177, appunto, secondo la leggenda su cui si basa il mito di Venezia, pa­pa Alessandro III avrebbe confe­rito a questa antica cerimonia un carattere di sacralità, come ri­compensa per i servizi offerti da Venezia nella lotta contro il Barbarossa.

«L’Arena di Pola», 09/10/09.