La raffigurazione è un disegno a penna, dipinto a pennello, elaborato su carta pesante, intelata, che misura in originale mm 428 x 541. Manca di inquadratura ed appare ridotto rispetto alle dimensioni originali, perché, in più luoghi, le scritte marginali non risultano complete: è andata perduta parte della figurazione che doveva riguardare la laguna di Grado. Presenta un tassello in corrispondenza del tratto della costa istriana che termina con la punta di Salvore e in alto, al centro, si legge: “ISTRIA”. Manca qualsiasi indicazione riguardante l’autore, non compare la data di esecuzione, non è riportata la scala e unicamente le lettere e simboli relativi ai punti cardinali consentono di garantire per la carta l’orientazione con il NNE in alto.
Il documento, che si conserva nell’Archivio di Stato a Venezia (Savi ed Esecutori alle Acque, Diversi, Disegno n. 128/1, Rotolo 34) e che era per lunghi anni sfuggito all’attenzione di quanti si sono occupati di storia della cartografia istriana sino alla fine degli anni Settanta. Già a una prima meticolosa analisi appare particolarmente importante, poiché si rivela assai vicino alla rappresentazione contenuta nella corografia Del sito de Listria di Pietro Coppo.
Anzitutto i limiti della regione rappresentata sono i medesimi e, con quella del Coppo ha in comune anche la forma generale della penisola e delle isole del Quarnero nonché numerosi altri e significativi particolari, per lo più quegli stessi che possono essere considerati come novità nel disegno del 1540 rispetto a quello del 1525. Vi si riscontra, per esempio, lo stesso decorso rettilineo del Canale di Leme sin all’altezza di S. Lore[n]zo (San Lorenzo del Pasenatico), o, ancor meglio, la stessa approssimativa raffigurazione del Larsa (Canale dell’Arsa), l’identico tracciato dell’Isonzo e del Vipacco, l’errata collocazione degli abitati di Valle (vicina al Canal di Leme), Medolino (collocata sulla costa orientale della penisola) e così via. Si potrebbe dire che si rivelano qua e là, numerose particolarità che possono svolgere, nello studio della cartografia, la stessa funzione, che in geologia, rivestono i fossili guida. Basti notare che lo stesso idronimo aquauia è usato per indicare il piccolo torrente di Strugnano e che, nella parte interna del Colfo de Largon (Vallone di Pirano), compaiono le stesse isole per individuare le saline di Sicciole (Lago, 1989, pp. 116-117).
Assai numerose, però, rispetto al documento del Coppo sono anche le divergenze, e talune vanno segnalate proprio per il loro interesse. L’apparato deltizio dell’Isonzo è tracciato assai più correttamente come del resto anche il bacino idrografico superiore del Quieto; nella foiba di Pisino è fatto terminare il torrente omonimo che nasce a occidente di Boglon (Bogliuno); sono riportati i confini tra l’Istria veneta e la Contea di Pisin; i toponimi sono assai più numerosi, sia lungo la costa, che nell’interno. Gli abitati maggiori sono rappresentati con prospettini, i castelli e le terre con delle rocche accostate, gli altri con chiesette (il medesimo simbolo, però, identifica, per esempio, la chiesa di S. Simó, San Simone, presso Isola e gli abitati di S. Lor?zo, San Lorenzo del Pasenatico, o di Bugie, cioè Buie) o con casette (si confronti Fasana). C’è, quindi, innegabilmente, un tentativo di differenziare le diverse sedi, inserendo una sorta di gerarchia tra gli abitati che era stata una delle prerogative più interessanti del documento del Coppo del 1525. In alcune zone territoriali, infine, vanno rilevati anche degli errori, infatti, per esempio, la sede di Farasina (Faresina) occupa il posto di Fianona sul litorale liburnico, e Monti Mazzor, cioè il Monte Maggiore, si legge ben a nord di Fiume, ma, forse, l’autore voleva soltanto usare un’espressione generica per indicare quei rilievi più elevati, che, nella carta del Coppo, si trovano graficamente espressi con tantissimi coni affastellati della medesima altezza. Le isole di Veglia e di Cherso sono caratterizzate da orientamento e posizione che non sono del tutto corrette, ma il loro disegno appare influenzato dalle ristrette proporzioni del Colfo di Corrner (Golfo del Quarnero). La linea di costa che piega verso sud-est dopo l’abitato di Segna è privo di toponimi se si eccettua .P.S. Zorzi posto in corrispondenza del limite della carta.
Potrebbe continuare con un’analisi ancor più dettagliata, individuando affinità o divergenze, ma già questi esempi consentono di affermare che vi sono prove sufficienti per escludere un legame tra le due carte, che presupponga una derivazione diretta di un documento dall’altro. Tutto lascia presupporre, invece, che siano filiazione di un modello, che finora non si conosce, ma che sicuramente venne stilato utilizzando raffigurazioni nautiche e rilievi ufficiali. Questa tesi è un’ulteriore conferma delle ipotesi avanzate a proposito dei documenti del Coppo dagli studiosi che per primi hanno analizzato la sua opera: infatti questa carta, per certi aspetti, sia pure assai meno evidenti, coinvolge anche il disegno del 1525. Ne possono essere chiara dimostrazione alcune rispondenze, come, per esempio, l’indicazione della Foiba di Pisino o, ancora, la ripetizione di qualche particolare toponimo, come quelli, di non facile lettura, che appaiono sulla costa settentrionale del porto di Pola. L’onomastica è in italiano, ma vi sono molte diciture venete. La carta, però, non è datata e lascia, perciò, senza risposta numerosi punti interrogativi sugli anelli di questa catena.
Certamente è difficile avanzare un’ipotesi per una sua più precisa collocazione, ma tra gli elementi che possono aiutare, sono da annoverare sicuramente l’indicazione dei confini che assegnano all’Istria veneta Barbana con Rachel (Castelnuovo d’Arsa), già soggette a Pisino prima del lodo arbitrale di Trento del 1535. Castenouo (Castelnuovo del Carso) poi, che invece rimase all’Austria, anche se dato in feudo, dal 1533, ai Gavardo di Capodistria e che andò distrutto nel 1551, non appare qui rispondere a queste situazioni storiche. Di certo, infine, anche le particolarità stilistiche ed i caratteri della grafia concorrono a sostenere una sua attribuzione alla prima metà del secolo XV. [C.R.]