D’Annunzio a Fiume tra patriottismo e rivoluzione

Il 12 settembre 1919 Gabriele d’Annunzio alla testa di una colonna di disertori (quasi 3.000 “legionari”) entrò a Fiume, città abitata in prevalenza da italiani ma la cui sorte dopo la Prima guerra mondiale era ancora incerta. Nei mesi successivi il poeta-soldato abruzzese unirà le motivazioni patriottiche della sua impresa a propositi rivoluzionari, intenti palingenetici mondiali, abboccamenti con separatisti e sovversivi di tutta Europa e non solo. Resterà agli annali il documento costituzionale della Reggenza italiana del Carnaro, lo Stato proclamato da d’Annunzio il 12 settembre 1920 di fronte alla mancata annessione al Regno d’Italia. La costituzione di questa città-stato fu la Carta del Carnaro, redatta dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, perfezionata e redatta in maniera aulica da d’Annunzio stesso.

Nel 2019 Coordinamento Adriatico APS ha celebrato il centenario di tali vicende con un convegno internazionale di studi a Gorizia, i cui atti sono confluiti nel volume a cura di Davide Rossi “La città di vita cento anni dopo. Fiume, d’Annunzio e il lungo Novecento adriatico” (Wolters Kluwer-CEDAM, Milano 2020).

Pubblichiamo uno stralcio del saggio “Prassi e utopia nel disegno costituzionale dannunziano” del Prof. Avv. Giuseppe de Vergottini, presidente di Coordinamento Adriatico.

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[…] Il disegno della carta dannunziana si comprende se la si inserisce nell’atmosfera politica del periodo che segue la fine del grande conflitto e quindi nel contesto storico del superamento del vecchio stato liberale e dell’affermarsi del nuovo stato sociale. È soltanto dal tentativo di comprendere la connessione fra la Carta del Carnaro e l’atmosfera politica e culturale del tempo che può delinearsi un profilo realistico della costituzione fiumana.

Sarebbe sbagliato, o comunque riduttivo, cercare nel documento soltanto il tentativo di ispirazione nazionalista di dare a Fiume la base costituzionale che avrebbe dovuto consentire l’annessione al Regno d’Italia. In realtà, dopo una fase iniziale in cui domina lo spirito nazionalista, il clima cambia e si trasforma nella direzione che diverrà caratterizzante i contenuti finali del documento.

È questo l’ambiente del “laboratorio rivoluzionario” in cui soggetti di diversa e apparentemente inconciliabile estrazione – legionari, militari, sindacalisti, artisti, politici e avventurieri – immaginano anche una “contro-società delle Nazioni”, che mira a federare in una Lega tutti i popoli oppressi dalla prepotenza delle potenze vincitrici.

Fiume, nell’impossibilità immediata di annessione, viene trasformata in «Reggenza Italiana del Carnaro» e riceve dal Vate la avveniristica Carta. In essa si individuano echi caratteristici della Repubblica dei Consigli ungherese, della Repubblica bavarese, della Repubblica di Weimar ed austriaca. Può pure essere appropriato avvicinare il documento alle così dette costituzioni “professorali”, in un momento storico di profonde trasformazioni degli istituti.

Per certe soluzioni istituzionali la costituzione appare tuttavia ispirata a remote istituzioni dei comuni italiani, alle istituzioni della Serenissima e del cantonalismo svizzero, dove si opta per una democrazia diretta, riconoscendo ai cittadini il diritto di presentare proposte di legge e di chiedere la revisione e modifica sia delle leggi ordinarie sia della Costituzione.

Occorre notare che, se è vero che la costituzione fiumana si inserisce nel più ampio processo di ristrutturazione degli ordinamenti statali del primo dopoguerra, ciò non deve portare a concludere che le linee di costruzione del nuovo ordine immaginate dal costituente coincidano con le scelte che stavano imprimendo alle costituzioni dei diversi stati europei gli impulsi dei professori.

In proposito, come indica soprattutto l’esperienza weimariana, le nuove costituzioni europee avrebbero operato in due
principali direzioni: razionalizzare la forma di governo e assicurare un regime di reali garanzie per i diritti del cittadino. […]

La costituzione di Fiume non offre una scelta razionale nella designazione della forma di governo mentre interviene in modo avanzato e profondamente progressista per quanto riguarda la concezione dei diritti. […]

Il problema della razionalizzazione non si pose a Fiume, ove l’ordinamento non doveva essere ristrutturato, ma creato
ex novo. E la strada seguita non era certo quella dell’introduzione di una repubblica parlamentare, ma quella di un governo collegiale di tipo direttoriale espresso tramite procedimento elettivo da un parlamento tricamerale. Questo a sua volta era formato tramite elezioni dalle corporazioni, uniche associazioni con funzioni politiche in un sistema che non prevedeva la presenza dei partiti. Nulla prevedeva la Carta per quanto avrebbe riguardato il rapporto fiduciario fra parlamento e direttorio. […]

Dove la Carta segna un importante progresso è nella scelta senza riserve di una innovativa democrazia pluralistica che includeva sia il profilo soggettivo dei diritti dei singoli cittadini/produttori, sia quello delle diverse entità collettive (comuni, corporazioni, minoranze, entità religiose ed educative). Particolarmente articolato era il riconoscimento dei diritti fondamentali, che specificavano princìpi sottratti alla disponibilità del pubblico potere – come libertà, dignità ed eguaglianza – e al tempo stesso presentavano una dimensione sostanziale ed egualitaria sconosciuta alla concezione propria delle costituzioni dello stato liberale di diritto in via di superamento da parte del nuovo stato sociale di diritto. A una esauriente disciplina dei diritti del cittadino si aggiungeva il riconoscimento di ampie autonomie e istituti di democrazia diretta a partire dal referendum. […]

Giuseppe de Vergottini